«Droga libera, mafia sconfitta» di Massimo GramelliniClaudio Martelli

«Droga libera, mafia sconfitta» Consensi e qualche perplessità all'invito di Martelli a discutere del problema «Droga libera, mafia sconfitta» Ayala: le cosche dovrebbero cercare altre attività ROMA. Mafiosi in ginocchio con la droga libera? L'Italia va in vacanza portandosi dietro il classico dibattito da ombrellone. Dopo le aperture di Martelli agli anti-proibizionisti, ieri hanno preso posizione i politici e gli esperti. La polemica ha un aspetto morale (la droga in farmacia è un bene o un male?) e un altro squisitamente pratico: al di là di ogni considerazione etica, la droga libera taglierebbe le unghie ai mostruosi profitti economici della mafia? «Sì», è la risposta di uno che se ne intende, il giudice e deputato repubblicano Giuseppe Ayala: «Infliggeremmo un duro colpo alla mafia», dichiara in un' intervista all'Europeo. D'accordo con Martelli, Ayala ritiene indispensabile che ad un'eventuale liberalizzazione si adeguino le legislazioni di tutti i Paesi europei, «altrimenti gli effetti positivi sarebbero limitati». E per dare un'idea di quanto la mafia guadagni dal traffico di droga, Ayala cita un'inchiesta dei primi Anni Ottanta, da cui risultò che una singola «famiglia», e per una singola operazione, aveva accreditato in una banca di Lugano qualcosa come 110 miliardi di lire. Certo, la legalizzazione europea della droga non distruggerebbe del tutto la mafia, ma - garantisce Ayala - «le cosche sarebbero costrette a spostarsi in altre attività illecite che danno un reddito molto inferiore». Anche chi è contrario alla droga libera per motivi morali concorda con la tesi di Ayala. Con un paio di significative eccezioni che non vengono dal mondo della politica, ma da quello della scienza e del volontariato. «La mafia non vive di sola droga», dice l'immunologo Fernando Aiuti, proibizionista convinto: «In una società come la nostra, con forti differenze culturali fra gli adolescenti, legalizzare la droga può essere un salto nel buio». Durissimo, poi, il commento di don Ciotti, che pure è un fiero avversario delle politiche repressive in materia di droga: «Non è credibile attribuire a forme di legalizzazione la soluzione miracolistica del problema mafia o, ancor peggio, accettarle per narcotizzare i bisogni della gente». Fra i politici, invece, nessuno si spinge a negare l'utilità pratica della droga libera. Altro discorso, naturalmente, è l'adesione morale alla linea antiproibizionista. Affiorano tre posizioni, che - come nel caso del pli - a volte convivono nello stesso partito: favorevoli, contrari e possibilisti alla Martelli. L'ex-ministro Scotti, ad esempio, dice che «la questione non può essere messa nell'armadio come inesistente, ma non può neppure continuare ad essere la risposta semplificata a tutti i mali che ci sono oggi nel Paese». Fra i democristiani, per un Alberto Alessi che aderisce all'intergruppo antiproibizionista, c'è un cattolico di ferro come il ministro degli Affari sociali Bompiani che scrive addirittura a Martelli per invitarlo a «non modificare la parte dissuasiva della legge sulla droga, che andrà valutata soltanto a tre anni dalla sua entrata in vigore». Una spaccatura anche più netta all'interno del partito liberale. Il ministro per le politiche comunitarie Raffaele Costa promette di affrontare l'argomento in sede Cee, ma contesta l'ideologia anti-proibizionista che, da Biondi al vicepresidente del pli Morelli, ha fatto proseliti fra i suoi colleghi. Per Costa, la droga libera può sconfiggere la mafia, «ma dimentica i tossicodipendenti, che sono vittime di situazioni sociali, personali e familiari che continuerebbero a sussistere anche in presenza di droghe legali». Acida la replica del leader antiproibizionista, il pannelliano Marco Taradash: «Costa mi delude: è un moralista cattolico in veste liberale». Massimo Gramellini Il magistrato Giuseppe Ayala, ora deputato repubblicano, è intervenuto nel dibattito sulla «droga libera» aperto dall'intervento del ministro Claudio Martelli

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