L'eroe scrittore che riunì tutti i caduti di El Alamein

L'eroe scrittore che riunì tutti i caduti di El Alamein Si è spento il conte Paolo Caccia Dominioni, dedicò la sua vita alla realizzazione del mausoleo per le vittime L'eroe scrittore che riunì tutti i caduti di El Alamein E' morto la scorsa notte nell'ospedale militare del Celio, a Roma, il conte Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo, eroe di El Alamein e della Resistenza. Aveva novantasei anni e il grado di colonnello. La sua è stata una vita avventurosa, non c'è stata, guerra cui non abbia partecipato: volontario in quella del 1915, combatté sull'Isonzo e sul Carso come ufficiale del Genio, fu ferito e decorato con una medaglia di bronzo. Partecipò alla campagna di riconquista della Libia del 1918, nel 1935 era in Etiopia col grado di capitano, nell'ultimo conflitto era maggiore nella campagna africana e fu insignito della croce di ferro tedesca dal generale Rommel. Prese parte anche alla Resistenza, fu incarcerato e torturato dai nazifascisti e per il suo contributo alla guerra di liberazione ottenne la medaglia di bronzo al valor militare. Nella vita civile è stato architetto, ingegnere, scultore e scrittore, vincendo nel 1963 il premio Bancarella con il saggio «El Alamein», in cui ha raccontato le vicende del suo reparto durante i quaranta giorni di quella che fu definita dagli storici e dagli strateghi «la più furiosa battaglia dell'ultima guerra mondiale», di cui ricorre quest'anno il cinquantesimo anniversario. Uomo nomade e ribelle, Caccia Dominioni ha speso parte della sua vita in Africa, prima combattendo e poi passandovi dieci anni nel dopoguerra a raccogliere le salme dei caduti e a progettare e costruire l'ossario italiano. Per due volte, con il suo aiutante Renato Chiodini, mentre cercava i resti dei soldati nello sterminato campo di battaglia è saltato in aria su una delle mine che ancor oggi sono nascoste sotto la sabbia del deserto. Con il loro pericoloso e.■solitario lavoro i due hanno recuperato undicimila • salme di ogni nazionalità, fra cui 4548 italiani che riposano nel grande mausoleo a «quota 33», la piccola altura contesissima dai due opposti schieramenti in una serie di furiosi scontri, con un enorme tributo di vite umane. Nella battaglia di El Alamein i caduti furono complessivamente venticinquemila: tre sacrari, quello britannico, migliaia di croci bianche in mezzo a tante piccole aiuole verdi, che raccoglie i morti di tutti i Paesi del Commonwealth, quello tedesco, un castello svevo, austero e paradossale nel deserto, dove riposano, divisi per reparti, i morti dell'Afrika Korps e quello disegnato dal conte Caccia Dominioni, un gruppo di edifici che ospita il museo, la moschea, eretta per ospitare i 228 libici morti combattendo al fianco degli italiani, e l'ossario con i resti di 2473 soldati italiani identificati e 2075 soldati ignoti ma certamente italiani. Anni fa, durante una cerimonia alla presenza dell'allora mi nistro della Difesa Giovanni Spadolini, un veterano di El Alamein mi disse, frenando a stento la commozione davanti alle tombe dei commilitoni, «a vince re la battaglia non fu Rommel che subì la disfatta, non fu Montgomery che aveva mezzi superiori e rifornimenti continui. I veri vincitori di El Alamein furono quegli uomini che, come Paolo Caccia Dominioni, percorsero il deserto, dopo, alla ricerca dei corpi e costruirono sacrari». Visitando il museo dove sono conservati elmetti, mostrine, lembi di uniformi, fucili, bottiglie Molotov, orologi da polso, pettini, gavette, posate, le povere cose che ogni soldato porta sempre con sé, fotografìe dei parenti, immagini sacre, lettere e cartoline «da casa», leggendo le motivazioni gonfie di retorica marziale delle medaglie rilasciate agli eroi della Folgore e degli altri reparti, si può capire quanto tragica, quando cruenta, quanto.paurosa sia stata quella battaglia, costellata nella sua assurda inutilità di episodi di eroismo e di solidarietà. All'epoca Paolo Caccia Dominioni aveva il grado di maggiore e comandava il 31° Guastatori. Il fronte di El Alamein si estendeva per 65 chilometri dal mare alla depressione di El Qattara, un inferno di sabbie mobili dove era impossibile avventurarsi. La sera del 23 ottobre 1942 un uragano di fuoco si abbatte sulle linee difese dalla truppe italiane e tedesche: l'artiglieria inglese martella per tutta la notte le posizioni avversarie, alle prime luci dell'alba gli aerei della Raf le sottopongono ad un violento bombardamento. La disparità delle forze in campo è notevole: a fronteggiare 220 mila inglesi ed alleati, bene armati ed equipaggiati, ci sono 96 mila italiani e tedeschi, provati dalla lunga guerra, con scarsi mezzi e munì-. ziòni é da settimane senza rifornimenti. Per giorni, settimane, si continua a combattere: ogni metro di sabbia è difeso con rabbia e disperazione, fucili contro cannoni, bombe a mano contro carri armati. E quando finiscono anche queste, i paracadutisti della «Folgore» contrastano l'avanzata dei grossi blindati con le bottiglie Molotov. Si continua così fino al 2 novembre quando il generale Rommel, con la vitalità della «volpe», sferra l'ultimo contrattacco che consente ai resti dei reparti di iniziare la ritirata. Ma dal «bunker» di Berlino il Fùrher lancia un ordine perentorio: «Bisogna resistere ad ogni costo». E la tragedia si consuma fino al tragico epilogo: venticinquemila i caduti dalle due parti. Da questo inferno Paolo Caccia Dominioni era uscito vivo con 251 uomini del suo battaglione. Si erano salvati, come aveva ricordato in un'intervista rilasciata in occasione del quarantesimo anniversario della battaglia, grazie ad una bugia. Ad una richiesta, del comando tedesco, che voleva concentrare nelle sue mani tutti gli automezzi disponibili, l'allora maggiore rifiutò di consegnare i dodici au- tocarri ancora in dotazione al battaglione, affermando che erano stati tutti distrutti. Fu con quegli automezzi che i 511 superstiti poterono iniziare la ritirata verso Tobruk, dove arrivarono dimezzati in seguito agli attacchi degli «Spitfire» ed ai combattimenti sostenuti con le autoblinde nemiche che li inseguivano da ogni lato. Finita le guerra, nel 1954 Paolo Caccia Dominioni è tornato nel deserto di El Alamein: sfidando le mine, ha percorso in lungo e in largo il campo di battaglia per recuperare le salme dei soldati, amici e nemici, morti per una striscia di terra, un pezzo di deserto, che non apparteneva a nessuno. Francesco Fornati Vinse il premio Bancarella con un saggio dedicato alla battaglia nel deserto dell'Africa •'■■■■■■■'■■'i La «volpe del deserto» Rommel (a sinistra). Sopra, il sacrario per le vittime di El Alamein progettato da Caccia Dominioni