Labirinto Mediterraneo

Labirinto Mediterraneo A Siviglia capolavori, mappe, film: tra storia e scoperte Labirinto Mediterraneo Identikit firmati Carracci o Mirò ESIVIGLIA LIVI del Guadalquivir, di Palestina e Provenza, di Liguria e Toscana, dai frutti carnosi: esche da prendere al volo per spargere altrove, per costruire, insieme ai corbezzoli, ai carrubi, ai lauri e ai mirti, il gran giardino del Mediterraneo, il suo paesaggio, la sua cultura. Nel gran complesso della Gartuja de Santa Maria de las Cuevas, fino a ottobre rimane aperta una grande mostra sul Mediterraneo, organizzata dalle Regioni della Andalusia, della Languedoc-Roussillon e da quella veneta, con un catalogo Electa. E' un labirinto, come ormai lo sono tutte quelle mostre che borghesianamente vogliono riprodurre il mondo, di echi architettonici e urbanistici, pittorici e antropologici, con sottofondo di storia economica e storia dell'evoluzione del gusto. E' una lunga battaglia fra natura e artificio, fra culto dionisiaco e quello apollineo, fra notturno e solarità. Eccolo in mostrail Mediterraneo, il mare degli'egiziani, dei greci e dei romani, proprio da Siviglia, orlo del Vecchio Mondo, dal quale vennero immaginati confini di altre terre. Portolani, mappe, carte e plastici aiutano ad entrare in questo gioco di scoperte ed avventure. Un gioco che ha il suo centro nella visione e nel suo saperla comunicare, dalle rappresentazioni geografiche di un Antonio Joli a quelle urbanistiche di Anton van den Wyngaerde, a quelle artistiche di Corot, Cézanne, Picasso, Mirò. E' un modo per afferrare, analizzare il territorio, realisticamente o idealmente, nella sua luce, nel suo colore, nella sua vegetazione: l'idealizzazione del paesaggio, da Carracci a Pussin ha i suoi risvolti nel «cartografismo» di El Greco e Didier Barra. Mediterraneo come Eden ma costruito con la volontà. E stanno a dimostrarlo le terrazze: le fasce di terra, con i muri a secco, strappate ad un suolo mai abbondante, troppo spesso in bilico. «Questa volontà è conoscenza», scrive in catalogo lo studioso Yves Luginbhùl: «Empirica o scientifica, essa nasce dall'osservazione paziente dell'esperienza. Per costruire le terrazze, le hnertas, le dehesas ci sono voluti dei secoli di esame ostinato, ma spassionato della crescita di una pianta, dell'evoluzione di un animale, dello scorrere di una sorgente, di un fiume... il paesaggio mediterraneo è in effetti un in sieme di ordine e disordine che risponde all'equilibrio tra il suo carattere apollineo e le sue capacità dionisiache». Genialità e sregolatezza, sim metria ed esplosione delle for me, vitalità e riflessione, rocce e pianure. L'identikit del Mediterraneo parte dalla sua flora, dalla sua fauna, dall'attrazione che fiori e piante provocano negli animali per essere trasportati altrove, per ricrescere e uniformare, in qualche modo, il paesag gio. Laboriosità e ozio. Dalle vedute dei moli veneziani di Francesco Guardi alle scene bucoliche di Chauvin, fuori Napoli, dalle acque di Costantinopoli di Carlo Bossoli alle topografie di Toledo di El Greco e Adnen Dauzats; ecco le immagini di un Mediterraneo spiato e raccolto nella sua natura e nel lavoro di trasforma¬ zione, giardini e boschi, paesi e città. I paesaggi di Zuloaga, di Lavastre, di Pachila, di Fromentin, di Valloton, di Dufy si intrecciano all'invenzione pubblicitaria del paesaggio in un esotismo di cartone con spiagge di Costa Azzurra e sfingi egiziane. Hugo d'Alesi è uno dei grandi inventori del «Mediterraneo eso- tico» e riempie, a inizio Novecento, i suoi manifesti con donne languide in costume tradizionale, relegando la figura maschile a suonatore o rappresentante di un mestiere, insomma: chitarrista o gondoliere o pastore. E se nella pittura anche l'olivo o la palma si sfa sotto le tecniche degli impressionisti e dei cubisti, nella pubblicistica diventano il simbolo di quel paesaggio. Saranno la fotografia e il cinema a conservarne una memoria realistica e gli «incisori di immagini», i fotografi della memoria mediterranea si chiameranno: Fred Boissonas, Fallani, Faccioli, Jose Ortiz Echague. I registi: Luchino Visconti, Orson Welles, Michel, Cacoyannis, Angelopoulos. La mostra offre sale e sale con modellini e proiezioni, sguardi, come diapositive, sul passato e riflessioni sul futuro del Mediterraneo. Il discorso da storico e artistico si fa ambientale. E' il lato «verde» della mostra: analisi sui pericoli di una tecnologia eccessiva, spericolata, segnali di un bisogno diverso di utilizzare l'ambiente, più attenzione alle riserve ecologiche. C'è un nuovo pubblico, i «neorurali», che vogliono agricoltura, artigianato, servizi non inquinanti. Che vogliono un futuro per il Mediterraneo ancora apollineo e che vedono troppe forze dionisiache, oggi, cercare di metterlo in crisi. E la grande mostra di Siviglia testimonia anche di questo pericolo. Nico Orango Paul Cézanne: «Il golfo di Marsiglia visto dail'Estaque». Sotto, Picasso: «Gufo nero appollaiato» (Vallauris, Collezione Madoura)