Vichy, torna Pétain e riaccende la vergogna

Vichy, torna Pétain e riaccende la vergogna Si gira un film sul passato nazista: scandalo nella città che vuole dimenticare Vichy, torna Pétain e riaccende la vergogna VICHY DAL NOSTRO INVIATO «E' proprio lui, il Maresciallo: lo riconosco benissimo, per quattro anni fui la sua manicure». L'anziana signora quasi grida per l'emozione, vedendo passeggiare tranquillo nell'uniforme immacolata il fantasma numero uno della storia francese. Jacques Dufilho alias Philippe Pétain, eroe a Verdun e «mostro» - vent'anni dopo - a Vichy. La somiglianza tra l'attore e l'ottuagenario generale (che entrò in milioni di case francesi, complice l'iconografia collaborazionista) impressiona. Lo sguardo umido, l'eleganza appena trattenuta del vegliardo, la candida figura (baffi, capelli), l'antico piglio militare che ancora trapela da una bonomia quasi paterna. Lo fermano per strada Dufilho, i pensionati di Vichy, per spiegargli come rendere ancor più miracolosa sul set l'illusione ottica. «Guardi, me lo ricordo eccome. A lei mancano un due centimetri. Se li faccia aggiungere nei tacchi». Dice Gerard Chignol: «Mia mamma mi portava tutte le domeniche in centro, solo per vederlo affacciarsi. Era il nostro unico svago, altro che discoteca o stadio. Gli intonavamo in coro "Maréchal nous voilà"». Monsieur Chignol fa la comparsa in questo film da 13 miliardi e tremila figuranti che turba non poco gli animi, a Parigi come nella cittadina termale alverniate. «Mezzo secolo non basta. Era meglio attendere. Capisco la gente scesa in piazza quando si diffuse la notizia che Jean Marboeuf intendeva girare qui Pétain». Parla un altro dei tremila. Ufficiale in servizio dell'Armée, preferisce restare anonimo: «Dovevo ancora nascere, però le giuro che avrei scelto il Maresciallo, non De Gaulle». Siamo nel vecchio cimitero di Cusset, è l'ultima scena: un mesto pellegrinaggio a fine '44, gente che ha perso i suoi cari nella guerra civile. Jean Marboeuf dà gli ultimi ritocchi. «Apro una porta chiusa da mezzo secolo. Pare incredibile, ma nessuna pellicola aveva finora proposto sullo schermo la coppia Pétain-Laval (Jean Yanne). Non romanziamo quegli anni, né i personaggi. Per base ho preso la biografia del Maresciallo a firma Marc Ferro, apparsa da Fayard». Che cosa insegnerà, quel- la storia, agli spettatori più giovani? «Per esempio, vedranno come nasca da vecchie abitudini vichiste il negare le proprie responsabilità politiche. Prenda la tragedia degli emofiliaci contaminati: i ministri, l'ex premier Fabius che vengono in aula a dire "Non sapevo", "Sono estraneo". Forse le ricorderà qualcosa». Un parallelo giudiziario trasparente. In altre parole, Marboeuf dice che non è possibile filmare Vichy senza processarla. «Per me, agli errori oggettivi commessi da Pétain bisogna aggiungere la malafede». Malgrado l'uomo Dufilho si confessi «monarchico», «ostile al suffragio universale», e, nell'incarnare Pétain, faccia uso con insistenza del registro innocentista, l'opera - dichiara il produttore Jacques Kirsner - non introdurrà alcuna «revisione storica»: «Voghamo mettere a fuoco una coppia infernale, due canaglie. Ma quanti ostacoli! Da cinque anni tentavo di montare Pétain nella Francia socialista. Invano. "Antenne 2", la tv statale, all'inizio, mi avvisò: "E' storia ancora fresca, lasci perdere". Ci credo: le nostre élites sono largamente compromesse da Vichy. Ognuno ha il suo bravo scheletro». Poi, quando i fondi arrivano (comprese le sovvenzioni pubbliche) e la manovella può finalmente girare, scoppia la guerra più inattesa, quella con Vichy. Kirsner accusa il sindaco Claude Malhuret, giscardiano, di aver provato in mille maniere a boicottare il film. Dietro, elettori e notabili. Lungaggini per le autorizzazioni, depistaggi, nessun incentivo. Lui nega, ma credergli non è facile. Cinque anni fa, per la prima volta dal '44 un'indagine promozionale mostrò che i francesi avevano smesso di associare Vichy alla collaborazione franco-tedesca. Il luogo evocava di nuovo, in primis, cure termali e beauty produets. La battaglia sulle acque minerali («Vichy» e la vicina «St-Jorre» rientrano nel portafoglio Perrier) fu poi accolta, l'inverno scorso, come una vera liberazione. La «guerra delle bollicine» sfrattava infine quella vera, i giorni bui, le leggi antiebraiche, i sanguinari miliziani. Spettri addio. Non ha atteso altro, Vichy, per 48 anni. Già il 20 novembre 1944 - neppure un trimestre dopo l'esilio forzoso a Siegmaringen, in Svevia, di Pétain, Lavai, Darnand... - il Consiglio comunale proclama unanime: «Vichy è la regina fra le città d'acqua francesi. Non screditiamola perché ospitò un governo traditore». Vero. Sarebbe erroneo far pagare ai 26 mila pacifici residenti odierni - un numero immutabile dall'epoca - colpe altrui. Vichy non era la Berchtesgaden francese. La III Repubblica in agonia la scelse per motivi geografici, i 500 hotel, l'aeroporto e la Zecca vicini, una modernissima centrale telefonica, non lo zelo antigollista. Eppure... Afferma Robert Cave, giornalista presso il quotidiano locale La Montagne: «Ai nostri calciatori e rugbisti, sul campo gli avversari urlano ancora volentieri "Pétain" o "collabo"». E si vuole che De Gaulle, transitando sulla ParigiClermont Ferrand, a Vichy calasse le tendine. Nel '59 annunciò: "Perdono la città"». «E di cosa?», s'indignò la popolazione. 1989: il cantante Jacques Higelin, al Grand Casino per un recital, sveglia i demoni interpel- landò il pubblico - terza età - stile Beppe Grillo: «Allora, dove l'avete nascosto Pétain?». In platea cade il gelo. «E' la vecchia questione del capro espiatorio trancia il sindaco Malhuret -. I problemi veri qui sono altri: il 14 per cento di senzalavoro, un centro storico da rilanciare economicamente». Sarà. Però non giustifica l'amnesia collettiva su Vichy di cui soffre Vichy. Nessun museo (souvenir e documenti abbonderebbero), nessuna stele, una targa appena per onorare - in linguaggio allusivo - gh 80 parlamentari ostili ai «pieni poteri» di Pétain. Omettendo che la stragrande maggioranza glieli votò. Basta mettere il naso nei grandi alberghi, cattedra per un quadriennio della storia transalpina, e un garbato stupore - ovvero stizza mal repressa - accoglie le domande. Il superbo Aletti ospitava la Difesa Nazionale. «Veramente?», replicano gommosi alla reception. L'Hotel du Portugal accoglie livido i pellegrinaggi storici. Comprensibile, visto che la Gestapo era di casa: anziché gli attuali sauna e fitness center, si offrivano alla spettabile clientela efficaci sale di tortura. Povera Isabelle Pajot. Studentessa, ha messo in piedi da sola un «circuito della collaborazione». Ai rari visitatori mostra, dall'esterno, i «templi» vichisti. Previa lunga riflessione, il municipio ora patrocina l'iniziativa. Ecco il Pavillon Sévigné (duecentoventimila a notte, Dufilho vi risiede forse per entrare ancor più nel ruolo), residenza estiva del Maresciallo. L'Hotel du Pare, sede governativa, è ormai un residence. Tranne la suite al terzo piano - camera 19 - dove albergava Pétain. Un circolo l'acquistò a guerra conclusa per trasformarla in museo. Le autorità glielo impediscono tuttora. Emerge così l'ultimo volano, inatteso, dell'affaire. Visto che i nostalgici abbondano, ci aspetteremmo di trovare il classico bric-à-brac reducista: immagini da vendere magari sottobanco, slogan («Lavoro, Famiglia, Patria»), agiografie varie, busti mignon. Invece nulla. Anche a rovesciarla come un guanto, Vichy non scuce la minima prova di inconfessabile petainlatria. Salvo poi trovare - è successo a colleghi francesi - una vip cittadina che denuncia: «Quel Kirsner è ebreo. Che razza di film potrà mai fare sul Maresciallo?». Forse un film terapeutico, da operazione a cervello aperto e senza anestesia per questa città così ansiosa di smarrire la memoria. Come l'Amédée di Ionesco, Vichy è un cadavere che smisuratamente cresce quanto più se ne parla. Nella foto grande, il maresciallo Philippe Pétain, capo del governo collaborazionista di Vichy e fantasma «numero uno» nella storia francese. Sotto, Jacques Dufilho, l'attore che impersona il maresciallo Pétain: una somiglianza impressionante

Luoghi citati: Berchtesgaden, Fayard, Francia, Parigi, Verdun