E alla fine Carvalho s'abbuffò di Ginseng

E alla fine Carvalho s'abbuffò di Ginseng SABOTAGGIO OLIMPICO Si conclude il giallo di Manuel Vàzquez Montalbàn per «La Stampa» E alla fine Carvalho s'abbuffò di Ginseng EA cerimonia di chiusura cominciò in ritardo perché il sindaco di Barcellona salì sul tripode dove bruciava la fiamma olimpica e rifiutò di farla spegnere, con la chimerica volontà che i Giochi non finissero mai. Samaranch invece si presentò allo stadio con le valigie già pronte e gli indispensabui bauli Vuitton. I re di Spagna, le autorità locali e la stampa, tutti, ma proprio tutti, fecero pressione sul sindaco che non intendeva lasciarsi togliere i Giochi. «Qui abbiamo tutto pronto. Tra quattro anni li potremmo ripetere». Una disposizione del primo ministro accettava le dimissioni del ministro dell'Interno Corcuera, ingaggiato dalla regina d'Inghilterra per rafforzare la sicurezza nelle residenze reali. Ma Corcuera con riflesso condizionato fece ancora in tempo ad avvicinare la faccia a quella di Carvalho, più per masticare che per dire: «Ci incontreremo di nuovo, annusapatte...». Sbuffava impaziente il cavallo della principessa Anna in attesa del torero, e quando sentì in groppa Corcuera e la principessa partì dalla porta di Maratona proprio mentre la malinconia si impadroniva dello stadio, di Barcellona, della Catalogna e i media di tutto il mondo cominciavano a cercare insistentemente al telefono Margaret Mitchell per spremerle notizie su Atlanta. Circolavano echi contraddittori su un tentativo di sbarco della flotta nordamericana nella futura capitale olimpica, nel caso vi fossero narcotrafficanti o armi chimiche, tenuto conto della nota abilità di Saddam Hussein a nascondere sempre, ma proprio sempre, quello che Bush sta cercando. Nel fare Ù bilancio del suo contributo ai Giochi olimpici, Carvalho ammise che non si era scostato per niente dal ruolo abituale. E nemmeno dal rituale di seguire un filo argomentale, questa volta strumentalizzato da Samaranch e dagli sponsor per mantenere la tensione tra suolo e sottosuolo olimpici. La responsabilità delle rappresentazioni sacre sulla modernizzazione della Spagna ricadeva di nuovo, e del tutto, su Siviglia, sull'Expo, con i suoi rantoli finali, e i politici urbani e globali cominciavano a calcolare quanto denaro, quanta gente, quanti sponsor, quanti atleti sarebbero serviti affinché tutto ciò che era stato costruito per i Giochi continuasse ad avere un senso, vale a dire uno scopo. E' vero che u sindaco Maragall aveva preso l'abitudine quotidiana di visitare una a una le costruzioni che avevano mutato Barcellona, quasi passandole in rivista, e talvolta gridava in estasi come se qualcuno avesse vinto una nuova medaglia olimpica o battuto un record. Gli avversari politici del sindaco preparavano i conti in grado di evidenziare lo spreco senza precedenti che avrebbe trasformato i cittadini, i loro figli e i figli dei loro figli in debitori esterni e interni per molti anni del XXI secolo. Il colonnello Parrà, con le,.forze di protezione in attesa di una possibile invasione jugoslava, sosteneva che le contraddizioni si stavano acutizzando e il filosofo Rupert dos Ventos se ne tornò al suo ritirato giardino. Barcellona, piena di alberghi, uffici, piazze spoglie, circonvallazioni, gallerie, aspettava che arrivassero quei principi stranieri delle canzoni tradizionali del XVH e del XVTII secolo, principi che l'avrebbero sposata per portarla al Nord. Non per nulla uno dei suoi poeti più romantici l'aveva chiamata «città vedova», e un altro tra i più postromantici ne parlava indicando il Nord, come quel luogo da cui nessuno vuole far ritorno. Ottenuta la nazionalità americana, grazie ai maneggi di Arnold, la culturista serba cambiò sesso e ideologia e, fu l'asso di Wimbledóh, battendo in finale Jim Courier con un fulminante 6-0, 6-1, 6-3. Carvalho decise di tornarsene a casa e riconsiderare la sequenza in cui era stata occupata dalle forze di sicurezza del sistema. Ma non poteva lasciarsi andare così all'oblio, alla malinconia o ai suoi rovesci: la memoria e l'indignazione morale. Perché o contro chi? Il mondo era stato definitivamente fatto, male ma fatto, e davanti all'evidenza di quanto fosse facile truccare le evidenze, non già personali bensì collettive, bisognava disintossicarsi di ogni prurito di resistenza. Per esempio, perché non tornare alla sessualità? Negli ultimi tempi i critici più anziani sembravano accogliere i romanzi di Carvalho al grido di «Benvenuto nel club degli svogliati sessuali». Infatti, rotto ogni legame con Charo, resasi pericolosa la proposta diretta in un gioco di rapporti sfumati da tutte le testure dei diversi tipi di preservativo, il sesso era man mano scomparso dalla sua vita e, quando lo faceva, ritrovava un certo carattere forzosamente esibizionista nella circostanza, come se si trattasse di provare che «ancora ce la faceva» o che forse «ancora doveva», tenuto conto delle sue caratteristiche di eroe letterario eclettico e precostruito, in cui la sessualità aveva avuto un ruolo assai importante nei primi dieci anni di scrittura postfranchista. Ma adesso? Uscire per strada alla conquista di corpi e cervelli trincerati dietro intere vite, senza la risorsa di domandare ancora: «Raccontami come eri... quando...». Quando che cosa? Oppure. «Vorrei invecchiare insieme a te...». Ancora di più? Invecchiare ancora di più? Nella solitudine della sua placenta artificiale, Carvalho venne colto dall'angoscia di una rivelazione eccessiva: nel mondo si assassinava, si uccideva, si amava, si organizzavano feste e olimpiadi per paura. Tutto si faceva per paura, sempre, e l'unica operazione intellettuale riuscita consisteva nel far passare per necessità la paura. La cena fu eccellente. Un pasticcio di funghi, i primi arrivati al mercato della Boquerìa, cantarelli che i catalani chiamavano rossinyols e una casseruola di trippa al sidro rafforzati da dragoncello, chiodi di garofano e un bicchiere di Calvaos, Carvalho bruciò nel caminetto il libro di Simpson e Jennings I signori dei cerchi, ormai inutilmente antiolimpico, e Lo sport del potere, di Espada y Boix, ultimo tentativo di porre Samaranch nella Storia e non sull'Olimpo. Inghiottì 50 pasticche di Ginseng Rosso Coreano per verificarne gli effetti o per suicidarsi sessualmente e si addormentò. All'alba lo svegliarono i petardi che festeggiavano la fine dei Giochi e una portentosa erezione più o meno in mezzo al corpo. Si guardarono Carvalho e il figlio prediletto. Lo sguardo del padre costrinse il ragazzo a ritirarsi. In fin dei conti, perché? A che scopo?'Era un disegno di Walt Disney? Di Mariscal? Manuel Vàzquez Montalbàn [FINE] Traduzione di Hado Lyria copyright «La Stampa» Barcellona sogna principi azzurri. La morale? Tutto si fa per paura La scrittrice Margaret Mitchell, autrice di «Via col vento»: lunghe telefonate per spremerle notizie su Atlanta 18* E ULTIMA PUNTATA