Povera la mia vecchia Mosca in mano a un branco di ladri

Povera la mia vecchia Mosca in mano a un branco di ladri Parla Bukovskij: sono tornato per testimoniare aBprocessd contro il pcus, ma non resterò, è tutto in mano agli ex comunisti Povera la mia vecchia Mosca in mano a un branco di ladri FACCIA A FACCIA IL DISSIDENTE CHE SFIDO' MOSCA A è vero che Vladimir Bukovskij potrebbe candidarsi a sindaco di Mosca? Seduto davanti a un piatto di spaghetti al «Pescatore», Bukovskij, uno dei più celebri dissidenti dell'era brezneviana, replica seccamente: «Macché! Per una cosa del genere ci vorrebbe una "squadra" di persone oneste, disposte a battersi per una vera riforma. Questa gente non c'è. Qui non si capisce niente! La confusione è alle stelle, è tutto un arraffa-arraffa in cui mi sento a disagio». Deluso? «Si. Eltsin e Guidar non sono niente affatto radicali come mi aspettavo, e fanno troppi compromessi con i residuati del regime comunista. Del resto non mi stupisce, anche loro sono "ex". E poi, francamente, io sono cittadino britannico. Ho una casa a Cambridge...». Credevo che fosse tornato per restare... «Niente affatto! - esclama agitandosi sulla sedia -. Sono venuto come testimone al processo al pois. Mi ha telefonato Burbulis. Dacci una mano. E io sono venuto. La cosa più divertente è che per la prima volta in vita mia non sono sul banco degl'imputati». Ma non ha voglia di rievocare la sua epopea di internato (due volte) nei manicomi del regime, di pluriarrestato, di più ricondannato (l'ultima volta nel 1972, a 7 anni di reclusione e 5 di residenza coatta), fino al clamoroso scambio con Luis Corvalan, il segretario generale del pc cileno, nel dicembre 1976. Proprio in questi giorni, tra l'altro, un giornale ha pubblicato i ricordi dell'agente speciale della «Brigata Alfa», un certo Nikolai Berlev, che lo accompagnò a Zurigo per consegnarlo agli occidentali. «Non ho letto quell'intervista, ma mi ricordo quel tipo. Fu tanto gentile che capii subito che non era uno del Kgb». Non è un'intervista, si parla del più e del meno. Bukovskij ha avuto il privilegio di studiare i 49 volumi di documenti a diposizione della Corte Costituzionale che esamina «l'affare pcus». Strano privilegio per un testimone. Ma a lui sembra normale. Ha un contratto con una casa editrice francese. Scriverà un libro. Lo interessano, ovviamente, i documenti sui dissidenti, ma anche quelli, segretissimi, della politica estera del pcus. «Ho visto tutti gli stenogrammi del Politburo, comprese le discussioni su di me». Sorride con aria sorniona. «Ho trovato perfino la risposta del Politburo a Berlinguer. Francamente non pensavo che fosse davvero intervenuto a mio favore. Di solito questi impegni si prendono in pubblico, ma poi non si attuano. Invece lui scrisse, gliene dò atto. La sua lettera non l'ho trovata, ma ho visto quella del Politburo. Spiegavano a Berlinguer che ero molto cattivo. Leggere oggi quelle cose produce un effetto comico. La cosa più curiosa è che quel pugno di uomini decideva tutto. Lo sapevo anche prima, ma ora una tale assurdità mi colpisce come se fosse la prima volta che la vedo». Alza il braccio come se votasse in una riunione di partito «Votavano tutto: dall'espulsione di Bukovskij alle misure da prendere nella lotta contro le malattie cardiovascolari, dalla nomina di un ministro agl'interventi a sostegno dell'industria leggera. Credo che passassero la vita a firmare documenti. Naturalmente gran parte di quelle carte non le leggevano nemmeno. I dipartimenti del Comitato centrale preparava- no il dossier, la Segreteria io elaborava e il Politburo firmava». Ma sulle cose importanti discutevano. «Certo. E qui ho visto cose interessanti. Per esempio i protocolli di una riunione del Politburo dell'aprile 1979 che affrontò la situazione in Afghanistan. Era aprile: pochi mesi prima dell'intervento. Ebbene, allora furono d'accordo che non si doveva intervenire. Quei vecchietti ragionavano saggiamente: se facciamo un passo falso ne andrà di mezzo la distensione, disse Gromyko. Il maresciallo Ustinov era il più deciso contro l'idea di un intervento. Certo non si fidavano di nessuno, né di Taraki, né di Amili. Ma perfino quella cariatide di Kirilenko disse che in caso d'intervento le truppe sovietiche avrebbero dovuto combattere contro il popolo afghano. Anche Andropov era contrario. E Breznev, concludendo, disse che non se ne sarebbe fatto niente...». Imita la voce di Leonid Ilich e scoppia in una gran risata. Eppure a dicembre mandarono le truppe...«Si. è strano. Cosa sia successo non so. Ho trovato altri documenti, successivi, che fanno riferimento a una decisione del 29 giugno che rovesciava quella di aprile. Ma quel documento manca dal fascicolo. Forse la svolta venne quando gli americani non ratificarono il Salt. Ma forse, più semplicemente, quei rimbambiti furono convinti da qualche rapporto segreto di "esperti" più cretini di loro». La trota ai ferri si fa attendere e la discussione si sposta sul prossimo arrivo in Russia di Solzenieyn. «Ho paura che troverà una Russia troppo diversa da quella che ha lasciato. Siamo in contatto epistolare, è molto informato sul - I le vicende interne. Ma anch'io lo ero prima di arrivare qui e ciò j non mi ha messo al riparo dalle sorprese». Scuote la testa tutta bianca, con la pettinatura a caschetto da antico romano, che contrasta con il viso ancora giovanile. «Penso che la gente che lo aspetterà all'aeroporto non sarà quella che lui pensa. Non ci saranno solo i democratici. Anzi, temo che i democratici saranno minoranza. E mi domando quanti hanno capito che cosa voleva Solzenicyn. Credo che sarà diffìcile per lui. e forse anche deludente. Qui succedono cose non troppo esaltanti. I giovani pensano ad altro. E a sua moglie, appena arrivata a Mosca, hanno subì to rubato tre ruote della macchina. Hanno sollevato la macchina e svitato i bulloni. Qui è pieno di professionisti del genere. E non parlo solo di quelli che rubano le ruote. Le idealità contano molto poco al confronto di ire ruote nuove da vendere al mercato». I libri di Solzenicyn si vendono più in Occidente che in questa Russia che non sa ritrovare se stessa. Forse è anche per questo che Bukovskij preferisce tornare nella sua Cambridge. «Qui molti hanno fatto in fretta a riciclarsi. E' pieno di ex comunisti che stanno ai posti di comando. Gli altri sono dei provinciali parvenus, che scalano il potere con avidità senza limiti. Ci vorranno due generazioni perché il Paese diventi "normale"». Ma c'è anche la speranza. Pavel, un ragazzo di 9 anni, che gli scrive una lettera ogni settimana, è l'esempio di una generazione che cresce senza complessi e ormai senza paura, già nutrita di ideali democratici genuini. «Mi scrisse la prima lettera due anni fa, proponendomi di organizzare insieme una campagna contro il pcus. Aveva sette anni. Un tipo eccezionale. Sono venuto anche per incontrare lui». Ma intanto il Paese va in pezzi e non si vede la fine del tunnel. Bukovskij ha uno scatto d'impazienza. «Questa storia dei nostalgici ddl'Urss proprio non la digerisco. Il collasso dell'impero era inevitabile, ed è stato salutare. Meglio cosi, per tutti. E non mi piacciono neanche le paure degli europei. Che le autonomie e le sovranità si esprimano! Nessuno ha stabilito che i confini definiti dalla Seconda guerra mondiale erano quelli giusti. E trovo ridicolo l'affanno della ricerca di un nuovo ordine mondiale, da sostituire al vecchio. Sono tutti residui della vecchia mentalità socialista, di cui anche l'Occidente è infettato. Guardi questa faccenda dell'ecologia, del buco dell'ozono. Non c'è nessuna prova della sua esistenza. Sono i nostalgici del socialismo, orfani di un'ideologia che voleva mettere tutto al suo posto. Adesso il comunismo è morto, non hanno più il loro giocattolo preferito e se ne costruiscono un altro, un surrogato. E magari - cosa ne sappiamo? - il buco dell'ozono è utile all'umanità. Sa cosa le dico? Sono andato in America per una conferenza e ho spiegato perché sono contento che il comunismo sia morto e sepolto. Perché, finalmente, posso dire che non sopporto neanche l'America. E' una società senza passato, senza spessore. Vedono solo il presente e il futuro». E come hanno reagito? «L'hanno presa bene, come se fosse una battuta di spirito». Giuliette Chiesa Non mi candiderò a sindaco della capitale Boris Eltsin? Mi ha deluso è un radicale solo di nome Bukovskij circondato da alcuni simpatizzanti. A destra, nel '76 quando fu scambiato con Luis Corvalan, segretario del pc cileno Il presidente russo Boris Eltsin Bukovskij lo accusa •Fa troppi compromessi con gli ex del regime comunista»