CARAVAGGIO Pennelli e coltelli

CARAVAGGIO Pennelli e coltelli I MISTERI DELL'ESTATE CARAVAGGIO Pennelli e coltelli Pennelli e coltelli Il mistero s'addice all'estate. Abbiamo chiesto di indagare tra i segreti di cinque grandi della nostra cultura - artisti, scrittori, filosofi - a Vincenzo Cerami, giornalista, romanziere (da Un borghese piccolo piccolo a L'ipocrita), sceneggiatore (Johnny Stecchino con Benigni). Cominciamo dal Caravaggio (1573 - 1610): per chi volesse proseguire la ricerca ricordiamo il titolo più recente, L'incredulità del Caravaggio di Ferdinando Bologna (Bollati Boringhieri). QUANDO Caravaggio giunse a Roma aveva ventun anni. La città dei papi puzzava di morti. Riportano i cronisti dell'epoca: «Sono esposte più teste di banditi a Castel Sant'Angelo che cocomeri al mercato». Vigevano ancora le dure leggi di Sisto V, il tarchiato pontefice dal naso a patata che si era rimboccato le maniche per riportare a lustro una città e uno Stato sempre più affogati nel dissesto, nell'immoralità e nel fango. Michelangelo Merisi da Caravaggio passava sotto quelle teste impalate e verminose tra la cagnara dei ragazzini urlanti: da anni ormai il popolino romano era abituato a vivere dentro quelle scenografie desolate e grigie. Venivano condannati alla decapitazione non soltanto i banditi, ma anche i diffusori di calunnie, i vandali, gli adulteri e le adultere, gli incestuosi, i chiromanti e tutti coloro che praticavano l'aborto. I bestenuniatori li legavano per essere esposti al pubblico scherno mentre ai recidivi veniva forata la lingua. L'Aldobrandmi Clemente Vili, al soglio vaticano quando il giovane Caravaggio varcò la porta della sua casa romana, se ne guardò bene dal ritoccare quelle leggi così spietate che tanta gloria avevano regalato a Sisto V. Fuorilegge e patrizi scapestrati cadevano puntualmente sotto la mannaia dei boia. A pochi passi dalla bottega odorosa di vernice del giovane artista, piombava nella cesta il capo sanguinante della nobile Beatrice Cenci e l'anno dopo, nel 1600, in un febbraio tramortito di freddo, fu dato fuoco al filosofo Giordano Bruno. Quei ragazzini che avevano quasi travolto Caravaggio vicino a Castel Sant'Angelo, ora si scaldavano alle crepitanti fiamme di Campo dei Fiori. Tanti miasmi di morte, tanti corpi dilaniati, così tremendamente decomposti erano uno spettacolo che il giovane Merisi aveva già stampato nella memoria: ancora undicenne, nel giro di pochi giorni, aveva visto morire il padre, il nonno e lo zio, divorati dalla peste di Milano. Il genio immenso di Caravaggio divenne ben presto merce preziosa. Il giovane pittore sapeva magicamente rappresentare la natura e gli uomini con intensa e inedita sensualità, fin quasi a metterne al vivo la sostanza sacra, creaturale. La sua luce sulle nature morte, sui corpi veri, sugli occhi smarriti o spaventati delle figure umane, prende il soffio di uno sguardo sovrannaturale, carico d'amore e di pietas. Ore e ore Caravaggio passava, con il permeilo in mano, davanti alle sue opere senza mai perdere una concentrazione così tesa e uno stato d'animo così denso di religiosità. Certamente, poi, quando si incontrava con gli amici, quando tornava a calarsi nella realtà di tutti i giorni, quando, la spada al fianco, si muoveva per i vicoli di Roma, tra piazze polverose, fiancheggiando le chiese e i palazzi rinascimentali ancora nuovi di zecca, il giovane si trovava spaesato, un eterno straniero. Continuava a guardarsi intorno cercando involontariamente di riscoprire nella spicciola umanità quotidiana quegli impossibili segni di Dio che nei suoi dipinti venivano fuori come un canto. Rimaneva indietro, non cresceva, immobile in un'adolescenza dolorosa. Non sapeva stare in mezzo agli altri se non bizzosamente. I suoi amici lo descrivevano come un giovane infrequentabile e protervo, pronto alla rissa. Caravaggio, infatti, ogni volta che usciva, le mani perennemente imbrattate di colori, ne combinava una delle sue. Durante la permanenza nella città eterna trovò il tempo per aggredire a bastonate un tal Girolamo Stampa; per ferire certo Flavio Canonico sergente di custodia alle carceri; per diffondere poesie scurrili e diffamatorie ai danni di Giovanni Baglione; per gettare in faccia ad un garzone d'osteria un piatto di carciofi. Si fece incarcerare due volte: per avere insultato alcuni sbirri, e più tardi perché fu trovato in possesso di un porto d'armi abusivo. Non disdegnava di molestare le ragazze prendendo a sassate le loro finestre e, sempre per una incresciosa faccenda di donne, con la spada ferì il notaio Mariano Pasqualone. Ma tutte queste intemperanze poco interessavano ai ricchi committenti delle sue opere, d'altra parte il mestiere di attaccabrighe era diffuso tra i giovani della buona società. Il nome di Michelangelo Merisi da Caravaggio, pittore straordinario, fece lien presto il giro di tutti i palazzi. Divenne raro privilegio ottenere da lui un'opera. Il carattere eccentrico portava spesso l'artista a rifiutare commissioni prestigiose e molto ben pagate come, ad esempio, quella del duca di Modena che gli aveva chiesto di dipingergli una loggia per la somma di seimila scudi. Le porte dell'inferno, per Michelangelo Merisi, si spalancarono all'improvviso il 28 maggio del 1606. All'inizio sembrava una giornata come le altre. Caravaggio stava giocando a pallacor- da con un gruppo di amici, in un campo vicino casa. Da una parte lui, Onorio Longhi, Antonio da Bologna e un quarto giovane; dall'altra il capo del Rione Campo Marzio, tal Tom ma soni, con tre suoi compagni. Ben presto la contesa passa dal gioco alle male parole e dalle male parole alle racchettate in faccia. La lite si incendia in un lampo: Caravaggio, colpito in piena fronte, sanguinante, perde il controllo di sé: sfodera la spada. Un attimo dopo c'è già in terra un cadavere, il povero Antonio da Bologna. In men che nulla Caravaggio è sul Tommasoni, il quale, indietreggiando, cade. La punta della spada del forsennato Merisi gli trafigge una coscia, all'altezza dell'inguine. La lama d'acciaio probabilmente ha inciso un'arteria perché la vittima subito si inzuppa di sangue. Morirà di emorragia di lì a poco. Grida, urla, fuggi fuggi: è la paura. Iniziano qui gli ultimi quattro, tormentati, disperati, struggenti anni di Michelangelo Merisi da Caravaggio, «pittore famoso et eccellentissimo nel colorire et ritrarre dal naturale», uno dei più grandi geni artistici dell'umanità. Anni di fuga e di terrore. Il giovane scappò da Roma per e vi - tare la cattura, il processo e la fatale sentenza. Venne infatti condannato in contumacia alla decapitazione e iscritto nella lista dei banditi. E le bolle e gli editti emanati da Sisto V, riprese alla lettera dal nuovo papa, Paolo V, parlavano chiaro: in qualsiasi zona vengano avvistati i banditi si debbono far suonare subito le campane a stormo per dare il via alla loro caccia; non è permessa nessuna ospitalità neppure da parte dei parenti; chi si presenterà alle autorità dello Stato con la testa di un bandito verrà lautamente ricompensato. Insomma nei confronti di Caravaggio c'era per tutti licenza di uccidV re. Per questo lo sconvolto fuggiasco dormiva sempre col pugnale stretto nella mano. Si rifugiò prima nel basso Lazio, poi a Napoli, a Malta, poi ancora a Siracusa, a Messina, a Palermo e di nuovo a Napoli. Lo proteggevano da lontano alcuni amici importanti, come i Colonna e il cardinale Ferdinando Gonzaga. Costoro avevano chiesto per lui la grazia al pontefice: una pratica lunga e complicata che prevedeva il pagamento di una cauzione e l'uscita dalla clandestinità del reo, che doveva consegnarsi spontaneamente alla giustizia. Intanto Caravaggio, nel suo cupo pellegrinaggio, continuava a dipingere e a commerciare. Si recò nel feudo di Malta con la speranza di entrare nella Corte del Gran Maestro e di fregiarsi magari di una croce di Cavaliere: da quella posizione avrebbe più facilmente ottenuto il perdono dei parenti della vitti- ma e la grazia dal Papa. Qui Caravaggio si esibisce in due straordinari ritratti del regnante Alof de Wignacourt. Fu finalmente nominato cavaliere dell'Ordine di San Giovanni quando da Roma arrivò l'ingiunzione d'arresto. Lo salvarono il Gran Maestro e Fabrizio Sforza Colonna, capo della fiotta maltese: organizzarono una fìnta fuga dal carcere e lasciarono il pittore nella città di Siracusa. Costretto a nascondersi come un topo, Caravaggio, sempre più..cMusp. in se stesso, nei temi bMici trova le occasioni per prefigurarsi una morte insieme espiatrice e realistica. Durante la fuga ridipinge in maniera più cruda la decollazione di Oloferne; rappresenta macabramente la testa di Battista nelle mani di Salomè; per ben due volte mette in scena la testa recisa di Golia. Caravaggio si trova a Napoli, dov'è ritornato per avvicinarsi a Roma in attesa della grazia, quando su tela ritrae la propria testa tenuta per i capelli dalla mano di David: in mezzo alla fronte la ferita della pietra, lo stesso taglio che il giovane pittore aveva sopra gli occhi quando colpì a morte il Tommasoni. Un quadro destinato al Papa, un atto di pentimento e di umiltà. Ma a Napoli la milizia spagnola riuscì a mettergli le mani addosso: davanti alla Taverna del Cerriglio fu circondato, malmenato e sadicamente sfregiato dai gendarmi. Potevano ucciderlo e staccargli la testa, a norma di legge. Invece lo gettarono, maciullato com'era, in una cella lercia. Subito i capi spagnoli lo rimisero in piedi alla meglio dandogli la possibilità di dipingere: l'Ordine Domenicano gli commissionò del lavoro. Quegli ultimi mesi di vita Caravaggio li passò nello strazio, dipingendo faticosamente per i dolori delle ferite e rincorrendo un'impossibile liberazione dagli incubi. E' in prigionia che ritrae il San Gennaro decollato, il San Francesco che medita sulla morte, il Martirio di Sant'Orsola, la Crocifissione di Sant'Andrea, finché arriva il giorno tanto atteso: può ritornare a Roma, perché gli è stata concessa la grazia. Con una feluca, una goffa imbarcazione dell'epoca, Caravaggio viene tradotto a Porto Ercole, nell'Argentario, per espletare le formalità burocratiche: deve costituirsi alle autorità dell'Urbe. Morirà due giorni dopo, di febbre e d'infezione per le ferite della cattura, mentre è in attesa di vedere giungere in porto la barca che lo riporti a Roma. Si spegne nel delirio, sotto il sole di luglio, a trentanove anni, su una spiaggia infuocata. Il suo corpo viene scaricato con la carriola in una fossa comune, mentre sul suo ultimo quadro, che l'artista aveva portato con sé, il San Giovanni Battista, si scatenerà una battaglia legale tra Roma e Napoli, La tormentata vita di Caravaggio finisce qui: il giovane San Giovanni Battista del suo ultimo quadro è l'immagine della purezza adolescenziale di un uomo dal destino tragico. Vincenzo Cerami *8t ''\ * JF hi : I i É Un particolare dal dipinto del Caravaggio «La vocazione di san Matteo». Sotto, Vincenzo Cerami