L'ora legale e l'apocalisse di Carlo Carena

L'ora legale e l'apocalisse La riscoperta di Leon Bloy L'ora legale e l'apocalisse />! I può tornare a citare, e dunque, si spera, a legm gere, Leon Bloy come fa l I l'onorevole Forlani in piena assise democristiana a proposito del diavolo? Certo che si può, a patto di provare tutti, cristiani in testa, un profondo disagio. Leon Bloy iniziava cent'anni or sono i suoi diari con queste parole: «Siamo quasi senza un soldo». Li chiudeva venticinque anni dopo, nel novembre del 1917 a pochi giorni dalla morte, scrivendo: «Siamo in piena miseria». Fra questi due estremi è racchiusa una vita straordinaria, di cui i diari sono la sconvolgente testimonianza. Interi, devono essere ossessivi. La scelta che pubblica proprio ora Città Nuova a cura di Francesco M. Petrone con prefazione di Sergio Quinzio e col titolo // pellegrino dell'assoluto è saggia e perfettamente indicativa. E poi, ogni scritto di Bloy è un diario ininterrotto, l'esclusiva esplosione di un io, la ripetizione delle stesse verità in forme diverse con uno straordinario talento della lingua: i romanzi La Désespérée e La femme pauvre, i libelli come il celebre La saint pour les Juifs (1892), a onta e difesa della razza maledetta e benedetta; le paginette narrative delle Histoires désobligeantes, quelle letterarie di Belluaires etporchers. Rifiuto del mondo Leggere e citare Bloy è una sfida ad accettare quest'uomo e le sue idee, che mandavano in bestia i benpensanti dei palazzi e delle curie; ovvero a respingerli per paura, con convinzione o con rimorso. Chi non sente che il cristianesimo non dovrebbe essere che quello di Bloy? Ma se così fosse, non sarebbe quasi di nessuno. Il suo rifiuto medievale del mondo quale si presenta nella Francia neoindustriale e stroz zina è totale, simile e opposto a quello di Huysmans; ed egli ne accetta tutte le conseguenze Stentò a pubblicare i suoi libri, che spesso vennero stroncati e rimasero invenduti. Invitato a collaborare al Figaro il 27 febbraio del 1892, il 2 maggio veniva già congedato. Il 14 luglio parte da Parigi alla volta di Médan per far visita a Zola e parlargli dei cimeli di Barbey d'Aurevilly, il suo maestro defunto da poco. Fu fatto attendere nell'anticamera di quella casa «volgarmente opulenta» per sentirsi dire dal domestico che «il signore non può riceverla perché ha gente e non può esser disturbato». Tutto questo incupisce un'a nima già portata al vituperio e all'apocalittico, in una sorta d visione escrementizia della borghesia avida ed egoista, di una religione compromessa e affari sta. I rari momenti di beatitu dine gli vengono dalla propria famiglia straziata da sventure inenarrabili e dalla forza di una fede biblica, profetica; dalle sercizio di una pietà sconfinata verso «i sanguinanti, i singhiozzanti, i maledetti, i disperati», una pietà coerente e pagante. Arrivato giovane a Pari gi dal Périgord, Bloy raccoglie dal marciapiede una sventurata bretone, Anne-Marie Roulé; e come anni prima egli era stato «inchiodato quale una civetta pia alla porta radiosa della Chiesa di Gesù Cristo», così conduce ora Anne-Marie Sacré-Coeur per «la sua Dama sco». Ma la poveretta entra an che nella sfera visionaria per correndola sino in fondo, sino al ricovero in un ospizio da cui non uscirà più. Dall'«idillio mi stico» con Anne-Marie nasce La Désespérée, pubblicato grazie alla complicità di un giornalaio e di un tipografo, attratti dal'anticonformismo di quell'attacco furioso alla società. Nel '90 Bloy sposa una luterana danese, Jeanne Molbech, che abiura e passa al suo cattoicesimo. Gli sarà compagna devota sino alla fine, mentre intorno a quel marito «mendicante ingrato e panflettiere feroce», come viene bollato, crescerà il vuoto. Le domestiche asceranno via via le case tristi e fredde, dove i Bloy sono costretti a traslocare in continuazione e dove raccolgono ragazze malate e suicidi mancati. Bloy impegna per venti volte le fedi nuziali, in dieci anni riesce ad acquistare solo una volta un cappello, una volta va a mendicare. Passano l'Epifania del 1895 senza legna nella stufa e a Pentecoste con una sola insaata. Qualche amico organizza otterie per sfamarli. L'unica luce che entra in quella «caverna» fu, il 20 giugno del 1905, quella che vi portò l'ingresso di due giovani sposi, Jacques e Rai'ssa Maritain: lui «uno di quegli idealisti che ignorano Dio, ma che si lasciano trascinare per i capelli o per i piedi sulla scala della Luce», lei «un essere affascinante e così fragile in cui c'è un'anima capace di genuflettere le querce». Anche Maritain e questa piccola ebrea russa dovranno all'«uraganoso» Bloy, come lo definisce Giuliotti, la loro nuo va fede. Còsi com'era Bloy era «uraganoso» anche nello scrivere. Sentenzia e giudica senza riguardi, senza reticenze e furbi zie, col rischio di rovinose cadu te. Mena fendenti senza risparmiare nessuno, non esalta nes suno se non i vinti. Il vano e Uri cheggiante Chateaubriand Io disgusta, «quell'imbecille di Tolstoi» non capì e si fermò a mezza strada. Bianco è bianco e nero è nero; altro che gli equili brismi della politica, i compromessi della morale, la banalità dei luoghi comuni! Si sentiva un membro del re gno dello Spirito, come Gioachino da Fiore e Giovanna d'Arco. Attendeva la fine dei tempi e intanto si scaglia con tro l'anestesia e l'ora legale. Contro l'anestesia Registra le catastrofi naturali inondazioni della Senna, incendio all'Esposizione di Bruxel les, il terremoto di San Franci sco del 1906 come moniti e an nunci dell'avvento del Giudice universale. Lo scoppio della Prima guerra mondiale lo lascia indifferen te; non era per lui che «l'alzars del sipario». Fugge una dome stica con il loro ultimo gruzzolo e lui commenta: «Quel che ca pita è adorabile». Si può dubi tare che nel titolo della sua ope ra più famosa, l'Umanesimo integrale, Maritain abbia ricordato l'epiteto di «cristiano integra le» che si dava Leon Bloy. Se ne sarà ricordato anche l'onorevo le Forlani? Carlo Bo in un recente arti colo su Lingua e letteratura, co me Sergio Quinzio nell'intro duzione esauriente al Pellegrino dell'assoluto, si chiede cosa colpì Maritain in questo spirito così diverso dal suo, che non aveva scelto il criterio del confronto e della misura ma quello dell'aggressione, anche al cielo: s'inchinò, risponde, alla sua lotta disperata, poiché vi vide dei motivi e delle ragioni che la sua filosofia ignorava. Carlo Carena

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