Parla male Che signora!

Parla male Che signora! I manuali per insultare meglio Parla male Che signora! W N Toscana, quando un I ragazzino fa una cosa I sgarbata o si comporta I male, la madre (cosa al-MÌ quanto grave) e lo stesso padre (fatto ancora più grave) lo chiamano «figlio di un cane». E', questo, credo, il punto più istruttivo per osservare che cosa è un insulto e quanto ampia sia l'area in cui può esprimersi un'offesa: dalla durezza incontrovertibilmente contumeliosa (parola disusata ma che mi pare espressiva e non degna di oblio) alla affettuosità e perfino alla tenerezza. Ma non bisogna esagerare, credo. Claudio Quarantotto ha recentemente pubblicato un Insultano pubblico che ha un sottotitolo alla Wertmuller: «Manuale a uso di politici, manager, grandi e piccoli borghesi, giornalisti, impiegati, sportivi, scrittori e scriventi, cantanti, attori, donne in carriera, casalinghe, teledivi e Presidenti della Repubblica». Quest'ultima categoria è rappresentata da Cossiga, che ha fornito il maggior numero di citazioni (ben 75). Mancano solo i professori, a meno che non rientrino in una delle categorie precedenti. Poiché oggi le parolacce sono di moda, ma c'è anche chi crede che esse non esistano, una raccolta con tanto di nome, cognome, data di esternazione, di espressioni che una volta si chiamavano volgari e che siamo rimasti in pochi a considerare tali, è di grande interesse. A me è venuto in mente che questo libro, che contiene per lo più espressioni di uomini politici (guarda caso!), si allinei con altri dù'é'lib'ri recenti, uno in cui sono raccontate malefatte finanziarie, un altro in cui sono raccolte le frasi sgrammaticate di parlamentari di tutti i partiti II Quarantotto ha la bontà di citarmi per un passo pubblicato su questo giornale in cui esortavo a rispettare il confine oltre il quale si finisce nella volgarità e lo ringrazio, ma temo che egli sia di vedute molto più ampie delle mie. Francamente, sarà perché so no vecchio (eppure ho ristampa to un volume di Angelico Prati dal titolo Voci di gerganti, vagabondi e malviventi e dovrei essere vaccinato), certe parole escrementizie ed anatomiche tanto ripetute mi fanno venire in mente i famosi bestemmiatori di una volta: anche loro applica vano il nome di una bestia : Dio, alla Madonna, ai santi co me intercalari senza i quali non avrebbero potuto aprir bocca, frutto di una educazione rudi mentale. Oggi avviene altrettanto con quelle che si chiamano ancora parolacce (per quanto tempo ancora non so): un po' come ora si dice cioè o, ormai più frequentemente, niente, prima di iniziare qualsivoglia discorso e si ripete nel corso dell'eloquio. Oggi ci sono gli ingiuriologi, tanto appare enorme l'impatto sui moderni modi di comunicazione della coprologia (in volgare: parlare stercorario). Leggendo il libro troviamo che una parola come fascista è attestata più delle altre ma questo non impedisce al Quarantotto di dire: «Fascista», fino a ieri l'insulto più usato in assoluto, insieme a «nazista», «nazifascista» ecc. sembra al tramonto... Sembra in ascesa invece «comunista» con la variante «komunista», osservazione interessante perché dimostra che anche gli insulti sono soggetti a cambiare con le vicende politiche. Ma vorrei richiamare l'attenzione del Quarantotto, che ha dato col Dizionario del nuovo italiano, uscito nel 1987 (sempre per la casa Newton Compton) un ottimo lavoro, sulla indubbia differenza che c'è fra l'insulto e l'espressione, sia pur cruda, di una critica. Che figuri un lemma/4/^/' là, con la testimonianza di Nando Dalla Chiesa: «Giuliano Ferrara, poi, è al di là della mia sopportazione», mi lascia perplesso. Che Dalla Chiesa non sopporti Giuliano Ferrara non costituisce, secondo me, un insulto. Né c'entra con gli insulti l'Acqua calda di Paolo Flores D'Arcais nel seguente testo: «Intini scopre l'acqua calda con vent'anni di ritardo rispetto all'ala libertaria del '68 che giustamente definiva di "destra" i regimi autoritari dell'Est». In questi casi si ha l'idea di dissensi, a volte espressi anche in modo banale, per far maggior colpo, fra uomini politici o parapolitici; non pare di avvertire un vero e proprio insulto, di quelli che Gianfranco Lotti ha raccolto nel mondadoriano Dizionario degli insulti, del 1989. Ad ogni modo, sentiamo parolacce dai ragazzi che in verità sono sempre stati un po' (?) co prolalici, ma ora in nome della libertà sono meno ripresi dai genitori e dai maestri; dalle donne che una volta si guardavano be ne dal parlare in modo scorretto, in nome di un non so quanto bene inteso femminismo. C'è addirittura chi ha sostenuto l'effetto curativo dello sfogo verbale ed allora non ci meraviglieremo se, fra le materie di insegnamento (a proposito, che fine ha fatto l'educazione civica?), si fa ranno corsi di coprolalia e di in giuriologia. Non bisogna mai meravigliarsi di nulla. Tristano Bolelli

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