Escobar, l'evasione in pantofole

Escobar, l'evasione in pantofole e' scappato, vestito da donna, dopo aver offerto ai distratti e intimoriti carcerieri spaghetti e mortadella Escobar, l'evasione in pantofole Così il boss ha lasciato la prigione dorata Forse definirla evasione non è proprio corretto. Perché ci vuole una bella fantasia per affibbiare la sinistra qualifica di prigione a una villa di millenovecento metri quadri con annesso parco, dotata di biblioteca, saloni, lussuoso bagno in ceramica ocra, campo da football, palestra, ping pong, biliardo, fax e telefono per seguire comodamente gli affari di famiglia. Da questo confortevole paradiso che lo ha ospitato per poco più di un anno, nella frescura dei 2600 metri, dalle cui vetrate (senza sbarre) si spazia sul panorama della sua ritta natale di Envigado, è «fuggito» Fabio Escobar Gavina, amministratore delegato del narcotraffico, sanguinario Al Capone di fine secolo ebe in Colombia molti si ostinano a considerare un Robin Hood, vittima delle menzogne yankee. Più che fuggire è tranquillamente uscito dalla porta principale de «La cattedrale», sotto gli occhi davvero un po' distratti delle guardie, mescolato a 14 collaboratori armati fino ai denti che indossavano uniformi dell'esercito e costumi da lavoro dei rampe si n os Escobar non ha dovuto neppure intaccare, per corrompere i carcerieri, i tre miliardi di dollari del suo patrimonio privato, grazie a cui tallona da vicino la regina Elisabetta e i Rockfeller nella classifica dei Peperoni. Gli sono bastati spaghetti, mortadella, ima parrucca femminile, davvero attrezzatura modesta per l'evasione del secolo. Dunoue nessun misterioso tunnel alla abate Faria per dileguarsi nella foresta, nessuna mimetizzazione con le maschere antigas che dovevano servire in caso di un blitz dei rambo della Dea, nessuna acrobazia motociclistica. «El doctor» ha optato per una trovata da commedia all'italiana. La verità ufficiale sulla evasione del secolo è uscita dal rapporto ufficiale dell'esercito. Escobar, racconta mestamente la quarta brigata dell'esercito di guardia nei dintorni di questa «prigione a cinque stelle», ha offerto come prima mossa ai suoi carcerieri un succulento rancio extra a base di spaghetti e mortadella. Niente di strano, perché tra il gentile detenuto e i cerimoniosi secondini cortesie e attenzioni erano all'ordine del giorno. Nella «Cattedrale» poteva ricevere chi voleva, di giorno e di notte, e infatti ha messo a frutto questa libertà pianificando in un anno almeno una trentina di omicidi. Un sergente ha poi annunciato alla truppa che un gruppo di persone avrebbe lasciato la villa, aggiungendo, con accostamento molto sospetto, che era in arrivo per tutti un bel mucchio di soldi. Così alcune guardie, contadini e una donna hanno lasciato la prigione e nessuno ha certo perso tempo a fan ontrolli. La donno era proprio ini, il regista del più lucroso bu> .e8S del secolo, un dossier giudiziario appesantito da 29 capi d'imputazione e da centinaia di delitti. In fondo tutti hanno sempre saputo che, a Envigado. Escobar era un ospite mollo provvisorio. La prigione l'aveva scelta lui, tra le tante residenze che possiede nei rifusi dorati della nomenklatura della coca. La «Cattedrale» non aveva certo i lussi del suo rifugio più famoso, il castello «Napoli» sul fiume Maddalena. Lì, tra scuderie, piscine, quadri d'autore, arena privata dove si esibivano i matador preferiti, poteva ammirare la collezione di auto il cui gioiello era la Ford 27 sforacchiata di proiettili con cui era stato girato «il Padrino»; o distendersi tra le gabbie dello zoo con 500 animali esotici, aperto munificamente anche ai poveri del paese. Ma la Cattedrale aveva un richiamo più sentimentale per il leader dai narcos che, prostrato dalla dura clandestinità nella giungla, braccato dai soldati e soprattutto dai sicari del cartello concorrente di Cali, aveva deciso di arrendersi, naturalmente dettando tutte le condizioni. Prima di sceglierla come prigione l'aveva regalata alla muni¬ cipalità perché, sembra una barzelletta, diventasse un centro di rieducazione per drogati. Un dono in famiglia dalmomentoche i novantaseimila abitanti di Envigado, un sobborgo di Medellin, sono tutti dipendenti di Escobar. E' lui che paga a tutti i disoccupati della città una indennità giornaliera di disoccupazione; che ha fatto costruire il Barrio «Medellin sin Tugurios», centinaia di appartamenti dove sono state trasferite famiglie che vege¬ tavano tra il fango delle bidonville, che ha reagalato le scuole e paga i professori. E' la filantropia della coca, tanto efficace da far sì che nelle chiese si preghi, senza scandalo, per una triade dove a Dio e alla Madonna si affianca Escobar il benefattore. Tra questi sudditi fedeli ha reclutato il cinquanta per cento dei suoi secondini (stipendio aggiuntivo due milioni al mese in lista paga dei narcos), che certo non mettevano molta determinazione nel custodire l'illustre «ospite». A Envigado ora tutti applaudono all'evasione di Paolo, che qui ha comincialo le carriera rubando nei cimiteri, qui ha subite il primo arresto per furto e poi, con industriale intuizione, si è dedicato al narcotraffico, «lo uon mi considero un deliri fuente - ha scritto nell'autobiografia stilata a quattro mani con un collaboratore letterato detto "il ,-jeta" - nei dieci comandamenti non c'è mica scritto che è vietato vendere coca». E neppure evadere. Domenico Onirico Poteva ricevere qualsiasi ospite Aveva parco, palestra e biliardo Continuava ad amministrare il suo impero con fax e telefono "UCA1 PRIGIONE 01 ESCOBAR {34.000 nr di terreno 1900 m2 di costruzioni) Nel disegno e nella fotografia qui a fianco, la villa-prigione di Envigado da cui Escobar e altri boss del «cartello di Medellin» sono evasi (FOTOAfl Paolo Escobar nel giardino del suo lussuoso «carcere» |K)TOA*l

Luoghi citati: Colombia, Envigado, Napoli