DE CRESCENZO Eremita in vasca da bagno

DE CRESCENZO Eremita in vasca da bagno la memoria. Vacanze al piano di sopra: «Immobile al buio nell'acqua caldissima, aspetto i pensieri» DE CRESCENZO Eremita in vasca da bagno ROMA DAL NOSTRO INVIATO Nell'estate dell'80 lo scrittore napoletano Luciano De Crescenzo vendette il motoscafo (addio coppe nelle gare di off-shore) e comprò un ufficio al quarto piano della stessa casa romana dove già abitava al terzo. Stava e sta in un appartamento pieno di radio e telefoni antichi, di schermi giganti per la tv e il cinema; in una nicchia un maestoso juke-box Wuerlitzer del '41 manda luci colorate dalle code di due pavoni in vetro. Il venerdì faceva le valigie per il weekend: prendeva l'ascensore e saliva nel nuovo ambiente. Dalle finestre dava un'occhiata ai Fori Imperiali, al Campidoglio e a uno spicchio di Colosseo, armeggiava con il computer, leggeva e scriveva. Finalmente era febee. Da allora tutte le estati esegue lo stesso rito. «E siccome vivo solo, qualche volta, non lo nascondo, invito qualche amica». De Crescenzo siede nello studio sotto le pale del ventilatore, ha di fianco un Socrate con un cappello di paglia in testa accanto a un san Gennaro dorato, e davanti sul tavolo un busto bianco di Venere. Alle sue spalle si spalanca una parete con 77 copertine di suoi libri tradotti nel mondo e i manifesti dei suoi film. E' circondato dalle foto dei suoi dei e delle sue dee (Totò e Bertrand Russell, Marisa Lauri to e Einstein), da un Telegatto, un Premio David di Donatello, una medaglia d'oro d'atletica, trofei di motonautica, una piramide di Pomodoro per il milione di copie in Mondadori, l'amatissimo Premio Vevey consegnatogli da Oona Chaphn. «Perché ci fosse sempre più un solo De Crescenzo, il De Crescenzo scrittore, venni quassù nell'80. Mi cambiai la vita». La scelta risentì pure di ragioni morali e metafisiche: «Una forte spinta a non fare più vacanze la ebbi da uno dei soci più straordinari del Circolo Napoli, l'ex professore di fisica Riganti. Era famoso perché al Circolo non si spostava mai dalla poltrona dove dicono si era seduto una decina d'anni prima di andare in pensione. Un giorno mi vide che giravo il cucchiaino nel caffè: "Perché girate così a lungo?", mi chiese. "Per far sciogliere lo zucchero", risposi. "Sentite un consiglio: fate solo un'andata e ritorno in linea retta. Anzi, se proprio volete fare una cosa buona, non muovetevi affatto. In due minuti lo zucchero si scioglierà da solo". "Me lo dite per farmi risparmiare fatica?". "No, per far durare più a lungo l'Universo". E mi spiegò il secondo principio della termodinamica, sul crescente disordine dell'ambiente. Quando la materia diventa energia, una parte di questa energia non è più utilizzabile e va ad aumentare il disordine. La misura del disordine si chiama entropia. A furia di perdite e fusioni l'Universo diventerà un immenso cappuccino. Anche il protone sarà polvere fra qualche anno, per l'esattezza un dieci seguito da trentuno zeri. Io nell'80 ero un entropico pentito». De Crescenzo descrive l'immobilità estiva come il fulcro, la quintessenza della sua filosofia. Evoca Pascal, pensiero 354, l'unico sottolineato in rosso nell'edizione Einaudi: «Tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere restare in casa propria». Non dimentica sant'Agostino: «Uomo, non uscire da te stesso». Si aggrappa a Socrate: «A chi lo invitava ad andare a vedere il tramonto a Capo Sunio rispondeva arrabbiatissimo che del Capo Sunio non gliene fregava niente. A lui interessavano gli uomini, e di uomini ne trovava abbastanza in città». Approda infine a un altro filosofo napoletano, il professor Barbieri, che vide in pigiama e cappotto davanti a un piatto di pasta e ceri. Barbieri cercava sempre, a patto di non trovare mai: «Era uno zeticista incallito. Zeticista, cioè cercatore. Il saggio deve fare solo una cosa: aspettare». La giornata di De Crescenzo raggiunge l'acme alle quattro del pomeriggio: «Fatto fondamentale della mia vita, mi faccio il bagno in vasca perché sono uomo d'amore. Ho teorizzato che gli uomini si dividono in due categorie: gli uomini di libertà e gli uomini d'amore, secondo che siano più disposti a sopportare la solitudine o l'oppressione, l'affètto degli altri. Io la sera debbo vivere circondato dall'affetto degli amici: Arbore, che se n'è andato a New Orleans, Marisa Laurito, che è a Bah, Benigni, che non so dov'è scappato, forse in Kenya. Ho cercato di convertirli ai principi dell'ascesi agostana, ma inutilmente. Di solito io sono un eremita part-time; d'estate lo divento a tempo pieno». E che succede nella vasca del bagno? «Sto immobile nell'acqua caldissima aspettando che diventi fredda. Al buio. E aspetto i pensieri. Non aziono nemmeno l'idromassaggio, perché fa rumore. Certi giorni scendo in vasca anche alle otto del mattino: mi definisco lo scrittore più pulito d'Italia». Giudica la doccia «milanese perché ri si lava meglio, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo: quindi è produttiva. La vasca è invece un appuntamento con i pensieri, è napoletana». Da quell'estate '80 De Crescenzo trae un particolare «godi¬ mento fisico» nelle incursioni alla Biblioteca Nazionale, finché resta aperta. Annusa, palpa, scruta tomi estinti, introvabili. Lì ha accarezzato le pagine di Apollodoro Ateniese, di Darete Frigio e Ditti Cretese: «Mi hanno dato gli spunti per Elena, Elena, amore mio, più di 700 mila copie. La Grecia mi ha affascinato a cinque anni scarabocchiando La leggenda aurea degli dei e degli eroi nella Scala d Oro dell'Utet». Nella calura rastrella e trova perle nei libri che «scanna», che passa cioè allo «scanner» collegato con il computer: fotografa le pagine e il computer fa tutto da solo, memorizza e rintraccia ogni parola, ogni argomento. «Mi vengono le idee. Sono queste le mie gioie». Sta completando ora il suo primo vero romanzo, La sarta traviata: «L'altro giorno ho visto Silvio Berlusconi ad Arcore. Mi ha sorpreso: me lo immaginavo uomo di successo, di potere, con i minuti contati. Invece abbiamo parlato come due disoccupati, cazzeggiando. Gli ho proposto il mio romanzo e il film che se ne può trarre. Mi ha osservato che quando va al cinema le persone più anziane che vede in sala hanno vent'anni meno di lui. Il cinema è per i giovani, dice. La mia storia, che riprende in parte La signora dalle camelie nonché La Traviata, secondo lui forse non è per i giovanissimi. Ci dobbiamo rivedere». Altro tema, su cui ha riempito quattro scaffali di libri già «scannati», è l'astrofisica: «Il libro si intitolerà Descrizione dell'Universo cominciando da casa mia. Mi ci vorranno altri due anni. Vado fino al fondo dell'Universo e dopo non c'è nulla; c'è il nulla ma non il vuoto: il vuoto ha dimensioni, il nulla no. Il greco Anassimandro diceva: "Se esiste un bordo dell'Universo, posso allungare una mano? e dove l'allungo?" Non la può allungare, perché gli sparirebbe. Io riprendo Einstein». Un romanzo e un saggio: una sfida doppia. «Temo di non esse¬ re ancora del tutto scrittore. Mi sento sempre ingegnere, un ex dell'Ibm», gli scappa detto. E' il suo tormentone. Ogni tanto si chiede: «Chi sei? Ingegnere, attore, presentatore, regista, sceneggiatore, giornalista, o scrittore?». Si risponde: «Il mio mestiere è il traduttore. Prendo argomenti un po' complessi e li traduco a beneficio dei semplici. Sono un divulgatore». Riceve dieci lettere al giorno. Legge: «"Caro De Crescenzo, sono un bambino di sei anni, mi chiamo Jacopo e tu sei buono come Omero". "Caro De Crescenzo, sono un quinta elementare di 62 anni, ho fatto la guerra e l'autista e ti dico la mia gratitudine"... Questi sono i miei premi, altro che il Bancarella o lo Strega. Tu capisci perché devi scrivere». Nell'estate '80 comincia a mettere in ordine i ricordi per la sua futura Vita. C'era mammà, che si era costruita un piccolo altare accanto al letto matrimoniale: aveva attaccato alla pare- te, fra lumi votivi e fiori secchi, le foto dei defunti di famiglia. Un giorno mise anche la foto di Marilyn Monroe dicendo: «Puverella, e che brutta fine c'à fatto!». Alla Pensione Gianna, «un casino dal volto umano», fece un baratto con Ernestina, che doveva scrivere a casa due volte al mese. Lei gli disse: «Tu m'insegni a scrivere e io ti insegno a fare l'amore. I francobolli però li metti tu che sei uomo». C'era Santa Lucia, la strada, il quartiere dei «luciani», i napoletani più antichi. Si narrava di Fortunatina la Storta, alta un metro e dieci e dalle gambe arcuate, che chiedeva l'elemosina fuori della parrocchia e caracollava come uno scarabeo fra le barche a secco per farsi regalare qualche pesciolino di scarto. Fece l'amore con Recchietella, «o' Munnezzaro zuoppo», e mise al mondo un bambino sano e bello. Il giorno della prima comunione, durante la guerra, scoppiò una nave e di Recchietella e della sua motoretta non fu trovato più nulla. Fortunatina affidò il figlio al parroco, si chiuse nel suo basso e il basso «si illuminò come se all'interno ri fossero stati cento lampadari di mille candele. Raggi di luce uscivano da ogni dove. Quando tutto tornò come prima, la gente entrò e non ri trovò più nessuno. Fortunatina era sparita nel nulla». C'era «Palummiello», un pescatore di 85 anni, che la notte non dormiva e guardava il mare. «Com'erano le sirene?», gli chiedevano i ragazzi. «Tenevano la pelle d'argento come le alici e i capelli come la luna». C'erano gli emigranti: davano un gomitolo di lana colorata ai familiari che restavano e quando la nave partiva si vedevano i fui che si allungavano, un capo nelle mani di chi stava sul molo, un capo nelle mani di chi se ne andava. Sembrava che la nave non ce la facesse a spezzare i fui e invece alla fine si spezzavano, rimanendo «ancora un po' per aria come una scia colorata». Nell'80 gli si rivelò una malattia. Ora è più grave: «Un guaio». La malattia sembra uno scherzo e non lo è: si chiama prosopoagnosia. E' così rara che sui dizionari non c'è neppure. De Cre- scenzo non riconosce le persone; solo la voce l'aiuta. «Non ho riconosciuto neanche mia sorella. "Piacere, De Crescenzo", le ho detto. E lei piangendo: "Lucia, song'io". Papà e mammà li riconoscevo». Un giorno ha scambiato Leonardo Mondadori per il portabagagli dell'hotel La Palma a Capri: «L'ho visto in bermuda e gli ho chiesto: "E i bagagli?". Tutto perché chi mi aveva preso le valigie all'aliscafo aveva pure lui i bermuda». Una volta incontra Sofia Loren a Cinecittà: «"Lei di cosa si occupa?", le ho chiesto. Lei pensava che io scherzassi. "Di tutto", mi ha risposto. Ho sentito la voce e l'ho riconosciuta». Quando va alle feste l'aiuta Arbore. Gli stringe un braccio e gli sussurra: «C'è Gassman. Arriva Villaggio». «E' tremendo - dice De Crescenzo -. Al cieco e al sordo la gente crede, al prosopotico no. Riconosco Giuliano Ferrara e Costanzo perché sono evidenti. Se esco con una ragazza la riconosco solo se abbiamo un appuntamento; se la incontro per strada, no». Di ragazze gli schedari mondani gliene hanno attribuite molte, fra cui Lori Del Santo, Giulia Boschi e Isabella Rosselli ni («L'avrei anche sposata, ma se n'è partita per l'America»). Il solitario De Crescenzo sfodera un'affettuosa misoginia. Ricorda Pandora e il suo vaso di mali. Cita Nabokov: «Al suo eroe Humbert la donna fa paura, gli sembra che voglia divorarlo. Si rifugia nella lolita come nell'ultima donna innocente. Un attimo dopo è da fuggire». Recita con nostalgia allegra una poesia di Ferdinando Russo, poeta napoletano di fine '800, La Madonna dei mandarini: un angelo Piccolino ha peccato e Dio lo chiude in una cella; l'angelo piange dalla paura; quando tutti dormono la Madonna gli porta i mandarini «La funzione della donna è il perdono. Le donne sono mamme». Questo è il punto: «Dove le trovi oggi le donne materne? Il mio motto sulla donna è: amo il tuo posto vuoto accanto al mio. La convivenza mi fa paura». De Crescenzo si è diviso dalla moglie Gilda nel '66. Sua figlia Paola aveva cinque anni, lui 38. Affiora l'estate sepolta e segreta. De Crescenzo andò a prendere la figlioletta per portarla in vacanza. «Ero terrorizzato: avevo da passare con lei tre settimane in Val Pusteria e mi sono aggrappato a una famiglia di amiri. Di quel '67 ho dimenticato tutto; ricordo solo una notte che Paoletta non dormiva. Ho accostato i lettini e le ho tenuto la mano. Questo addormentarci insieme, questo sentire ancora la sua manina nella mia è un'emozione così forte che ri sparisce dentro tutto. Successo, potere, soldi, non conta più nulla». «Mia figlia è la cosa più bella che ho fatto - dice -. Le spiegavo ogni cosa. Quando scrivo, penso sempre che ri sia lei a cinque anni ad ascoltarmi... Io sono un papà-mamma... Oggi ha trent'anni ed è sempre signorina. Le dico: "Fammi un nipotino, che c'importa se non ti sposi?"... La separazione, la lontananza, quella stessa notte delle nostre mani unite, è sempre una ferita. Come un bellissimo strazio. E' il motivo vero per cui nell'80 sono finito quassù al quarto piano e non mi sono più risposato: e chi glielo dice, a Paoletta?». Claudio Alta rocca «Arbore è andato a New Orleans, la Laurito a Bali, Benigni chissà dove Ho cercato invano di convertirli all'ascesi agostana» «Il mio motto sulla donna: amo il tuo posto vuoto accanto al mio. La convivenza mi fa paura» Lori Del Santo, una fra le molte ragazze che sono state attribuite a De Crescenzo. In basso a sinistra Giulia Boschi, un'altra chiacchierata fiamma, e Renzo Arbore, l'amico con cui condivide le serate e la passione per Totò A sinistra Isabella Rosselli™: «L'avrei anche sposata ma se n'è partita per l'America» A fianco Marisa Laurito e sotto Roberto Benigni Dice De Crescenzo: «Devo vivere circondato dall'affetto degli amici» RACCONTI D'ESTATE