MOSCA mille lire d'umorismo
MOSCA mille lire d'umorismoMOSCA mille lire d'umorismo GIOVANNI Mosca aveva sedici anni, nel 1924, quando il socialista Giacomo Matteotti fu ucciso perché dava noia a Benito Mussolini. Il ragazzo Mosca non s'interessava di politica, ma la rivolta morale che percorse il Paese contagiò anche lui. Fece un grande disegno raffigurante alla meglio un cane da fiuto che trascinava un carabiniere verso il cumulo di terra e di erbacce sotto il quale giaceva il cadavere, ci scrisse sotto a caratteri di scatola: «Mussolini, cave canem!» e la sera del 16 agosto andò a incollare il tutto sul basamento della statua di Pasquino. A casa, non disse nulla per non inquietare i suoi. Ma un paio di volte al giorno passava davanti alla statua.il disegno restò intatto per una settimana. Poi sparì. Ma il ragazzo Mosca si compiacque di credere di aver suggerito l'idea a un disegnatore del «Becco Giallo», il giornale d'opposizione più intransigente ed esasperato. La vignetta del «cave canem» fece il giro di Roma. E il ragazzo Mosca la portò a casa appunto in una copia del giornale di Alberto Giannini. Stava quasi per confessare la sua parte d'ispiratore. «Gente coraggiosa», disse il padre, Benedetto Mosca, impiegato dello Stato, al ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, ma tolse di mano al figlio quel «Becco Giallo», lo stracciò e lo bruciò addirittura, commentando: «Sei un ragazzo, e queste cose non ti riguardano...». Il ragazzo Mosca, come gran parte degli italiani, si aspettava l'inevitabile caduta di Mussolini, che pareva proprio restato solo con i suoi squadristi, le sue facce da galera, contro tutti. Ma gli oppositori fecero a gara per salvarlo, dargli tempo di meditare il contrattacco e addirittura sostenerlo. Al ragazzo Mosca che non s'interessava di politica (anzi non avrebbe dovuto interessarsene per ordine paterno) parve, comunque, incomprensibile che i deputati, su istanza di Filippo Turati e Giovanni Amendola, si ritirassero sull'Aventino ad aspettare che Mussolini provasse la sua completa innocenza nel delitto perpetrato dai suoi bravi. E parve ancor più incomprensibile che i senatori, che non si erano ritirati sull'Aventino, facessero ancor di peggio, concedendo, per tutta opposizione, la fiducia a Mussolini, secondo la lungimirante intuizione di Benedetto Croce che, votando in tal modo, lo si sarebbe sottratto alla stretta del fascismo estremista e se ne sarebbe fatto un liberalconservatore. E il 3 gennaio 1925 Mussolini celebrò con un duro discorso il trionfo del velleitarismo antifascista. C'è davvero da scandalizzarsi se per l'uomo Mosca il concetto di antifascismo suonò sempre equivoco come un tentativo di millantato credito? Maestro elementare, in grado di domare una quarta B della scuola «Dante Alighieri» che nessuno prima di lui era riuscito a governare, ma desideroso di affermarsi nel giornalismo, Giovanni Mosca fece in fretta a imparare che non aveva grandi possibilità nella stampa meramente di regime. Gli bastò un incidente con «Roma Fascista»: «Un articolo per quest'ultima dispiacque, così che la mia carriera in giornali di regime terminò prestissimo. Non potevo dirmi antifascista, semplicemente possedevo un certo senso dell'umorismo che mi permetteva di cogliere l'aspetto ridicolo delle cose, e quanto più le si spacciava per serie tanto più ero tentato di mostrare quanto buffa ne fosse la sostanza», scrisse nel libro di ricordi «La signora Teresa» (Rizzoli, 1977). «Ho passato la mia vita a esercitare questo mestiere: i più che vent'anni di regime fascista e i trent'anni abbondanti di regime antifascista. Cosa tutt'altro che allegra. Si finisce col diventare dei solitari...». La situazione non cambiò nei sei anni in cui Giovanni Mosca sopravvisse a questa dichiarazione. Scriveva, disegnava e pub- blicava dal 1929. Il primo giornale a pubblicare le sue cose era stato «Il Cianchettini». Lo faceva Filiberto Scarpelli (quello che firmava con una specie di rebus: il disegnetto di due scarpe con l'aggiunta di due «elle» e una «i») in concorrenza con «Il Travaso delle Idee» da cui era stato licenziato nel 1928, scontando nell'assestamente progressivamente totalitario del regime le vignette impertinenti del tempo della Marcia su Roma e soprattutto quelle del tempo del delitto Matteotti, meno ardite e potenti di quelle del popolaresco «Becco Giallo» ma più suggestive e convincenti per i lettori borghesi. «Il Travaso delle Idee» era sopravvissuto alle leggi cosiddette fascistissime sulla stampa, ma Mussolini aveva pensato che si potesse benissimo fare a meno del suo direttore. E Scarpelli, per rivalsa, aveva fondato «Il Cianchettini», dal cognome del vecchiolino bizzarro Tito Livio Cianchettini che per primo aveva portato in giro nelle strade della capitale un giornaletto quotidiano manoscritto intitolato «Il Travaso delle Idee». Scarpelli aveva voluto, insomma, tornare alle origini, ma non aveva avuto fortuna. «Il Cianchettini» non era durato neppure dalla fine' dell'estate del 1928 all'inizio della primavera del 1929. Una vignetta sul Concordato giudicata irriverente lo aveva in un certo senso salvato, facendolo morire per ordine del Pnf, dalla vergogna di morire per mancanza di lettori. Ma, intanto, aveva pubblicato, pur non firmandoli con la firma giusta e neppure compensandoli con un centesimo, articoli e disegni di Giovanni Mosca. Il futuro giornale che Scarpelli aveva promesso al gratuito e anonimo collaboratore Mosca non sarebbe mai uscito. Un oste del Vicolo della Lupa, dalle parti di via Margutta, vantante un incancrenito credito mai soddisfatto, avrebbe ucciso Scarpelli a colpi di pistola e la notizia non sarebbe neppure apparsa sui giornali. Ma nel 1931 uscì a Roma il bisettimanale satirico «Marc'Aurelio» e così Giovanni Mosca diventò Mosca e basta, l'insidiosa, irriverente, irresistibile Mosca nostalgica e surrealista dell'umorismo italiano. «Il "Marc'Aurelio" ebbe ÈS^J;-r-^'-=-*5vììsS=j Dopo diciolto secoli-. £«-£S: i i § | ] pedoni: - O qoc] lignore piccolo, nunnafnjia «l'i riIktU, che di :rr fiorai il nUKhiiui ■ noi ^• e d £rcp tulio 11
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