Un «Barbiere» giovane, ma che tristezza

Un «Barbiere» giovane, ma che tristezza Pesaro: aperto il Rossini festival, il regista Squarzina privilegia la commedia più che la farsa Un «Barbiere» giovane, ma che tristezza Non s'è mai visto un Don Bartolo così cupo, bravi i cantanti PESARO. Il Festival del bicentenario ha dovuto affrontare l'osso durissimo del «Barbiere di Siviglia», l'opera più famosa di Rossini, fatta oggetto negli ultimi vent'anni di importanti riletture, registrazioni esemplari, allestimenti memorabili nei primi teatri del mondo. Per fare qualcosa di diverso e sottrarsi ad imbarazzanti confronti, il Rossini Opera Festival ha quindi pensato ad una compagnia di giovani guidata da un direttore ai primi successi e da un regista di provata esperienza come Luigi Squarzina che si è avvalso delle scene e dei costumi di Giovanni Agostinucci. Dietro le quinte, come sempre, a muovere le fila c'erano il sovrintendente Gianfranco Mariotti che entrerà nella storia come l'inventore del festival cui dobbiamo la moderna riscoperta dell'opera di Rossini, e il consulente artistico Alberto Zedda, in procinto di lasciare Pesaro per passare alla direzione artistica della Scala. Questo «Barbiere» era decoroso sul piano della esecuzione musicale: Paolo Carignani ha guidato con sicurezza l'Orchestra Sinfonica di Torino della Rai, tenendo ritmi brillanti e trattando i tempi con una elasticità talvolta un po' libera, ma sostanzialmente accettabile. Sul palcoscenico Roberto Frontali è parso vocalmente e scenicamen-' te brillante nella parte di Figaro e Giovanni Furlanetto ha disegnato un Basilio davvero straordinario per sottigliezza, ambiguità e nitore vocale. Bruce Ford e Lola Casariego hanno fatto del loro meglio nelle parti acrobatiche del Conte di Almaviva e di Rosina, cantando con correttez¬ za di stile e sufficiente precisione tecnica, mentre Maurizio Picconi e Gabriella Morigi hanno disegnato, non senza vivacità, le figure di Bartolo e di Berta. Un tipo di vivacità, naturalmente, compatibile con l'interpretazione seriosa di Luigi Squarzina che intende privilegiare la commedia di carattere più che la farsa e, come scrive Zedda, non vuole mai «uscire dai binari del gusto e della misura». Risultato: Bartolo è un vero dottore in medicina che canta la sua comicissima aria prendendo le misure di un manichino appoggiato su un tavolo anatomico, in uno splendido studio di legno tra statue, colonne tortili, giganteschi portali. Scelta di per sé piuttosto neutra, se non fosse che non si è mai visto un Bartolo così accigliato, severo, triste, di una cupezza addirittura tragica nelle movenze e nel trucco. Squarzina, intendiamoci, è un grande maestro e fa recitare i suoi attori con una eleganza ed una scioltezza ammirevoli, lavorando accuratamente i gesti, i movimenti, il gioco sempre mutevole del dialogo mimico. Difficile, ad esempio, realizzare l'aria della calunnia con maggiore sottigliezza: l'ipocrisia di Basilio è folgorata con assoluta precisione. Ma la paura di far ridere, il timore di «cadere nella farsa» gettano su tutta questa regia una cappa soffocante di serietà che mi trova del tutto dissenziente. Secondo me, togliere il riso a Rossini è come negare il cattolicesimo dei «Promessi sposi»: vuol dire svuotarlo nella sua essenza morale e artistica. Il «Barbiere di Siviglia» è infatti una grande festa del riso celebrato nella sua capacità di relativizzare il male, annullare la paura, trasformare il negativo - qui la cattiveria di don Bartolo - in un gioioso spauracchio comico. La commedia realistica c'entra, ma solo nella misura in cui è travolta e continuamente risucchiata in una risata fragorosa quale il teatro d'opera non aveva mai conosciuto e che, in ogni brano, trasforma la realtà, rovesciandola, carnevalescamente, nella «farsa». Non vedo perché questo nome debba essere impronunciabile, se non in una visione completamente distorta che ignora, o perlomeno nega dignità ad un grandissimo filone della cultura occidentale: quello della risata libera e gioiosa che da Aristofane a Plauto, alle farse medioevali, giunge fino a Rabelais, a Shakespeare, a certo Molière, all'opera buffa: un filone di comicità farsesca che esprime una precisa visione del mondo e che trova in Rossini la più alta espressione musicale. Negando tutto questo, lo spettacolo di Squarzina diventa imbarazzante quando deve affrontare per forza le situazioni farsesche, come il travolgente quinI tetto del «Buona sera» mentre Bartolo, il colossale antagonista attorno al quale ruota tutta la comicità della burla, sbiadisce. Ecco perché il pubblico non ha quasi mai riso anche se alla fine ha accolto lo spettacolo con applausi un po' frettolosi ma sostanzialmente unanimi. Da notare che l'opera è stata eseguita in versione integrale e che nelle riprese delle arie e dei duetti sono state aggiunte fioriture non scritte, come si faceva all'epoca di Rossini; idea filologicamente apprezzabile se non fosse che quei ghirigori posticci finiscono quasi sempre per guastare bellissime linee melodiche. Difficile, insomma, riprodurre «in vitro» quello che i cantanti rossiniani facevano sorretti da una tradizione allora viva e operante. Paolo Gallarafi Paolo Carignani guida l'Orchestra Rai di Torino con molta sicurezza Alla fine, applausi frettolosi

Luoghi citati: Pesaro, Siviglia, Torino