«Perché Honecker deve pagare»

«Perché Honecker deve pagare» Intervista con il responsabile degli ex archivi Stasi, il Grande Inquisitore per i crimini della vecchia Ddr «Perché Honecker deve pagare» Gauck: emergenza giuridica come in Sicilia BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Erich Honecker, ex capo della Germania Est, sarà probabilmente il primo dirigente comunista a subire un regolare processo. Ma sarà giudicato responsabile dei delitti, della dittatura? E come reagiranno i giudici alle argomentazioni della difesa, secondo cui non fu propriamente crimine il suo, visto che la legge in Ddr non vietava di sparare sui fuggitivi? Con queste e altre domande mi rivolgo a Joachim Gauck, il plenipotenziario che dirige a Berlino l'alta autorità incaricata di riordinare gli archivi della Stasi, e di renderli accessibili a chi vuol conoscere le attività della famigerata polizia politica, e di allontanare dalle cariche pubbliche i suoi agenti segreti. Resistente della prima ora, già pastore protestante a Rostock, Gauck è oggi una delle personalità più controverse in Germania. Favorevole all'epurazione, contrario alle amnistie, Gauck è ammirato dai molti che chiedono giustizia in ex Ddr, ed esecrato da chi vuol chiudere gli archivi, a Est come a Ovest. «Grande inquisitore», lo ha definito Stefan Heym, scrittore vicino al regime comunista. Gauck è convinto che l'ora sia venuta, per i tedeschi, di guardare in faccia i due passati che hanno alle spalle: il nazista, e il comunista. Una convinzione scomoda, in Germania. «Su Honecker non sono ottimista, lo ammetto. Ed è chiaro che il principio base dello Stato di diritto - il "nulla poena sine lege", l'impossibilità di punire un delitto quando non esistono leggi precedenti che lo definiscano tale - rischia di giocare a suo favore. Ma rischia in una logica formalistica pura, che non fa differenza fra legalità democratica e legalità fittizia, totalitaria. Il formalismo giuridico dimentica che le leggi sono istituite per assicurare la giustizia. E che il "nulla poena sine lege" vale a condizione che il potere abbia - del diritto - una qualche consapevolezza: condizione non certo riempita, nelle dittature comuniste. «C'è infine la responsabilità politica di Honecker, su cui occorre sia fatta luce. Karl Jaspers diceva, dopo il nazismo, che accanto alla responsabilità giuridica, e a quella morale-privata, esiste anche una responsabilità politica, da denunciare pubblicamente. Honecker può cavarsela giuridicamente ma al processo spero che appaia almeno come responsabile della politica che ha fatto: e responsabile comunque, a prescindere dalle ipocrisie collaborazioniste degli occidentali. In caso contrario, avremo una situazione in cui i dirigenti politici non saranno giudicati responsabili più di nulla, né a Est né a Ovest, e il disgusto della gente per la politica si dilaterà. Di questo disgusto ho un grandissimo timore, in questo momento». Bàrbel Bohley, dissidente in ex Ddr, ha detto una volta: «Volevamo la giustizia, e ab' biamo ottenuto lo Stato di diritto». E' una conclusione che si sente di condividere? Non condivido la sfiducia verso le istituzioni democratiche: troppo a lungo le abbiamo invocate, per poterle adesso denigrare. E neppure un momento dovremmo dimenticare da dove veniamo, l'illegalità permanente in cui abbiamo vissuto. La separazione dei poteri che abbiamo oggi è pur sempre una grande conquista. Tuttavia capisco bene la delusione di Bohley, ed è vero che esistono situazioni in cui lo Stato di diritto si rivela incapace di appagare i grandi bisogni di giustizia. Sono situazioni in cui non c'è più adeguazione fra i mezzi fomiti dalla procedura giuridica classica e l'enormità delle ingiustizie che la gente ha patito, e che vorrebbe veder penalizzate. La lotta contro la mafia, in Italia, ricorda da vicino le battaglie dell'Est per ottenere giustizia. Tutti sanno da dove vengono i soldi del mafioso, tutti sanno quali sono i crimini del comunismo: ma in ambedue i casi sapere non vuol dire ottenere riparazione. Il garantismo giuridico vi si oppone, basta un avvocato astuto che sappia sfruttare le minuscole lacune di una dimostrazione ed ecco il delinquente rimesso in libertà, più protetto dallo Stato di diritto di quanto non lo sia la vittima. Per fronteggiare tali situazioni occorrerebbe riconoscere che siamo in emergenza, mostrarsi inventivi sul piano giuridico, capire che uscire dal passato mafioso o comunista è un'operazione eccezionale, simile a quelle imposte da una catastrofe naturale. Ma i liberali d'Occidente non si accorgono che questa è la sfida a cui debbono rispondere. Non è moderno rivangare nel passato - ripetono qui in Germania -, non è elegante far processi, epurare sulla base delle prove offerte dai miei uffici. I liberal-progressisti sono assai comprensivi nei confronti dei crimini comunisti: «Chissà come avremmo agito noi - vanno esclamando - e in fondo tutti abbiamo normalmente collaborato». Lo scrittore Peter Schneider ha descritto stupendamente questa vocazione a giudicare il male una normalità: «Atteggiamenti simili servono il delinquente - ha detto -, nel club dei contriti il delinquente si sente a suo agio». Chi sono i più contriti, in Germania? Non sono necessariamente coloro che hanno convinzioni di sinistra profonde. Per solito i contriti hanno giusto una pennellatura di sinistra. Hanno un «touch», come l'ex sessantottino o il liberale che scrive su Die Zeit o Stern. Ed è straordinario come sia duro a morire, quello che era solo un «touch». Il socialdemocratico d'antica data può invece esser scosso, riscoprire le sue radici anticomuniste: ma purtroppo sono pochi anziani, a subire la scossa. Questo atteggiamento «normalizzatore» che effetti ha sull'Est? Ha effetti disastrosi perché i tedeschi orientali vorrebbero oc- cuparsi del passato, in migliaia si presentano ogni giorno ai miei uffici e vogliono sapere chi ha tradito, e perché. Al tempo stesso, però, s'accorgono che l'Occidente non si interessa a tutto ciò, che i capitalisti rossi si integrano perfettamente: che vincono insomma i moderni, i cosiddetti pragmatici, i senza-memoria. Che avevano ragione quelli che dicevano: è facile la democrazia, è come una moda. Basta cambiare abito e «dirsi» democratici, occidentali. Basta vivere la democrazia come quelle réclames in cui vedi una bella donna tuffarsi nell'acqua azzurra e riemergere con i capelli meravigliosamente lisci, lucidi. La democrazia è quell'acqua azzurra, è quell'ineffabile prodotto per i capelli. Ma tutto questo è un gioco mimetico: si fa finta di essere occidentali, li si imita. Tutti ci provano in questo momento: a Est, in Medio Oriente. E siccome l'imitazione non può mai riuscire ci si sente poi tristi, e nasce il risentimento: un risentimento terribile, pieno di rancore distruttivo verso le democrazie occidentali. Un risentimento assai bene sfruttato dalle nomenklatu- re, a Est. Non è per cancellare le responsabilità comuniste che hanno creato il movimento degli sfruttati dell'Est, in Germania? Sì, nel club dei contriti tutti diventano colpevoli. O collettivamente innocenti, permanentemente vittime. Il club dei contriti è il tentativo di allontanare dalla gente l'ora in cui ti accorgi che dipende da te fare il bene o il male. E' il tentativo di mantenere la Germania Est nelle stato di minorenne in cui ha vissuto per oltre mezzo secolo, se si sommano gli anni del nazismo e del comunismo. Il minorenne sarà sempre portato a puntare il dito sul padre-padrone. Oggi il padrepadrone è Kohl: tanto adorato prima, tanto più odiato oggi. Una delle tesi del club dei contriti è che non ha senso epurare, visto che la colpa è collettiva. Proprio per questo è essenziale tenere aperti gli archivi. Sono gli archivi stessi a dimostrare, infatti, che la colpa collettiva è un'invenzione. Su 16 milioni di abitanti, hanno collaborato in 150-170 mila. Non sono pochi, ma non è un popolo. E' per senso di dovere nei confronti dei molti che non hanno collaborato, è per rendere omaggio ai pochi che hanno resistito, che occorre nominare i responsabili, e far sì che paghino un prezzo. Occorre capire che in democrazia si entra con un bagaglio, e che questo bagaglio è la storia della nostra vita, che ci interroga: come sono divenuto quello che sono? Cosa mi ha spinto a cedere, oppure a resistere? Il comunismo è questa dura realtà, sono questi fatti. Non è una «idea» da discutere, in astratto, fra collaborazionisti e liberali d'Occidente. Questa tendenza a concettualizzare il passato comunista si rafforza, soprattutto dopo le rivelazioni sul passato collaborazionista di Stolpe, il presidente socialdemocratico del Land di Brandeburgo ed ex rappresentante della gerarchia protestante in Ddr. La véra offensiva contro il suo lavoro, Gauck, è cominciata con Stolpe. Sì, tutti gli establishment tremano, nell'affare Stolpe: i vertici protestanti, la socialdemocrazia, e anche la democrazia cristiana. D'improvviso è apparso chiaro che la collaborazione è un fenomeno anche occidentale. Ma il vero scandalo è un altro, a mio parere: è la maniera in cui Stolpe ha cominciato a filosofare sulla collaboral di ti dll zione, a parlare di etica della responsabilità e della convinzione, a spiegare come in fondo collaborare fosse un esempio di etica weberiana della responsabilità, e resistere un esempio di etica della convinzione, se non di «fondamentalismo». Se ti stacchi in questa maniera dai fatti, ogni cosa diventa oggetto di «interessanti» discussioni, e il male diventa normale, e tradire addirittura un merito. I tedeschi sono così bravi a mettere ogni cosa per benino a posto nei cervelli, quando la realtà terrena appare disperata! E' stato così dopo il nazismo, ed è così dopo il comunismo. E' il motivo per cui son convinto che la Germania ha due passati da rielaborare, oggi. Per riuscire a farlo occorrerebbe tuttavia paragonare i due totalitarismi Cosa non semplice, per i liberali. Ma cosa più che necessaria! La gente deve cominciare a scoprire che l'anticomunismo era un im perativo morale, a Est, esatta mente come durante il nazismo era un imperativo l'antifascismo. Che non è precisamente una virtù aver combattuto e denunciato uno solo degli orrori del secolo. Naturalmente so che il nazismo tedesco è stato infinita mente più crudele del comunismo tedesco. Ma se nazismo e comunismo sono paragonati sul piano mondiale le somiglianze sono evidenti, testimoniabili dagli scampati. Quanto ai tedeschi, quel che conta è la maniera in cui vivono, regolarmente, le dittature: l'obbedienza che precorre l'ordine del superiore, questo è il loro vizio ricorrente. Fra i dissidenti c'è chi si lamenta perché l'epurazione colpisce la Stasi, e non i capi comunisti. Avrei preferito anch'io che pagassero anche i dirigenti comunisti, come nella legge cecoslovacca, e trovo assai ingiusto che il piccolo agente De Maizière debba lasciare il Parlamento, mentre il comunista Modrow continua a essere deputato. Ma la Stasi resta fondamentale, perché in essa si perpetuava - al di là dei cambiamenti di linea - la struttura stalinista del regime. La Stasi, con la sua mania di sorvegliare ogni individuo, prova l'esistenza del totalitarismo in Ddr. A volte mi domando se le Chiese, protestanti o cattoliche, tedesche o polacche, non siano interessate a chiudere gli archivi per meglio tutelare i contriti-minorenni. Non tutte le gerarchie protestanti sono contro l'epurazione, in ex Ddr. In Polonia, credo che il fastidio suscitato dall'epurazione nasca dall'ansia di una élite che a tutti i costi vuol preservare l'immagine eroica della nazione, dunque di se stessa. E la Chiesa cattolica incarnava la nazione assai più dei protestanti in Ddr, che erano una Chiesa di minoranza, in diaspora. Comunque è vero che i cristiani sono spesso ambigui. Che tendono a dire, citando magari San Paolo: «Siamo tutti colpevoli». E in ciò sbagliano, perché se le parole di San Paolo le applichi alla politica non avrai più una società capace di agire: tutti i gatti saranno grigi e il delitto diverrà infinitamente umano, comprensibile. «Tutti siamo colpevoli», in politica, vuol dire rinunciare alla giustizia, non esser più responsabili d'alcunché, scagionare tutti. Vuol dire vivere appiattiti sulla reclame: senza più il fardello del passato, in un presente che è finzione pura. Barbara Spinelli Sopra il cancelliere Helmut Kohl. A lato l'ex leader della Ddr Erich Honecker Manfred Stolpe, presidente socialdemocratico del Land di Brandeburgo e ex rappresentante della gerarchia protestante nella Ddr. Dopo le rivelazioni sul suo passato collaborazionista, dice Joachim Gauck, «tutti gli establishment tremano, anche a Occidente»