Un sogno a Barcellona

Un sogno a Barcellona FOGLI DI BLOC-NOTES Un sogno a Barcellona Così la Catalogna vive i Giochi Et dal 1920 che Barcellona J aspettava le Olimpiadi: quasi a supremo riconoscimento «laico» della Isua identità culturale e politica, una delle più tenaci nella storia d'Europa. Barcellona e la Catalogna tutta quanta, che nella capitale si riassume e si incarna: non la Spagna, che è un «quadro» storico e politico sempre contestato e mai rimosso. Dal 1920 a oggi settantanni e più di storia. E quale storia! La Repubblica catalana che nasce nel '31 a distanza di ore dalla Repubblica spagnola, dopo la fuga precipitosa di Alfonso XIII che ha solo perduto le elezioni amministrative ma teme il crollo sanguinoso del regno. E un costante, e singolare, parallelismo fra la storia spagnola e quella catalana, nel tragico periodo fra il 1931 e il 1939, data della vittoria finale di Franco. E con la punta tragica che gli storici chiamano ancora oggi la «guerra civile» di gggCatalogna, ritmata dalle carneficine di Barcellona intorno al 1° maggio 1937. Barcellona. Ci torna in mente, dalle penombre dell'infanzia, il documentario Luce del marzo 1939 sul violentissimo bombardamento dell'aviazione legionaria italiana sulla capitale catalana, con il suo corredo di mille morti. Aviazione legionaria: una pura ipocrisia per raggirare tutte le clausole del non intervento, ridicolizzate e sbefFeggiate con la complicità di Francia ed Inghilterra, quasi un anno prima della resa della città alle armate naili l i di zionaliste, al termine di una lotta coraggiosa ed eroica. Una lotta, quella di Catalogna, che sfuggiva a tutte le classificazioni, che spezzava tutti gli schemi e le astrazioni. Compresa l'unità delle sinistre, su cui si reggeva apparentemente il governo della Repubblica assediata. E' una geografia politica del tutto diversa, uno scontro, fra comunisti ed anarchici, che lascerà tracce profonde. Camillo Berneri insegni. La città, che ha accolto le Olimpiadi, ha riassunto intera la sua storia di autonomia e di differenziazioni in ogni simbolo della colossale, e riuscitissima, organizzazione. Un'organizzazione che è proiettata verso il nuovo millennio. Nessun cedimento allo spirito «egemone» e livellatore della Castiglia; anzi una volontà ferma e risoluta di disegnare gli spazi divisori fra Spagna e Catalogna, pur senza rompere il regime di intelligente convivenza realizzato negli anni del post-franchismo, punto di forza della «monarchia liberale» guidata da un governo socialista. «Catalogna, Spagna, giochi olimpici»: è il manifesto che domina su ogni altro (e mai la Spagna senza la Catalogna). E la Lingua catalana - che è il massimo fondamento della legittimità nazionale di questa terra che si sente Stato senza esserlo - compare dovunque, nelle migliaia di manifesti pubblici e di proclami piccoli e grandi, senza mai cedere il suo primato al castigliano. Re Juan Carlos, nella bellissima serata dell'inaugurazione dei giochi, inizia il suo breve messaggio di apertura in catalano, e un im¬ menso applauso erompe dalle tribune (segno di quello che sarebbe successo se la decisione reale fosse stata diversa: il battesimo in catalano consente di arrivare fino in fondo, per il resto, in spagnolo). Alla partita Italia-Stati Uniti, quella che inizia la parabola non gloriosa della nostra nazionale di calcio (oh! Quanto diverso il clima di Barcellona nel luglio 1982, allorché, da presidente del Consiglio, visitai questo stesso stadio dopo la vittoria sull'Argentina e prima di quella sul Brasile), c'è il sindaco di Barcellona, Maragall, ma non c'è il capo vero e massimo della comunità catalana, Pujol, un autentico capo di Stato senza le insegne. Gerarchia delle manifestazioni sportive. «In genere non sono* mai insieme», mi sussurra uno del cerimoniale. Jordi Pujol y Soley. Il suovero titolo è «presidente della Generalitat di Catalogna». Nella complessiva riforma regionale che ha caratterizzato la Spagna di Gonzàlez alla Catalogna è rimasta quell'insegna di «Generalitat» che rimonta a tutte le lotte dell'autonomismo catalano, fin dall'inizio del secolo, e riassume una storia molto più lontana. Una storia per molti aspetti diversa da quella dell'altra Spagna, cominciando dal periodo napoleonico - un vero spartiacque per la Penisola Iberica - e dal complesso di riforme degli anni 1812-1814. Un'influenza della rivoluzione francese che non c'è stata, o stata diversamente modulata, da Madrid. Un richiamo ai princìpi della libertà e del giacobinismo, che resero così affascinante la figura di Garibaldi e così popolari le immagini del Risorgimento democratico e repubblicano. Una potenza della Massoneria che si tinge di accenti peculiari, su un'esasperata base laicista (laicismo è non a caso termine latino e mediterraneo). Pujol non parte da questi presupposti; non viene dalla sinistra. Egli ha piuttosto, come il premier Suàrez della Spagna immediatamente post-franchista, un'origine di destra, una volontà di collaborazione con le ultime forze «liberaleggianti» del regime franchista, particolarmente duro ed oppressivo in Catalogna. E' portatore di una parola di democrazia moderata e gradualista con una formazione politica che nella sua stessa testata Convergéncia Democràtica de Catalunya riassume una volontà di «embrassons nous» e non di rottura, uno spirito di pacificazione e non di vendetta. Rafforzare la lingua catalana, essendo fedeli alla monarchia spagnola. C'è il titolo di un libro di Pujol che è rivelatore della sua filosofia politica tutt'altro che «nazionalista» (almeno nel senso chauvin): Fer poble fer Catalunya, «costruire il popolo, costruire la Catalogna». Non c'è nessun dato ereditario o razzistico, nessuna predestinazione o missione. La patria è, come sempre, uno stato d'animo. Nei vecchi congressi del partito repubblicano italiano, in quelli tenuti fra il 1946 e il 1970, durante la persistente dittatura di Franco, c'era sempre una rappresentanza, colorita e pittoresca, della Esquerra Republicana de Catalunya, un partito di sinistra repubblicana di radici catalane che aveva ascendenze in senso largo mazziniane (coincidenti con l'inizio del secolo) o almeno si riconosceva in un comune debito verso Giuseppe ebito verso Giuseppe Mazzini. Quel gruppo, che aveva sostenuto una fiera battaglia contro Franco (la stessa battaglia di Pacciardi), mandava sempre una delegazione e talvolta una banda secondo lo stile comune ai repubblicani italiani della Romagna o di Carrara. E grandissimi erano gli applausi che venivano riservati a quella singolare testimonianza del tenace autonomismo catalano. Una via di mezzo fra Mazzini e Cattaneo. Il partito sopravvive, ma ha cambiato pelle. E' ormai divenuto - bisogna dirlo - indipendentista e quasi separatista. Conserva qualche ll h d l forza locale ma ha perduto la sua rappresentanza, simbolica ma costante, alle Cortes di Madrid. E' una pagina di storia che sta cambiando... La decomposizione dell'Europa si riflette anche in questa Olimpiade di Barcellona. Il nuovo ordine mondiale disegnato dalla fiamma olimpica è lungi dal proiettare lineamenti precisi. A giudicare dalle tante bandiere si capisce che c'è stata una frantumazione dei simboli (e dei conseguenti inni nazionali). Rispetto alle precedenti Olimpiadi una Germania anziché due. Ma è il solo segno di salute. Il posto dell'Unione Sovietica è preso da una comunità di Stati indipendenti, vicini ai dieci, molti dei quali sono nuovi, o ignoti, ai cittadini di Barcellona. Senza contare le vecchie testate europee che ritornano, l'Estonia, la Lettonia, la Lituania (tutte appena più piccole della Catalogna che ha sei milioni di abitanti). E poi sull'Est europeo le insegne di Croazia e Slovenia. Gli altri resti della Jugoslavia - Serbia e Montenegro - hanno potuto essere presenti solo in sordina: atleti individuali, senza un simbolo collettivo, né bandiera, né uniforme, né inno. Lo stesso trattamento per la Bosnia. Migliore sorte per l'Albania, per la Namibia e per lo Yemen. Il sogno universalistico delle Olimpiadi sembra contraddetto da troppe indicazioni negative a Barcellona. E' lo stesso sogno delle Nazioni Unite che ha subito, in questi anni, le stesse smentite. Giovanni Spadolini