La City raschia il fondo di Francesco Manacorda

La City raschia il fondo La City raschia il fondo L'indice come nella guerra del Golfo LONDRA DAL NOSTRO INVIATO Se Milano piange, Londra non ride. Anche nella City i ribassi record sono ormai all'ordine del giorno. Ieri l'indice ha chiuso a 2311,2 punti, il livello più basso da diciotto mesi a questa parte. Ma durante la seduta, per qualche tempo è stata sfondata anche la soglia psicologica dei 2300 punti. Era dallo scoppio della guerra del Golfo che le quotazioni non scendevano tanto in basso. E non è detto che il capitombolo termini qui. «Certo, non è molto probabile, ma l'indice potrebbe anche scendere a quota 2000 - commenta Ian Shepherdson, economista della Midland Montague - quel che è sicuro, comunque, è che non lo vedremo salire a quota 3000 come molti prevedevano all'inizio dell'anno». Proprio le previsioni troppo rosee sul futuro dell'economia britannica sono sotto accusa. Negli ultimi dodici mesi gli istituti di ricerca hanno avvertito due volte il Paese che la ripresa stava per arrivare, con un tasso di crescita del pil prossimo al 2%, ma per due volte i fatti hanno dato loro torto. Adesso quelli che credono a un nuovo sprint del sistema economico sono pochi; anzi si moltiplicano le previsioni fosche, come quella lanciata dal presidente della Barclays Bank qualche giorno fa, secondo cui la recessione proseguirà ancora per un paio di anni. Sul sistema, oltre al cattivò andamento della produzione industriale, pesano la scarsa fiducia dei consumatori e una disastrosa situazione del mercato immobiliare. Sulla Borsa londinese, così, incidono molto di più i problemi di natura interna che non quelli internazionali. Certo, gli scrolloni di Tokyo si ripercuotono su tutti i mercati, ma Londra è più preoccupata per la sua economia allo stremo che non per i sù e giù delle altre piazze. «Un anno fa il mercato andava bene, perché tutti avevano la prospettiva di un rialzo - commenta Shepherdson - ora invece tutte le azioni sembrano sopravvalutate rispetto al panorama che abbiamo davanti». E anche le prospettive di ripresa sembrano lontane: «Non penso che usciremo da questa fase di crisi con una crescita rapida, piuttosto ci saranno dei progressi lenti e una ripresa vera e propria potrebbe tardare a manifestarsi, arrivando solo nel 1995». «L'economia non sta andando da nessuna parte, né verso il basso né verso l'alto - commenta Robert Lind, analista della Ubs Philip Drew -. Forse abbiamo già toccato il fondo, ma di certo segnali di miglioramento non ci sono». E sebbene secondo Lind una ripresa potrebbe verificarsi anche nell'ultimo trimestre di quest'anno, «sarà così beve che la gente non se ne accorgerà nemmeno». Per quel che riguarda il lungo periodo, invece, «il pil crescerà decisamente al di sotto del suo potenziale perché la priorità del governo Major è tenere bassa l'inflazione comprimendo la domanda. Ma questa è una scelta che compor- terà anche un forte aumento della disoccupazione: dai 3 milioni di persone attuali ai 4 milioni entro tre anni». Per Mark Jones della Barclays la grande crisi è arrivata dopo le elezioni politiche. «I risparmiatori si aspettavano una svolta, ma la svolta non c'è stata. Adesso la cosa migliore che ci possiamo aspettare è una mini ripresa nella seconda metà dell'anno, ma comunque con un tasso di crescita ben inferiore all'1%». Francesco Manacorda John Major

Persone citate: Ian Shepherdson, John Major, Lind, Mark Jones, Philip Drew, Robert Lind, Shepherdson

Luoghi citati: Londra, Milano, Tokyo