A Manuela una collana d'argento di Gian Paolo Ormezzano

A Manuela una collana d'argento La bolognese Pierantozzi, due volte campionessa del mondo, battuta dalla cubana Jimenez A Manuela una collana d'argento Per iljudo ha perso il fidanzato BARCELLONA. Ien sera si e comincialo a parlare di jeitaluru elaborala, raffinata, forse invincibile. Emanuela Pierantozzi detta Manu, bolognese di 24 anni, judoka campione del mondo in carica, slratavorila per l'oro, arrivala alla tinaie dopo avere dovuto risolv -re un solo serio problema in un solo match, ha perduto il titolo olimpico, già assegnatole dai pronostici e dall'andamento del torneo, contro la cubana Odalis Keve Jimenez, dalla stessa Pierantozzi sconfìtta due anni fa, sempre qui a Barcellona, nel combattimento iridato, categoria 6b chili. Vero che l'Olimpiade e sempre l'Olimpiade, vero che l'argento è sempre l'argenlo, velo che Emanuela ^a comunque vinio la cosiddetta Olimpiade della simpatia, per i suoi foni sorrisi, per il suo atletismo gemile, da bella donna. Vero che la slessa Pierantozzi porta un tutore all'anulare destro, per una vecchia rottura di un tendine, e che in gara, non polendo adottare la consueta prolezione, ha problemi di presa, ma la sensazione è quella di una fattura, una maledizione. Ce tanto argento, c'è tanto bronzo, è vero, per l'Italia qui a Barcellona, ma questi metalli cominciano ad avere un suono fesso, specie nel giorno argentalo, mentre doveva essere doralo, di Maenza e della bella Emanuela. La sfida finale ha poi visto la cubana, una donna dalla faccia determinata, faccia forte e decisa, e scura al di la della bella pelle color cioccolata, prevalere nettamente per quatiro piccoli vantaggi (si dice koka) a uno. e ad un certo punto ci si è irovati ad aspettare il miracolo degli ultimi secondi, quello che in que¬ sta Olimpiade per gli azzurri proprio non arriva mai. L'oro di ieri sera era uno dei più sicuri, con quello dei ciclisti della 100 chilometri, e dove ne inventiamo altri due? Emanuela Pierantozzi ha cercato di spiegare che la felicità può anche essere d'argento: «Nella tinaie la cubana ha vinto bene, io ero scarica dopo la grande semifinale che avevo vinto con quell'ippon sulla tedesca, avversaria difficile, una mossa che mi aveva saziata e scaricata al tempo slesso». L'azzurra d'argento ha ringraziato i genitori («Mi hanno lasciata fare judo: però se avessero detto di no l'avrei fatto lo stesso»), ha annuncialo le sue prossime vacanze e per Atlanta 1996 ha dello. «Devo pensarci, arrivare sin qui ha voluto dire fare tanti sacrifici, mi sento realizzata perché per me l'argento è qualcosa di grosso, e intanto mi sento esaurita, e senza vita privata: ora penserò a ine stessa in maniera diversa». La Pierantozzi è stata studentessa Isef, vorrebbe riprendere. Vive da sola, con i soldi che le passa la federazione, intitolandoli ad una borsa di studio. Aveva un fidanzato, l'ha tradito con il judo, se ne farà un altro fra un po': vuole andare avanti nello sport sino ai 35, programmando magari una maternità fra una Olimpiade e l'altra. Dopo la sconfitta; non ha cercalo scuse né alibi, al di fuori di quelli nati dalla semifinale troppo travolgente: «Mi sono stati vicini in tanti, e infatti la lista di quelli a cui devo dedicare l'argento è lunghissima, e :ntanto mi hanno lasciata serenamente sola quando avevo bisogno di concentrazione. Tutto a posto. Con la cubana siamo due a due. Nel combattimento contro di lei mi sono accorta si che stava vincendo, ma non avevo più dentro di me lo spunto per una mossa che rivoluzionasse la situazione». La giornatona di Manu Pierantozzi era cominciala con il successo facile, netto (waza-ari, quasi un kol su una olandese, Chantal Han, di origine indocinese. Poi Manu aveva battuto per ippon, che più chiaro non si può, la indonesiana Miagian. Infine c'era stata la grande paura contro la francese Claire Lecat che, testa bendata per un sopracciglio rotto e faccia ancora più da cattivona, era arrivata quasi a strangolare l'italiana. Ma quando persino gli espertissimi aspettavano che la nostra battesse con la mano i colpi della resa, ecco che «non-si-sa-bene-come» le riusciva il ribaltamento della situazione, con liberazione, assalto alla nemica, successo per nehi-mate con var .aggio di un koka, il più piccolo. Cosi la Pierantozzi arrivava alla medaglia di bronzo dopo avere frequentato tutti i tipi di vantaggio. E le toccava, alle 21 e un po', quasi che sin lì avesse riempito il pomeriggio di scherzi, lazzi e frizzi, il combattimen¬ to per accedere alla finale d'oro, contro la tedesca Alexandra Johanna Schreiber, quinta a Seul. Neppure la convenzionalità più spinta permetteva di chiamare tedeschina quella donnona, che comunque dopo dodici secondi di studio e toccamenti veniva presa da Emanuela, insaccata ulteriormente nel kimono, ed eliminata per ippon. «Manuela un sogno che vale oro», recitava a quel punto un cartello agitato da quei tifosi italiani che sono in tutto il mondo, sempre eguali a se stessi. Gian Paolo Ormezzano La judoka azzurra Pierantozzi (a sinistra) piange dopo la sconfitta in fmnlp; a fianco nel match con la francese Lecat

Luoghi citati: Atlanta, Barcellona, Italia, Maenza