«Che mal di fegato, non respiravo» di Roberto Beccantini

«Che mal di fegato, non respiravo» Il campione di Scarnafigi^ deluso ma non troppo, spiega le ragioni della sconfìtta «Che mal di fegato, non respiravo» Ha detto à De Benedictis: vai, la medaglia è tua BARCELLONA DAL NOSTRO INVIATO Se questo è perdere, beh, allora, in alto i calici e cento di queste sconfitte. La marcia italiana ci regala un'altra sera di appassionante intensità. Nella 20 chilometri, vinta dal catalano Daniel Monterò Plaza davanti al canadese Leblanc, Giovanni De Benedictis è terzo, Maurizio Damilano quarto. Ed è proprio Maurizio, abituato sin dall'infanzia a crogiolarsi nella fatica, a dettare il ritmo e a sgranare il gruppo. Damilano era al passo d'addio. Sperava nel podio, si è arreso a metà gara. A 35 anni si ritira sotto la tenda, abbracciato al suo erede. Il passaggio delle consegne avviene nel ventre dello stadio, mentre la Spagna celebra il trionfo di un eroe venuto dal nulla. E' un tramonto soave, addolcito da refoli di vento. Damilano ha sempre il berrettino, De Benedictis non ha più gli occhiali. Fra i due, ci sono undici anni di differenza. Maurizio è di Scarnafigi, Giovanni di Pescara. Il primo è crollato, il secondo ha rimontato. Maurizio sorride. Gocce di sudore grosse come chicchi di grandine gli scendono giù dalla fronte, lungo le guance scavate. «Nessun rimpianto - racconta -. All'inizio, tutto bene: io subito al comando e gli altri dietro. Decisione fra ottavo e decimo chilometro: ho cominciato ad avere male al fegato. Per un po' ho resistito, poi ho mollato: non ce la facevo più». Dal volto patibolare, sfatto dalla fatica, spunta un arcobaleno di serenità. E' il momento dei bilanci. Un lampo di fierezza gli solca il viso. Ansima, è felice e sazio: «Penso di aver coronato vent'anni di carriera con un degno epilogo. Ci tenevo molto. Ho sfiorato il bronzo, pazienza: lo lascio in buone mani». La ressa è pazzesca, ci si sgomita per un segmento di balaustra. De Benedictis è stravolto dalla gioia: «Maurizio, l'ho ripreso all'inizio dello strappo finale. Ho cercato di aiutarlo, faceva fatica a respirare. Si è toccato il fegato, mi ha detto "vai", sono andato. Non sapevo ancora della squalifica di Massana, l'altro spagnolo». Damilano chiede di Sandro, il fratello allenatore. «Non penso di aver sbagliato tattica. Più del caldo, mi ha dato fastidio l'umidità. Non è una scusa, ma un dettaglio, dal momento che eravamo tutti nelle stesse condizioni». Ha fallito per poco il record storico dell'ex sovietico Golubnichiy, quattro Olimpiadi quattro medaglie. Si è fermato a tre - l'oro di Mosca, i bronzi di Los Angeles e Seul «ma vi assicuro che questo quarto posto, a questa età, non vale meno di una medaglia. A Mosca fu tutto facile, a Los Angeles tutto difficile, a Seul così così, sinceramente non ci speravo. Barcellona non è una sconfitta, o meglio: è una sconfitta che non mi addolora. Anzi: mi onora». Giovanni, lì vicino, lo ascolta deferente: «Non sto nella pelle dalla felicità. Sono campione d'Europa indoor sui 5 chilometri, ma l'Olimpiade è l'Olimpiade. Ho realizzato il sogno della mia vita. Ringrazio Maurizio della fiducia. Farò di tutto per esserne all'altezza». Sono parole buttate lì, con sentimento, nella bolgia del dopo gara. Nessuno recita, si parla a braccio. Quello che viene, viene. Il protocollo, ossessivo, strappa gli atleti dalle fauci dei giornalisti. Maurizio Damilano ha un ultimo messaggio: «E' per chi mi ha seguito e incoraggiato in tutti questi anni. Grazie. Grazie di cuore». La sua vita, adesso, sarà diversa. E lo sarà anche Scarnafigi, tre medaglie olimpiche e millecinquecento anime, forse meno: l'incantesimo si è spezzato, chissà quando tornerà sulle pagine dei giornali. Maurizio aspetta un cenno dalla Fidai: diventerà uomo-immagine della marcia; racconterà ai ragazzi come si può diventare grandi e lasciare un'orma sulle strade della vita anche così, coltivando l'hobby della «tortura». L'abbiamo seguito a lungo sul monitor. Sembrava toccato dalla grazia, ma la marcia nasconde insidie in ogni smorfia del viso, e dietro ogni dosso, ogni curva, ogni rettilineo. Ha ceduto di schianto, con la dignità del campione leale. E' stato un bel sogno, al riparo da incubi e sotterfugi, tutto alla luce del sole. Il re dei pedoni se ne va fra gli applausi, agitando la mano. Quarto, sì, ma soltanto per una sera. Roberto Beccantini Giovanni De Benedictis, bronzo nella prova dei 20 km di marcia A fianco, il trentacinquenne Maurizio Damilano, giunto quarto