Uso della forza oggi si vota

Uso della forza, oggi si vota Uso della forza, oggi si vota Sì scontato, ma Bush avverte «Ci vogliono 400 mila uomini» NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Oggi dovrebbe essere finalmente il giorno del voto sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che autorizza l'uso della forza nell'ex Jugoslavia. H Consiglio è convocato per questa mattina e la previsione è che nel primo pomeriggio, sera in Italia, i 15 Paesi si esprimeranno formalmente. Ma lo faranno con una sorta di malavoglia, stando alla sensazione che si coglieva ieri al Palazzo di Vetro di New York, e la causa sta nel fatto che questa risoluzione, sebbene «forte» nel linguaggio, non è previsto che comporti nulla di concreto, almeno per l'immediato. Il famoso concetto «sì alla forza ma non si sa di chi», infatti, rimane del tutto valido, ed anzi in qualche misura si è perfino rafforzato. Quando George Bush disse che non voleva inviare truppe americane perché non voleva rischiare un altro Vietnam, faceva una considerazione di principio, che tutti avevano «letto» come la preoccupazione di un Presidente che sta rischiando la permanenza al suo posto nelle prossime elezioni. Ma ora ci sono le considerazioni «tecniche» dei dirigenti del Pentagono, che ieri sono andati davanti al Senato a spiegare il problema. E quello che hanno detto sembra escludere che la risoluzione che verrà votata oggi possa davvero essere messa in pratica nei tempi brevi. Se si vuole compiere un intervento che ponga fine al conflitto hanno detto i generali - bisogna respingere le forze serbe al di fuori del territorio della Bosnia Erzegovina, e perché un'azione del genere abbia una possibilità di riuscita, bisogna mettere in campo almeno 400 mila uomini, un numero che soltanto a pronunciarlo fa tremare più di un polso a Washington. Ma i generali del Pentagono sono andati oltre. Anche l'altra ipotesi, quella del «corridoio protetto» da creare nel territorio bosniaco occupato dalle forze serbe e attraverso il quale far passare i convogli umanitari diretti a Sarajevo e nelle altre città assediate, comporta un invio di soldati estremamente massiccio: da 60 mila a 120 mila uomini, dicono i generali. Questi uomini, come si sa, non sono ancora stati «reperiti» sul mercato politico internazionale, cosa che ieri ha indotto il ministro degli Esteri francese, Roland Dumas, a criticare i Paesi acci dentali per non avere seguito l'esempio del suo governo che, co me si sa, a suo tempo ha messo a disposizione duemila uomini. In sostanza, quindi, l'unica cosa che ci si aspetta dal voto che il Consiglio di Sicurezza esprimerà oggi è che la Serbia si senta «intimidita» e decida di scendere a patti con i suoi nemici. Ieri un po' tutti all'Onu insistevano su questa possibilità, ma la chiamavano «speranza». C'è anche chi disegna lo «scenario» del dopo, prevedendo che di fronte all'evidente lettera morta di questa risoluzione, gli stessi Paesi che l'hanno promossa, e cioè Stati Uniti, Inghilterra e Francia, mettano a punto qualcosa di più specifico e impegnativo. Ma perché questo avvenga, sarà necessario allungare ancora di più i tempi, contraddicendo in pieno il carattere di urgenza che è stato dato a quest'iniziativa dallo stesso George Bush. Intanto, ieri, lord Carrington, mediatore per conto della Cee, ha annunciato come un successo il fatto che alla riunione di Bruxelles di domani parteciperanno di presidenti di tutte e sei le Repubbliche che costituivano la Jugoslavia. Franco Paniarelli

Persone citate: Bush, Carrington, Franco Paniarelli, George Bush, Roland Dumas