Locarno: seimila per il Gattopardo kolossal di Alessandra Levantesi

Locarno: seimila per il Gattopardo kolossal Inaugurato il Festival con la proposta del film di Luchino Visconti in edizione integrale restaurata Locarno: seimila per il Gattopardo kolossal Una rassegna con tantissimi film ma pochi autori italiani LOCARNO. Seimila persone che fanno le ore piccole per vedere un film com'è avvenuto all'inaugurazione del quarantacinquesimo Festival in Piazza Grande rappresentano uno spettacolo nello spettacolo. Se poi il film è «Il Gattopardo» di Luchino Visconti riportato alla sua lunghezza originaria di tre ore e amorosamente restaurato a cura di Cinecittà e del Centro Sperimentale, avvalendosi dell'esperienza del grande operatore Giuseppe Rotunno, il tutto diventa una vera festa del cinema. Ottimo inizio per la nuova direzione dell'italiano Marco Muller, che eredita l'impeccabile gestione decennale di David Streiff e il suo calibratissimo palinsesto: le grandi chiamate per il pubblico serotino, la retrospettiva monografica (quest'anno è di scena un padre fondatore, il regista Mario Camerini) e le proposte del cinema giovane in gara per il Pardo d'Oro (fra i giurati anche Guglielmo Biraghi, il russo Marlen Khutziev, l'attrice inglese Tilda Swinton, «musa» di Derek Jarman). Due soli i titoli italiani che figurano in cartellone: «Confortorio» di Paolo Benvenuti, in concorso, e «Baby Gang» di Salvatore Piscicelli, fuori. A questo proposito si può osservare che i cineasti nostrani, e soprattutto gli esordienti, potrebbero approfittare di più delle occasioni che offrono i festival estivi al di fuori di Venezia (oltre a Locamo c'è anche Taormina, dove ha ben figurato «Sabato italiano» di Luciano Manuzzi). Non intendiamo riattizzare la recente polemica fra il neodirettore locarnese e Gillo Pontecorvo, curatore della Mostra: ma certo la sirena veneziana esercita il suo fascino su troppi aspiranti e non di rado li delude. Così anziché aspettare zitti e buoni il passaporto per il Lido e protestare se poi non arriva, autori e produttori delle nuove ondate farebbero meglio a guardarsi un po' in giro. Tanto più che quest'anno Locamo s'impegna a dare una risposta concreta all'eterna domanda sull'utilità dei festival cinematografici. E' prevista infatti, nella cornice di Monteverità, un'assise di produttori e distributori indipendenti a livello intemazionale, nella speranza di rendere più direttamente efficace la promozione festivaliera. Di fare in modo, cioè, che i film «da festival» possano trovare la strada per passare regolarmente sugli schermi normali. E c'è altro, forse sconfinando nell'utopia: la rassegna ticinese ha addirittura costituito una fondazione per promuovere e coprodurre film di particolare interesse artistico e culturale. Insomma sembra venuto il momento in cui le manifestazioni cinematografiche si confrontano senza snobismi con la prova del mercato e addirittura tendono ad assumersi responsabilità produttive. Per tornare all'oggi, mentre siamo ancora nella fase della vetrina ovvero della documentazione dell'esistente, alle prime battute il Festival ha fatto subito registrare una certa curiosità. Sono bastate ventiquattr'ore di proiezioni e un'occhiata al catalogo per capire qual è «la rivoluzione controllata» di cui parlava «Le Journal de Genève» il 2 agosto presentando il programma: un concorso ricco di ben cinque proposte orientali, da Israele alla Cina, che testimoniano della specifica competenza di Muller; tantissimi film (forse troppi) disseminati in svariate sezioni parallele; anteprime mondiali di grande prestigio come «Kamen» (Pietra) di Alexandr Sokurov, prezioso regalo offerto in apertura. Un film criptico, spiritualista nello stile di questo cineasta considerato l'erede di Tarkovskij. Alessandra Levantesi Una scena del «Gattopardo». Il Festival propone una retrospettiva dedicata a Mario Camerini. Gli altri italiani sono Piscicelli e Benvenuti

Luoghi citati: Cina, Israele, Locarno, Taormina, Venezia