Il sogno ormai si chiama Giappone di Marco Ansaldo

Il sogno ormai si chiama Giappone Oggi in palio il quinto posto, ma la squadra pensa al mondiale e Velasco al suo futuro Il sogno ormai si chiama Giappone L'Italvolley si rimbocca le maniche dopo il kappaò BARCELLONA DAL NOSTRO INVIATO Il barcone dell'Italvolley per il momento ha retto benino: lo choc dell'esclusione dalle semifinali poteva essere pagato già ieri contro la piccola Spagna. Come, invece, non è stato. Gli azzurri hanno vinto tre a zero in poco più di un'ora, e oggi giocheranno contro il Giappone per il quinto posto al quale Velasco dà molta importanza perché - dice sarebbe una dimostrazione di carattere e un messaggio agli avversari: abbiamo perso 2 partite e siamo ancora qui, non i migliori ma tra i migliori del mondo. Sì, questa avventura potrà anche finire con un quinto posto. E ci diremo che in fondo l'Olanda ci ha battuto di un punto solo e magari qualche trombettiere affermerà che è quasi come se non avessimo perso. Tanto ci resta sempre la World League. Non è così. Il fallimento è un fallimento perché non è nato con la sconfitta contro l'Olanda: il seme c'era già e non ce n'eravamo accorti, dall'esterno, abbagliati dalle vittorie e dalla voglia di avere finalmente un Dream Team. Lucchetta ha detto di aver fiutato «che la situazione stava sfuggendoci di mano qualche tempo fa». Si è riferito al ritorno in squadra di Vullo? Oppure all'assemblaggio di due squadre in una, tutti titolari e tutte riserve? Si parla dei rischi del nuovo Milan dell'abbondanza: nessuno pensa che all'Italvolley può succedere altrettanto. Qualche vecchio rancore è affiorato nella sconfitta. Chissà perché si è sempre pensato che non potesse crearsi in questo gruppo il microcosmo di tutte le squadre del mondo, in cui ci sono degli amici e altri che non lo sono. Anche ad ascoltare Velasco questa è una sconfitta che viene da lontano. «Non possiamo illu- derci che sia stato soltanto un incidente di percorso sulla strada dei più forti del mondo - ha chiarito il et -. La verità è che dal '90 a oggi non ci siamo evoluti quanto gli altri, parlo della difesa, parlo di un certo tipo di attacco dalla seconda linea. Un segnale ci era già arrivato dagli Europei persi con la Csi. E se in due anni perdi i due confronti decisivi significa che qualcosa di importante non ha funzionato». C'è da chiedersi perché non si sia lavorato in tempo sui difetti. Ma è un discorso difficile, che toccherebbe il rapporto tra la Nazionale e i club, tra Velasco e i suoi colleghi del campionato. I successi della World League (e delle coppe europee di società) hanno coperto tutto e hanno creato l'illusione che si fosse ancora i più bravi. Il risveglio è stato tardivo. A Barcellona l'Italia non è mai stata la squadra dei sogni. Ora si lavorerà per ricostruirla, cercando di non perdere la popolarità conquistata a fatica. Ma ci sono delle incognite. La prima riguarda il destino di questo gruppo, il ciclo d'oro è finito o no? «Se vi riferite alla squadra di Rio, quella è morta subito - ha detto Zorzi -. Ma finché Velasco non mi dice che non servo io mi sentirò pronto per la Nazionale». Lucchetta la pensa allo stesso modo. I vecchi vorrebbero continuare, mentre Velasco pensa di tenerli in quarantena un anno, lasciando a Giani e agli emergenti (Margutti, Gravina, Meoni, Di Toro, Lavorato, Sartoretti) il compito di giocare gli Europei. Con la speranza di trovare dei talenti più alti e potenti di quelli di oggi. E poi c'è il problema del et, il cui contratto scade a maggio. A dicembre sarà rinnovato il Consiglio federale. «E non voglio far nulla per obbligare la nuova dirigenza a tenermi - ha spiegato Velasco -. Devo capire se ho lo spirito per ricostruire la Nazionale per Atlanta; devo accertarmi che l'ambiente abbia ancora questo approccio positivo nei miei confronti; devo valutare se ci sarà una vera programmazione capace di stabilire i nostri spazi e quelli per i club. Voglio vedere come si vuole difendere la Nazionale: finora ci ho pensato da solo e quando c'era da litigare ho dovuto farlo sempre io. Così non va». Marco Ansaldo L'Italia dei sogni infranti Da sinistra il capitano azzurro Lucchetta «mente» della squadra e il compagno Pasinato

Luoghi citati: Atlanta, Barcellona, Giappone, Italia, Olanda, Spagna