«L'Italia sull'orlo del collasso»

I nipoti dei boiardi un ceto di frenatori NOMO E COGNOMI I nipoti dei boiardi un ceto di frenatori A pigrizia lessicale qual1 che volta trae in inganno nel valutare la reale misura dei fenomeni, come capita in questi giorni per i «Boiardi di Stato». La definizione risale agli Anni Settanta e designò i potenti burocrati delle Partecipazioni statali, che vivevano un'epoca di gran fulgore. Oggi, però, quell'espressione suona falsa e ingannevole. Derivata dal russo bojar, fa riferimento alla ristretta casta degli aristocratici dell'antica Russia. Traslarla vent'anni fa su eroi, sia pur negativi, come Cefis, Petrilli e Sette, fu un'idea strepitosa, ma applicarla oggi a piccole escrescenze di un settore di società così ampio fattosi ceto, vuol dire far torto alla memoria di Beneduce e di Menichella. Sì, perché come nel dopoguerra ci toccarono politici forse ingenui, ma pieni di passione e non provinciali come La Malfa, Nenni e De Gasperi, che poi generarono una classe politica elefantiaca e insipiente, così i padri dell'economia mista hanno generato un ceto screditato che sta oggi vivendo l'esordio di una grande crisi. Abbiamo tentato qualche conto, con l'aiuto di un prezioso annuario delle Partecipazioni statali, e ne abbiamo ricavato che il solo stato maggiore delle Partecipazioni statali conta qualcosa come cinquemila persone. Parliamo soltanto di presidenti, amministratori delegati, direttori generali e centrali, consiglieri d'amministrazione e, comunque, alti gradi. Come se, riferendoci ai partiti, considerassimo le segreterie nazionali, i parlamentari, i sindaci e gli assessori dei maggiori Comuni. Questi cinquemila signori quasi sempre godono di uiìlci, segreterie, consulenti e collaboratori di rango più o meno alto. E' diffìcile stimare la consistenza complessiva del ceto molto compatto che rappresentano, ma è assai più agevole calcolare con una statistica sommaria ma non infondata che ciascuno di loro è responsabile rispetto alla collettività di 5 miliardi di lire di debili. «Qualunquismo» è la parola che domina in questi giorni ne- gli uffici condizionati della nomenklatura dell'impresa pubblica. Sembra di sentire i discorsi cui siamo abituati da parte delle segreterie dei partiti. La teoria del complotto, che vuole «poteri forti», 1 impresa privata, la Fiat, la «finanza laica», l'informazione, tutti coalizzati insieme per liquidare le Partecipazioni statali e spartirsene le spoglie. Ma quali spoglie? Il presidente dell'Ili Franco Nobili, ad esempio, non sa spiegare bene perché ha 18 mila miliardi di debiti, ma teorizza che «una campagna di stampa denigratoria tende a determinare un discredito che giustifichi la dissoluzione dell'intere sistema». Può sembrare singolare che le argomentazioni dell'implosa pubblica siano simili, se non identiche, a quelle dei partiti delegittimati dalle elezioni del 5 aprile scorso. E invece non lo è, proprio perché la crisi delle Partecipazioni statali non è che il crocevia della crisi economica e di quella dei partiti. La minaccia delle privatizzazioni equivale per quel ceto dai confini indefinibili che vive di impresa pubblica alla minaccia elettorale della Lega per i partiti. Perché è capitato nell'ultimo decennio che i partiti siano stati amministrati come aziende e le aziende come partiti. Allora perché stupirsi del fatto che il generoso tentativo del presidente del Consiglio Giuliano Amato di dare veramente il via alle privatizzazioni sia sostanzialmente fallite7 Sul cammino della sua generosi* i >.<. incontrato non tanto i Pomicino e gli ultimi fuochi andreo.t'ani, quanto quella nomenklatui indefinita e potente che vive dei deficit delle imprese pubbliche e che ha un'oggettiva contiguità con i i boccheggiante sistema dei partiti-aziende. Alberto Statara trai

Persone citate: Alberto Statara, Beneduce, Cefis, De Gasperi, Franco Nobili, Giuliano Amato, La Malfa, Menichella, Nenni, Petrilli

Luoghi citati: Russia