Da Scalfaro, l'ultimo applauso a Borsellino

Da Scalfaro, l'ultimo applauso a Borsellino In chiesa il presidente recita una preghiera e chiede aiuto alle persone giuste e pulite Da Scalfaro, l'ultimo applauso a Borsellino Una enorme folla ha ascoltato l'omelia in strada, sotto il sole Alla cerimonia anche Galloni, un parente: lui non era invitato I FUNERALI LA RIVINCITA m PALERMO PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Se i funerali di martedì nella cattedrale si ricorderanno come un incubo, quelli di Paolo Borsellino, ieri, lasceranno tutt'altra memoria: una folla straripante, ma contenuta; il presidente della Repubblica che non sa dove sedersi, e che poi si sistema fra la propria figlia e la signora Agnese, vedova del giudice ucciso. E poi, dietro, come una crostimi arruffata e angelicata, in discretissimo incognito, Francesco Cossiga, Cossiga il Tremendo, se ricordate, commosso, silenzioso. La televisione ha ripreso dall'esterno e avrete visto tutti quella grande piazza terrosa che separa i caseggiati di via Cilea dalla chiesa. Noi eravamo dentro, e siamo stati abbastanza vicini alla famiglia, ai ragazzi commossi, ai compagni d università. E sulla bara era distesa la toga rossa del magistrato. Caponnetto, come si legge nel testo del suo discorso, ha ricordato il biglietto del cittadino che ha lasciato un lilium per Borsellino, con su scritto: «Un solo grande fiore per un grande uomo solo». Ripetere che Borsellino non era solo, che viveva in tutti, sarebbe retorico, ormai. Paolo Borsellino è morto. Lo abbiamo in foto e nella mente, ci sono i suoi figli e i suoi allievi. Esistono videocassette e testi di discorsi, scritti e conferenze. Ma è morto. E quella era la sua bara. Per ora la mafia ha vinto. C'era il prefetto Parisi, capo della polizia, che stava seduto sulla stessa panca del ministro Martelli e del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Galloni. A proposito di Galloni un parente dei Borsellino mi dice esplicitamente che la sua presenza è stata subita dalla famiglia, che non lo aveva invitato ma che non ha neppure potuto dire di no. C'era. Ce n'erano tanti. Troppi. Borsellino, quando seppe che stava per morire, dettò ai suoi un elenco delle persone che avrebbe desiderato vedere in prima fila al proprio funerale. Quelle e non altre. La famiglia però non è riuscita, né ha potuto né saputo resistere a tutte le pressioni. E cosi sono entrati nelle prime file uomini che Borsellino, dall'interno della sua prigione corporale, non avrebbe voluto sentirsi accanto. Quanto a Galloni non esisteva alcun divieto, ma nessun motivo di simpatia, né riconoscenza. La cerimonia. E' stata molto cristiana, molto moderna, talmente moderna da sembrare, ai nostri occhi viziati da un'infanzia di controriforma barocca e latina, quasi una bella messa protestante: con una figura femminile vestita da diacona, con un coro di voci che cantavano canzoni sacre moderne, tutto molto suggestivo. Un signore gentilissimo mi avvicina e si presenta come il consuocero del povero giudice. Non sapevo che Borsellino avesse figli sposati, e in effetti non ne aveva. Ma il signor Francesco Gabrielli è il papà di Federica, fidanzata di Manfredi. E mi racconta un episodio, un frammento di vita, che da solo illustra una società e una cultura: «Mia figlia mi ha raccontato, proprio pochi giorni fa, di avere scoperto che Paolo Borsellino aveva aperto una grappetta, cioè un fascicolo, a suo nome. Dentro c'era tutto quello che la riguardava, compresi i nomi degli amici, i numeri di telefono... Esattamente come faceva con i suoi tre figli. Aprendo una cartella con il suo nome, di fatto l'aveva dichiarata sua quarta figlia». Questo minimo dettaglio, al di là della psicologia, assume un valore ulteriore se si considera quel che ci ha detto ieri il consigliere Caponnetto a proposito dell'inseparabile agenda di Borsellino, volatilizzata il giorno della sua morte, anche se la borsa che la conteneva è rimasta intatta. La sorella di Federica, Francesca, mi racconta un altro episodio del rapporto padre-figli. Prima di morire Borsellino aveva deciso di regalare al figlio Manfredi gli sci d'acqua. Ma aveva anche deciso di tenere nascosto il fatto che fosse lui a comprarli: voleva che fosse Federica, la futura nuora, a darglieli come un dono suo. E così ieri l'altro Federica è entrata in un negozio d'articoli sportivi ed ha comperato quegli sci d'acqua che facevano parte delle promesse di Paolo Borsellino, e ha consegnato a Manfredi soltanto il buono d'acquisto. Il giorno che se la sentirà, andrà a ritirarli. Mi rendo conto che tutti que- sti ragazzi, questi giovani che ho intomo, tutti sui vent'anni, già formano coppie stabili e definitive, sono legati dall'infanzia, sono legati dagli studi, dal vicinato, dall'amicizia dei padri. Sono amorì «in casa», benedetti dalla parentela, e tuttavia di libera scelta. E si vede in filigrana il tessuto della società siciliana e palermitana, la fratellanza e la sorellanza, il senso dell'onore e della famiglia, Federica che è fidanzata di Manfredi, ma che studia insieme con Lucia Borsellino, sorella di Manfredi, gli ultimi esami di laurea in farmacia: «Laboratorio 3» fra pochi giorni. Mancano ormai soltanto Tecnica di laboratorio e Farmacologia. E intanto Manfredi, ovviamente, studia Legge seguendo le orme paterne: è al secondo anno, in regola con gli esami, anche se il primo lo amareggiò perchè prese soltanto 21. La messa prosegue. Si alternano al podio, o forse si dovrebbe dire ancora pulpito, le persone care e comunque quelle invitate a «dire parole» sull'ucciso. E' un dramma nel dramma perché, l'abbiamo visto altre volte, l'emozione moltiplicata dall'elettronica, elevata alla potenza del dolore, produce creature spettacolari e terribili, o anche qualche episodio di insopportabile trombonismo. Ma come dimenticare la sorella dei]'ucciso, Rita, leggere il suo testo che contiene le inevitabili parole del sangue, del perdono, dei veleni, con la voce infranta, il tremore trattenuto in un vestitino scuro a righine e da un volto terreo? I parlanti si alternano alle voci cantanti e al microfono sale una ragazza bruna molto bella e severa che intona un inno di alleluia che somiglia ai canti celtici irlandesi di «Enya», inse¬ guita da un coro che invoca «non abbandonerai l'anima mia». Dalla lettera di San Paolo agli apostoli, legge un giovanotto in grigio, vibrante di emozione, un nipote. E subito viene ricordato che sull'Arca di Noè soltanto 8 si salvarono, otto giusti e non di più. Si guarda intorno. Non sono giusto 8 i sostituti procuratori che si sono dimessi, come se volessero a modo loro ridar vita al pool antimafia? Dal Vangelo secondo Matteo: vedendole falde deìmonte Gesù salì la montagna circondato dai suoi discepoli e disse: beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché avranno giustizia. Quando, si chiedono nel brusio della preghiera? Da chi? Ecco la Schifarli in prima fila, la vedova in nero che lesse straziata e corretta (dal sacerdote) un testo di rifiuto del perdono. Le siamo accanto, è fragile, è tremante, è ferita a morte. L'officiante prende il microfono: «Guai - dice - a chi accumula ciò che non è suo». Applausi, applausi dentro e fuori la chiesa, dove è radunata la folla, e dai palazzi dai balconi gremiti. Parole gravi che frustano un'aria pesante, non più mitigata dai condizionatori: «Borsellino si era accorto di essere odiato da chi ha ostacolato in ogni modo la sua azione, di essere stato perseguitato. Abbiamo il dovere sacrosanto di continuare questa lotta. Oscar Luigi Scalfaro parla per pochi minuti, e il suo tono è sommesso e forte allo stesso tempo. E' lui il capo del Consiglio superiore della magistratura, è da lui che i giudici di Palermo si aspettano decisione e tutela. Il presidente della Repubblica usa parole sobrie e appropriate, anche se esordisce in nome della madre di tutti noi, come se fosse obbligatorio e scontato che o si è cattolici apostolici romani o non si è. Il Presidente assicura fermezza, assicura il éiiò interesse"atffWo, ricorda con molta passione le qualità del servo dello Stato che lo Stato, distrattamente imprevidente, sempre un passo indietro rispetto alle necessità di oggi, ha lasciato o ha consentito che si uccidesse. Usa parole emotivamente e moralmente efficaci in nome e per conto delle persone giuste, oneste, pulite, che vogliono la pace, le persone per le quali vale la pena pregare affinché le persone responsabili «mai siano motivo di vergogna e odio». Ma il presidente della Repubblica si impegna: e dalla sua dichiarazione di impegno prende poi slancio la forte allocuzione di Antonino Caponnetto, il padre del pool antimafia, il pensionato tornato in servizio, in militanza attiva, stremato da un collasso che lo ha fatto vacillare, seguito da una moglie trepida e con un grande bicchier d'acqua a portata di mano perché ha bisogno di reidratarsi, bere e volontà. Del discorso straordinario e teso di Antonino Caponnetto diamo conto per intero in prima pagina. Ma quel discorso è stato applaudito per ottantadue secondi, e se provate a vedere quanto sono lunghi guardando 1 orologio, potete, possiamo capire il senso di quell'applauso. Il telegramma del cardinale Pappalardo che gelidamente si scusa di non esserci, riceve quattro battute di mani. Forsemeno ancora. La funzione va avanti nella sua impeccabile regìa, il prefetto Parisi si alza dalla sua panca e comincia ad arretrare, in piedi, avviandosi verso l'uscita. Anche qui, in questa chiesa, dovrà subire un'amarezza: un cognato dell'ucciso lo affronta con parole aspre e aggressive, e il prefetto è costretto a subire. Il vecchio Angelo Piraino Leto, magistrato anche lui, è il suocero di Borsellino, padre di Agnese. Ed è un uomo all'antica che ricorre a tutto il bagaglio della retorica tradizionale. E' l'unico che, dicendo «siamo in presenza del presidente Scalfaro e del suo predecessore», dà atto della presenza di Francesco Cossiga. Quanto al resto, l'anziano uomo di legge reclama il ritorno all'ordine, rimpiange, così dice, i tempi in cui «delitto e castigo erano un binomio indissolubile». La triste cerimonia è alla fine. Corre voce che qualcuno sia stato colto da malore e portato via, ma il fatto non ha interferito con il rito. La bara viene alzata a spalla e vediamo Bartolo, il ragazzo di Lucia, Manfredi naturalmente, tutti i parenti 0 gli uomini della famiglia sollevare il feretro mentre si leva un primo lungo applauso, e poi l'applauso prosegue, dilaga quando la bara esce all'esterno, e' sale la confusione, scoppiano minimi alterchi da nervosismo e da «lei non sa chi sono io», ci sono i soliti ordini cretini che ingiungono di sbarrare un'uscita lasciando che la gente si insulti e soffochi, finché il presidente della Regione, con lodevole buonsenso, interviene intimando alle forze dell'ordine, e in nome dei suoi poteri, di riaprire il passaggio. Partono le auto delle scorte, rombano, si accendono le lampade, applausi per il presidente della Repubblica, per il ministro Martelli, anche per il povero Parisi, ovazioni per Caponnetto, applausi per Giuseppe Ayala e la chiesa si svuota, lentamente ma con qualche convulsione. Il furgone parte per «I Rotoli» cimitero antico di Palermo, dove il padre di Paolo volle improvvisamente comperare una tomba con una piccola cappella, presentendo la morte. E' un cimitero marino, come quello amato da Paul Valéry, e lì riposerà l'ultimo giusto giustiziato dalla mafia. Paolo Suzzanti Il suocero del magistrato «Rimpiango i tempi nei quali delitto e castigo erano un binomio indissolubile» A sinistra, portata a spalle, cori sopra la toga rossa eia giudice, la bara del giudice Paolo Borsellino esce dalla chiesa di Santa Luisa di Marillac Il presidente della Repubblica Scalfirò e il capo della polizia Parisi applaudono la salma del giudice all'uscita dalla chiesa Circondato dagli uomini della scorta, ai funerali c'era anche l'ex sindaco Leoluca Orlando

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