L'Islam balcanico tra due padrini di Aldo Rizzo
L'Islam balcanico tra due padrini OSSERVATORIO L'Islam balcanico tra due padrini A crisi, anzi la tragedia dell'ex Jugoslavia si snoda secondo uno schema che Milovan Gilas prospettò sin dagli inizi. Gilas, ricordiamo, è un montenegrino e un sostenitore, a suo tempo, di una qualche unità dei popoli jugoslavi; ma è anche un grande saggista, il primo grande eretico dell'Est europeo, anticomunista e socialdemocratico convinto, dopo essere stato uno dei più stretti collaboratori di Tito. Dunque Gilas diceva che la secessione slovena e soprattutto croata avrebbe riesumato antichi e tremendi odi etnici. Lo scontro tra croati e serbi avrebbe innescato un feroce regolamento di conti in Bosnia, introducendo, col coinvolgimento della componente musulmana, il fattore religioso, accanto a quello etnico. E, dopo la Bosnia, sarebbe stata la volta del Kossovo, annesso dai serbi ma popolato per il 90 per cento da albanesi, in maggioranza islamici. L'esplosione del Kossovo avrebbe attratto i Paesi di comune fede religiosa, dalla stessa Albania (pur nella gravità della sua crisi interna) alla Turchia, che invece in crisi non è, e anzi aspira a un ruolo sempre più forte tra i Balcani e l'Asia centrale, fino all'Iran, che cerca anch'esso una «leadership», in concorrenza con Ankara. Con questo, non si vuole riaprire il discorso sulle responsabilità originarie della crisi jugoslava (Gilas pensava che il problema non fosse la nascita di nuovi Stati, ma la diffusione di una vera democrazia in tutte le Repubbliche, premessa di più equi e liberi rapporti tra loro). Il discorso sulle responsabilità, che resta complesso, è ormai superato, politicamente, dalla durezza barbarica della reazione serba. Milosevic, ormai, è il vero pericolo. Bisogna però registrare che, passo dopo passo, le previsioni del filosofo montenegrino si stanno avverando. Il fattore islamico si è ag giunto, o si sta vistosamente aggiungendo, a quello serbo croato. Mentre si consuma la tragedia della Bosnia, ci sono forti timori che si stia prepa rando quella del Kossovo. La maggiore incertezza è se sa ranno gli «albanesi» a insor I gere contro Belgrado, o se sali ranno i serbi a provocare la sollevazione, per avere il pretesto di cacciarli oltre i confini (la famigerata «pulizia etnica»). E si delinea il coinvolgimento dei Paesi islamici dell'area. Già più di un mese fa, il primo ministro turco Demirel aveva detto, durante una visita a Tirana, che il suo Paese non avrebbe permesso il massacro degli albanesi del Kossovo. Successivamente ha sollevato l'ipotesi di un intervento militare in Bosnia davanti alla Conferenza islamica. Il ministro degli Esteri iraniano ha risposto invitando a Teheran il collega bosniaco, in nome della «difesa dei musulmani di questa regione». La rivalità tra Turchia e Iran (la prima, Stato islamico, ma laico e membro della Nato, il secondo fondamentalista e anti-occidentale) può essere una complicazione aggiuntiva, in un quadro esplosivo di per sé. La questione balcanica si pose col declino dell'impero ottomano, tra il risveglio delle nazionalità oppresse e i giochi d'influenza delle altre potenze. Si ripropone ora col crollo del mondo comunista, mentre l'Islam, in forme diverse, ha ripreso l'iniziativa storica. E questo è un nuovo problema per l'Occidente. Non si tratta soltanto di difendere i nemici della Serbia da un'offensiva, o da una controffensiva, spietata. Si tratta di salvare le isole musulmane dei Balcani, dunque dell'Europa, nel nome della stessa civiltà europea, cioè dei suoi princìpi di tolleranza, di libertà e d'indipendenza, senza arrivare a un altro rischioso confronto, o frizione, con l'Islam, ma anzi facendo della crisi balcanica un'occasione di dialogo. I modi potranno, dovranno essere studiati. Intanto bisogna prendere atto che la crisi jugoslava, comunque sia cominciata, ha ormai una posta altissima. Come il vecchio Gilas aveva previsto. Aldo Rizzo :zo^J
Persone citate: Demirel, Gilas, Milosevic, Milovan Gilas
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