BYRON Un dongiovanni che amava gli scandali

BYRON Un dongiovanni che amava gli scandali BYRONUn dongiovanni che amava gli scandali Un dongiovanr^ che amava Dopo i colori del Caravaggio, ecco gli amori scandalosi di Byron. Vincenzo Cerami indaga oltre i cliché dell'eroe romantico. Del poeta inglese (1788-1824) è da poco uscito nella Bur Rizzoli il DonJuan, il Canto primo con testo a fronte, tradotto in ottava rima da Giuliano Dego (pp. 208, L. 10.000). In libreria sono disponibili i Diari (Theoria), la Vita attraverso le lettere (Einaudi), una biografia scritta da Elisabeth Lòngford (Rusconi). "■JT A madre era bruttina, ! i paffutella, e forse pro! prio per questo ben i 1 nutrita anche di rancori. Malgrado fosse una Stuart, discenJ dente diretta di Giaco . I j mo I, non si faceva j I J scrupoli a prendere a -BL^S padellate in testa il piccolo Lord George Gordon Byron perché si muoveva goffamente per la casa trascinando un piede informe. Il futuro grande poeta inglese, protagonista assoluto di un'epoca, ambito dai migliori salotti d'Europa, inseguito dalle tremebonde ragazzine dell'alta società - che si travestivano addirittura da cameriere pur di avvicinarlo - era nato infatti con una malformazione ad un arto. Si dice a causa dell'uscita forzata e disagevole dal corpo di una donna così poco generosa. Racconta Stendhal di averlo incontrato una sera d'autunno del 1816 in un palchetto della Scala. Non l'aveva mai visto di persona e gli sedeva accanto, ospiti entrambi di un amico comune. Stendhal non sapeva chi fosse quel taciturno aristocratico inglese, tuttavia sentiva che nel palco s'era formato un silenzio pieno di soggezione e di solennità. Finalmente ci furono le presentazioni, sullo stile di quelle che si vedono nei brutti sceneggiati: «Signor Beyle, questo è Lord Byron! Lord Byron, questo è Henri Beyle Stendhal!». Lo scrittore francese fissò in volto un giovane piuttosto minuto e dagli occhi rilucenti d'orgoglio. L'amico cercò di farli parlare, ma fu impossibile. Dice Stendhal: «Ero pieno di timidezza e di tenerezza. Se ne avessi avuto il coraggio, avrei pianto e baciato la mano a Byron». Il raffinatissimo poeta londinese aveva lasciato sdegnosamente la sua patria proprio quell'anno. La buona società l'aveva messo alla gogna in seguito al processo di separazione voluto dalla moglie, Anne Isabella Milbanke, ribattezzata dal marito «la principessa dei parallelogrammi» per il suo carattere geometrico, integerrimo e certosino. Eppure i primi due canti del poema Childe Harold's pUgrimage («Le peregrinazioni del giovane Harold»), pubblicati quattro anni prima, avevano immediatamente regalato a Byron la celebrità e l'entusiastica accoglienza alla Camera dei Lords. I versi di Byron finirono in tutte le case che contavano: il traffico, da- vanti all'abitazione del giovane talento, al numero 8 di St. James Street, spesso si bloccava per il gran numero di carrozze che recavano, per mano dei vetturini, centinaia di inviti a cena. Era vero che il poema di Byron traboccava di sensualità, di esibizionismo, di anticonformismo, di slanci lirici e di esortazioni all'insurrezione. Ma era anche vero che i lettori più colti non identificavano il personaggio dissipato e stravagante di Harold con il suo autore: identificazione, che invece mandava in visibilio le ragazzine tutto pepe della Londra borghese. Già dai giorni successivi a quella pubblicazione cominciarono a circolare per tutta l'Inghilterra voci sempre più inquietanti sul giovane barone toccato dalla fortuna. Byron divenne presto il ritratto stesso di Satana: debiti, sesso sfrenato, infedeltà, amori omosessuali, disprezzo dei valori morali costituiti, violazione d'ogni tabù. Della separazione dalla moglie fu causa, infatti, il suo rapporto incestuoso con la sorellastra Augusta. E lui, pur negando, non si tratteneva dall'esaltare ogni sorta d'amore, compreso «l'amore che non si deve amare». L'alta società londinese, di fronte all'evidenza dei suoi delitti, convinta che il fatto non si può disfare, gli tolse i favori e lo costrinse a lasciare la patria. Byron se ne andò, ma senza privarsi di un'ultima, bruciante provocazione. Si imbarcò a Dover tra una folla di curiosi e di fanatici ammiratori per posare di lì a poco il piede zoppo sulla banchina del porto di Ostenda, in Fiandra. Il giovane esule salì a bordo di un'enorme carrozza simile a quella di Napoleone, il leggendario imperatore di Francia, da poco fatto prigioniero dagli inglesi. Lo sguardo smarrito nelle pianure brumose delle campagne belghe, Byron giunse fino al cuore dei lugubri campi di Waterloo, dove ancora erano vivi i segni della recente battaglia. Dai finestrini di quella carrozza nera e oro, le ruote che affondavano nella fanghiglia abbrunata dal sangue dei soldati uccisi, Lord Byron osservava con romantico struggimento la desolazione creata dai mah della storia. L'incontro con l'altro grande poeta inglese, anch'egH un rinnegato, Percy Bysshe Shelley, espulso da Oxford per aver pubblicato un opuscolo dal titolo Necessità dell'ateismo, sembrava scritto nel destino di entrambi. I due si conobbero in Svizzera l'anno stesso della partenza di Byron dall'Inghilterra. Ne nacque un'amicizia profonda e fedele. Shelley, più giovane di quattro anni, non era meno colto, passionale e visionario di Byron: la sua giovane vita di romantico impenitente aveva già collezionato una cacciata dal collegio, la rottura definitiva con il padre, una moglie sedicenne suicida, l'odio della società inglese. E gli stava preparando altri lutti in famiglia, altri tradimenti d'amore e una terribile tempesta sul mare di Lerici : Shelley morirà affogato l'8 luglio 1822, all'età di trent'anni, durante una gita in barca. Il corpo del poeta venne ritrovato dieci giorni dopo e fu cremato, con un rituale antico, sulla spiaggia di Viareggio: Byron era là, soffocato dalla commozione, i neri capelli al vento. Si dice che sia stato lui in persona a dar fuoco alla pira su cui giaceva il cadavere di Shelley. Avevano passato molti momenti insieme, in Svizzera e in Italia. Shelley era con sua moglie Mary e Byron fece innamorare di sé la sorellastra di lei, Claire Clairmont: un'altra storia d'amore e di tormenti. Le giornate passavano piacevoli, accaldate da vivaci conversazioni politiche e filosofiche o concentrate nella solitudine della scrittura. «Frankenstein», il fortunato e bellissimo romanzo scritto da Mary Shelley, si deve indirettamente a Byron. Un bel giorno l'ospite aveva proposto agli amici: «Ciascuno di noi scriverà una storia di fantasmi». Byron aveva un modo tutto suo di scrivere, diventato leggendario o forse dalla leggenda inventato. Se ne stava in piedi, come un pittore o come il modello di un pittore, quasi nudo, in una mano la penna, nell'altra una bottiglia. Anche se vagava esule per l'Europa, il poeta diventava sempre più un mito in Inghilterra. Il suo Don Juan provocò una vera e propria esplosione nel mondo editoriale londinese. Vennero stampate edizioni su edizioni, al- le quali si aggiungevano le centinaia di migliaia di pubblicazioni pirata. Ma Byron, sempre più invaso dal pessimismo, fino a trovare nella comicità la migliore espressione del dolore, apriva spazi pericolosi nella sua anima narcisista, dava crescente sostanza alla sua concezione eroica della vita. Agli ideali di libertà non voleva offrire più solo il suo genio, ma intendeva mettere addirittura in gioco tutto se stesso. In Italia aveva lavorato a fianco dei patrioti carbonari per l'Indipendenza e l'Unità nazionale. Ora, nella ricorrenza del funerale di Shelley, esattamente un anno dopo la morte del suo migliore amico, Byron, eletto membro del comitato greco di Londra che combatteva per l'indipendenza greca contro i turchi invasori, si imbarcò a Genova. Destinazione: i campi di battaglia della Grecia oppressa. Alcuni mesi dopo Byron perderà la vita in quella terra così lontana e così diversa dalla sua. A Missolungi, dove si unì alle forze del principe Alessandro Mavrokordatos, venne punto da una zanzara maligna. Iniziarono i tormenti della febbre malarica, gli inumani e inutili salassi, le purghe, le umiliazioni di un corpo che imputridisce inesorabilmente. Morì il 19 aprile 1824 guardando gli amici piangenti al suo capezzale e dicendo con un sorriso: «Che bella scena!». Le sue spoglie furono portate in Inghilterra, presso la cappella di famiglia, vicino Nottingham. Londra chiuse al poeta le porte dell'abbazia di Westminster. Al suo funerale i nobili inglesi inviarono le loro carrozze vuote. Tra la folla assiepata lungo le strade sfilarono ben quarantasette carrozze nere, ma soltanto le prime tre erano occupate. Un corteo quasi sinistro, di fantasmi. Che sembrava uscito da una ottava irridente e grottesca del grande poeta. L'Inghilterra, insomma, continuava a prenderlo a padellate in testa, anche da morto. Il 23 giugno 1992, oltre un secolo e mezzo dopo quel tragicomico funerale, ecco sbucar fuori una notizia che ha sorpreso molti appassionati di Byron: del grande poeta è sopravvissuta una ciocca di capelli, uno di quegli eleganti boccoli che compaiono nel bel ritratto che George Harlow fece al giovane barone nel 1815. Si tratta di un ricciolo tenuto insieme da un nastrino di seta verde e conservato in una scatoletta dorata. E' stato venduto all'asta da Bonham, a Londra, per poco più di dieci milioni di lire. Lord Byron ne aveva fatto omaggio ad un amico, il secondo conte di Clare, tal John Fitzgibbon. Chi sa con quanta tenera, intima passione il giovane poeta aveva preso in mano le forbici e aveva tagliato quella gentile ciocca dalla fronte. Oggi quel boccolo è diventato un feticcio che qualcuno ha pagato 4620 sterline. Per fortuna Lord Byron non ci ha lasciato solo qualche migliaio dei suoi cap e Ili, ci ha regalato anche i suoi versi sublimi e satanici. E in chiusura del Don Juan, parlando della brutta fine che fanno tutti i poeti, scrive: «.. Al lume di una candela fa rime / il poeta. E poi? Polvere fatto, / avrà un vii busto, ed im peggior ritratto». Vincenzo Cerami I MISTERI DELL'ESTATE Presto divenne nella Londra borghese il ritratto di Satana: debiti, sesso sfrenato, passioni omosessuali. Con le opere, gli è sopravvissuta una ciocca dì capelli pagata nei mesi scorsi 4620 sterline ^ glia, vchiusebazia neralele lorola assirono bnere, eranosinistrobravadente ta. L'Itinuav Byron visto da Levine Copyright Ilpa «New York Review ofbooks» e per l'Italia «La Stampa>