Piccoli frutti non crescono più
Piccoli frutti non crescono più Lamponi, ribes, more e mirtilli, cade il consumo domestico e la produzione si dimezza Piccoli frutti non crescono più Ma l'industria per comprare si rivolge all'estero TORINO. Piccoli frutti crescono, ma ormai solo più nel prezzo al ristorante: otto-diecimila lire per una porzione di «misto bosco» sono troppe - sostengono i rappresentanti dei consumatori - perché significa avere un ricarico di otto-dieci volte. Ma se ciò avviene la colpa è anche del consumatore, che guarda con sospettoso desiderio lamponi e mirtini, more e ribes; e, se deve «buttarsi» a mangiarne un piattino, preferisce farlo al ristorante piuttosto che a casa. «Lo scarso consumo domestico - dice il dottor Di Tosto dell'Unapro - è dovuto a una mancanza di abitudine, poiché quelli sono frutti tradizionalmente consumati nella Mitteleuropa; ma anche a un prezzo molto elevato». Prendiamo il lampone, tra tutti il più diffuso: ebbene, l'anno scorso al produttore veniva pagato 4 mila lire il chilo (da consumo fresco, perché quello da industria superava di poco le mille lire, ndr), mentre in negozio, o al mercato costava 25 mila lire. Non può reggere il confronto con altra frutta, se non nelle famiglie a reddito elevato. Eppure anche i piccoli frutti hanno conosciuto u loro boom, durato fino alla fine degli Anni 80, quando qualcosa s'è spezzato. La stessa forte richiesta da parte dell'industria non ha trovato preparati i nostri produttori; quindi sono aumentate le importazioni. E si è innescata una spirale perversa, perché le aziende di trasformazione han- no scoperto, accanto ai tradizionali Paesi produttori dell'Europa centro-settentrionale (Germania, Francia, Svezia, Norvegia) mercati convenientissimi e Paesi disperati disposti a regalare quasi la merce: sono le nazioni dell'Est europeo, con Polonia e Jugoslavia in testa, seguite da Romania e Ungheria. Oggi siamo a questo punto: la produzione italiana ottenuta da impianti specializzati supera di poco le 3 mila tonnellate annue, mentre alla fine dell'anno avremo importato qualcosa come 12 mila tonnellate di merce, spendendo circa 30 miliardi. Il Piemonte - che è il maggior produttore italiano di frutti del sottobosco - è la regione che più ha risentito della crisi. «Le superfici quest'anno - dice Michele Baudino dell'Asprofrut - si sono dimezzate, dai 220 ettari del '91 superiamo appena i cento». Due semplici dati forniti dall'Ismea possono spiegare meglio di lunghe dissertazioni il motivo della crisi: nel 1989 il prezzo medio pagato dall'industria ai produttori cuneesi di lampone vinifero è stato di 1600 lire il chilo, contro le 2200 realizzate in media nel triennio 1985-87, mentre un calcolo dei costi di produzione effettuato dall'Università di Bologna fissava un costo corrente complessivo di 4364 lire per chilo di lampone unifero. E ancora: il prezzo pagato dall'industria (1200 lire il chilo) non copre neanche il costo della raccolta, 1400 lire il chilo nel 1991. Che cosa si fa per contrastare questa crisi rovinosa? «Bisogna modificare la produzione - dice Di Tosto - spostandosi dalle varietà per l'industria a quelle per il consumo fresco, che rende di più». «E in Piemonte, che da solo produce oltre la metà dei piccoli frutti italiani - spiega Baudino -, si è estirpato il lampone da industria per coltivare specie adatte al consumo fresco». Ma le piante non sono ancora in produzione. Oltre al lampone nero, si stanno affermando nuove specie, come la mora giapponese, il ribes bianco, il mirtillo gigante americano. Anche il Trentino-Alto Adige la seconda regione italiana produttrice di piccoli frutti - ha subito una crisi, ma meno grave di quella piemontese, forse per la vicinanza con tedeschi e austriaci, grandi consumatori di questa frutta, ed anche per l'aiuto degli enti pubblici. Il mitico mercato unico del '93 cambierà qualcosa? Secondo gli esperti potrebbero essere meglio regolamentate le importazioni da Paesi extracomunitari, ma è difficile che i vantaggi ricadano sull'Italia, dove la coltura dei profumati frutti di bosco è troppo frammentata e il suo ricavo considerato uh «utile marginale». Livio Burato 1991 25.106 1992 30.000 (Previsione)
Persone citate: Baudino, Di Tosto, Livio Burato, Michele Baudino
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