L'IMPERATORE DI BRUXELLES E IL PAPA di Sergio Romano
L'IMPERATORE DI BRUXELLES E IL PAPA L'IMPERATORE DI BRUXELLES E IL PAPA UNA politica estera fallisce, generalmente, quando non ha gli strumenti delle proprie ambizioni. Ma di fronte a ciò che accade in Bosnia l'Europa non sembra avere né strumenti né ambizioni. Vi è un doppio vuoto: non sappiamo ciò che vogliamo e non avremmo, se lo sapessimo, gli strumenti per realizzarlo. Ed ecco che improvvisamente in questo duplice vuoto risuona energica e limpida la voce autorevole di Giovanni Paolo II. Mentre l'imperatore di Bruxelles si guarda attorno smarrito e non sa a che santo votarsi per mettere pace fra le tribù al di là dei confini, il Papa di Roma gli ricorda, con l'autorità morale e spirituale propria della sua carica, quali siano i suoi doveri. Da questo stridente contrasto fra l'imbarazzato silenzio dell'imperatore e la chiarezza dell'ammonimento papale emerge una conclusione apparente: se l'Europa è incapace di reagire con la propria politica agli avvenimenti jugoslavi, ascolti il monito e l'invito di papa Wojtyla; se non ha idee proprie ascolti almeno quelle umanitarie e universali del pontefice romano. E' il Papa insomma la coscienza morale dell'Europa, il più autorevole interprete dei suoi doveri e della sua missione. Molti cattolici lo pensano e lo affermano con soddisfazione; molti ex comunisti, in crisi di astinenza dopo la morte della loro patria ideologica, sono pronti a scambiare il Cremlino contro il Vaticano; e molti pacifisti del Golfo sono diventati in tal modo gli interventisti della Bosnia. Se il messaggio papale sulle vicende bosniache fosse davvero universale e rispecchiasse una dottrina morale che la Chiesa applica con superiore Sergio Romano CONTINUA A PAGINA 2 TERZA COLONNA
Persone citate: Giovanni Paolo Ii, Wojtyla
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