In Russia è svanito il grano

In Russia è svanito il grano Lo Stato paga troppo poco, gli agricoltori lo vendono all'estero In Russia è svanito il grano Riunione d'emergenza: Mosca è riuscita a comprarne solo il 4% del fabbisogno Il vicedi Eltsin chiede prezzi «normali», il premier rifiuta: teme rivqlte del pane MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Si mettono male le cose, tanto per cambiare, con il raccolto agricolo. Emicranie assicurate per il vicepresidente Aleksandr Rutskoi, che ha avuto in regalo da Eltsin la responsabilità del settore. Ieri la riunione del «Comando operativo per il raccolto» - presieduta da Rutskoi - ha fatto il punto sulla situazione. Le cifre - più che sconfortanti, allarmanti - dicono che lo Stato è riuscito ad acquistare dai Kolkhoz e Sovchoz appena il 4 per cento del fabbisogno. Peggio ancora: la trebbiatura è stata completata solo su 5 milioni di ettari coltivati (meno del 2,5 per cento del totale). La prima cifra indica in modo inequivocabile che le aziende agricole non accettano il prezzo medio di 10 rubli al chilo fissato dal governo per gli ammassi cerealicoli. La seconda dice che manca il combustibile per gli autocarri, mancano i pezzi di ricambio per le macchine trebbiatrici, manca tutto nelle campagne, esattamente come ai tempi del socialismo reale. Rutskoi - in aperta polemica con il governo - ha formulato la sua ricetta: «In ogni caso è più vantaggioso fissare prezzi normali per i nostri contadini, piuttosto che ricominciare, in autunno, a gettare al vento dollari per importare il grano dall'estero». Ma il premier Gaidar non è di questo avviso. Se lo Stato acquista a prezzi superiori a quelli fissati, in autunno il prezzo del pane balzerà a 40 rubli al chilo. Allora ci sarà il pane, ma potrebbero esserci anche le rivolte. Come fronteggiare la situazione non è chiaro. Rutskoi insiste: «Escludiamo, ovviamente, il sistema delle requisizioni. Ma allora non ci resta che agire sui prezzi di acquisto». Tanto più che - interviene il ministro della Sicurezza Nazionale, Viktor Barannikov «c'è il rischio che le perdite di grano tocchino i 30 milioni di tonnellate», quasi un terzo dell'intero raccolto (circa 90 milioni di tonnellate) previsto quest'anno. Barannikov chiede addirittura, per fronteggiare l'emergenza, di costituire senza indugio una Commissione straordinaria che coordini l'intervento statale su lutte le questioni agricole. Allo «sciopero bianco» dei contadini si aggiunge infatti la constatazione che le ex Repubbliche dell'Urss si sono gettate sul mercato russo con tutti i loro rubli. Estonia, Lituania e Lettonia, ad esempio, stanno acquistando cereali dalle aziende russe a prezzi mediamente doppi rispetto a quelli offerti da Mosca. Qui il patriottismo non conta, né da una parte né dall'altra. I kolkhoz russi vendono al migliore offerente. E non è solo un fiume di grano che se ne va all'estero, per vie private. Esce, attraverso mille canali, la benzina statale che - nonostante gli aumenti - costa una bazzecola rispetto ai prezzi internazionali. Escono materie prime di ogni sorta, violando le barriere doganali. E entra pagata in dollari - una gran quantità di generi alimentari, aggravando l'indebitamento estero della Russia. Ieri lo stato maggiore di Rutskoi ha deciso una prossima riunione d'emergenza: vi prenderanno parte - a riprova della gravità delle questioni - i ministri degli Interni, della Difesa, della Sicurezza Nazionale e dei servizi doganali. I maggiori problemi riguardano infatti le frontiere del «vicino estero», quelle cioè che ormai dividono la Russia dalle altre Repubbliche dell'ex Urss, e che suddividono la torta della cosiddetta Comunità di Stati Indipendenti. Il dollaro - benvenuto sempre - non è così pericoloso come questa indefinibile «zona del rublo», popolata da partner infidi che creano le proprie monete indipendenti e usano la moneta russa nel loro esclusivo interesse. Inclusa l'Ucraina, cui Rutskoi - non a caso - ha lanciato un indiretto avvertimento, ribadendo che la Crimea è e sarà russa. E, chiudendo la riunione, il vicepresidente ha così riassunto la situazione: «Se il raccolto agricolo va in fumo, allora in ottobre dovremo fare i conti di fronte a tutto il popolo». Giuliette Chiesa