Vanno in scena i forzati della corsa di Marco Ansaldo
Vanno in scena i forzati della corsa LO SPETTACOLO UOMINI CAVALLO Caldo soffocante, dure salite, ecco la tortura dei 42 km della gara più affascinante Vanno in scena i forzati della corsa Oggi la maratona con Bordin, Bettiol e Faustini ■BARCELLONA L difetto di chi guarda la maratona in televisione è di non aver mai provato a farne una», dice Salvatore Bettiol, maratoneta azzurro, che oggi correrà da Matarò fino allo stadio del Montjuich rinnovando la leggenda di Fidippide. La constatazione è seria. E non ci sentiamo di smentirla. Correre per 42 chilometri e 195 metri è un sublimato di follia ai confini del masochismo, che lasciamo volentieri a Bettiol, a Bordin e a Faustini, gli uomini-cavallo. Noi resteremo davanti alla tv, a guardarli battagliare con i giapponesi Tanigucni e Morishita, i messicani Ceron e Garda, il kenyano Hussein, l'australiano Moneghetti e quanti altri si faranno avanti nel caldo umido della domenica pomerìggio catalana. A Barcellona si fatica a camminare e loro correranno a un ritmo di tre minuti per chilometro, 20 chilometri all'ora che sarebbe già un bel muoversi per un cicloamatore. E con negli occhi le immagini delle maratonete sfatte, qualcuna al limite del collasso, appena dieci giorni fa. La maratona è una sfida al dolore. Lo sport estremo trasferito su una strada e su una pista. Fidippide almeno aveva un motivo: doveva annunciare agli ateniesi la vittoria sull'esercito persiano, ma questi perché viaggiano ai limiti di se stessi? «Perché si ama il correre per il correre racconta Bettiol -, è un richiamo che senti dentro. Quando sei in gara sei solo a gestire te stesso, ti ascolti, ti pesi. Ti senti un gigante sempre sul filo di rompersi». Qualche volta capita, di rompersi. Ai Mondiali di Tokyo, l'anno scorso, successe a Faustini, che ora ti scruta come un fesso se gli chiedi perché diavolo continui a faticare. Arrivò a un passo dal coma. «Dopo 30 chilometri entrai in uno stato di incoscienza come non mi era mai successo - dice -. Pensavo al rifornimento di acqua e l'avevo superato da cento metri. Come ubriaco, un po' correvo e un po' camminavo. Per fortuna ebbi la prontezza di fermarmi, mi raccolse l'ambulanza. Sdraiato, non ci misi molto per tornare a vivere». A Tokyo se la vide brutta anche Bordin, in crisi a cinque chilometri dalla fine. A Bettiol capitò nella maratona di New York. «A due chilometri dal traguardo mi prese un crampo alla gamba - ricorda l'azzurro - mi fermai. E mentre stavo in terra, non pensavo a come avrei proseguito ma quanto ci avrebbero messo gli inseguitori a raggiungermi. Feci l'ultimo tratto con i muscoli induriti e la paura che mi sfuggisse il piazzamento». Il crampo è un accidente con cui devi convivere, ti colpisce alle gambe e allo stomaco, che è così contratto da non poter assimilare niente se non l'acqua e pochi grammi di zucchero, se ci riesci. «In quei momenti devi tener duro - racconta Bettiol -. Stringi i denti, pensi a tua moglie che ti sta guardando alla tv, ripassi mentalmente il ritmo di una canzone. Insomma vai». E poi c'è il rifornimento, il metronomo di una corsa. Ne esiste uno ogni 5 chilometri, ma a metà di ogni tratto c'è il tavolo con le spugne bagnate e un po' d'acqua. «In pratica ogni due chilometri e mezzo hai qualcosa cui pensare - spiega Luciano Giglioni, l'allenatore di Bordin -. Devi concentrarti sul modo giusto di avvicinarti al tavolo, sul punto esatto in cui rifornirti. E appena l'hai passato già ti preoccupi del prossimo». Si corre così, come al centro di un tunnel. Il cuore che batte a 170 dopo una decina di chilometri. La pelle che trasuda acqua e sali minerali. Ogni istante è buono per auscultarti. «Perché non si può correre con l'istinto. Bisogna ragionare», dice Giglioni. Il maratoneta è come un'auto da Formula 1 che parte con la benzina sufficiente per arrivare alla fine, purché dosi l'acceleratore. «Alla partenza può contare su 1400 chilocalorie in zuccheri, però in gara ne consuma 2500 spiega Gian Paolo Lenzi, l'aUenatore di Bettiol e prima ancora di Pizzolato -. La differenza si recupera dai grassi. Ma per farlo bisogna calibrare gli sforzi, ogni accelerazione squilibra il consumo degli zuccheri e senza zucchero il cervello va in tilt. A quel punto non puoi andare avanti, come un motore senza benzina». L'auto però ha le spie che segnalano qualcosa che non va. Nell'atleta l'unico bip-bip è il cervello, la sensibilità. Dicono che in questo stia la forza di Bordin: la capacità di capirsi. «Ma qui non sarà facile perché il calore e l'umidità stravolgono i valori normali - sostiene Gigliotti -. Devi sudare per mantenere la giusta temperatura del corpo, però se sudi troppo perdi i sali minerali e rischi lo stesso. Sarà una corsa vissuta suU'eo^nlibrio fisico, la durezza del circuito conta poco anche se sono quaranta chilometri difficili e ondulati, con la prima parte al sole e la seconda in città, in giri tortuosi. La prima selezione avverrà tra i 27 e i 30 chilometri, in un tratto di salita costante, poi c'è la rampa del Montjuich, gli ultimi tre chilometri. Sarà una corsa da gestire con l'intelligenza». Con il passo metodico dell'elefante, non con la grinta cattiva della tigre che spreca energie. Una gara unica al mondo. «Perché - dice Bordin - questa non è una gara. E' la maratona». Marco Ansaldo ■■■■1 ^^^^^^^^^^^ Nella cartina le caratteristiche del percorso; a fianco il keniota Ibrahim Hussein, sopra, a sinistra. Salvatore Bettiol e, a destra, Gelindo Bordin
Luoghi citati: Barcellona, New York, Tokyo
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