Mulligan, è jazz bello ma sfiorito

Mulligan, è jazz bello ma sfiorito Torino: arrangiamenti eleganti e raffinati nel concerto del grande sassofonista Mulligan, è jazz bello ma sfiorito Gli anni passano e non è più tempo di revival TORINO. Quarant'anni sono tanti anche per un Gerry Mulligan e il suo concerto l«The ReBirth Of The Cool») l'altra sera al Comunale (organizzazione Aics) aveva il sapore dell'autocommemoruzione, di uno sguardo nostalgico sul passato. E' slato un concerto commovente, anche mollo bello ma citando Fantozzi - «tragicamente» datato. Infatti la storia, micidiale d'accordo, ma che salva tuttora gli Hot Five e gli Hot Seven di Armstrong, non risparmia un repertorio che negli anni fra il '48 u il '54 aveva la pretesa e l'obiettivo di rivoluzionare un pensiero e una prassi magari riuscendovi, anche se per poco tempo. Il jazz corre. In novant'anni ha fatto tutto ciò che c'era da fan- macinando esperienze di secoli e con maniacale crudeltà non risparmia se slesso, cancella tutto e guarda avanti Pochi tra i grandi vecchi si salvano: Satchmo, Ellington, Billie Holiday. il Bebop, Coltrane. I grandi innovatori. Forse Mulligan è da sempre slato un grosso professionista del jazz, uno che quindi si accoda a un «movimento» ed elabora poi le invenzioni degli altri Questo è il limite di un musicista forse sopravvalutato e che nel jazz ha da sempre visto un buon territorio per fare della «scrittura» e non dell'«improvvisa/.ione» 1 suoi arrangiamenti inlatti hanno, a loro tempo, dato il via a un nuovo modo di concepire il jazz, un jazz colto, elegante!, cosi raffinato e poi gradevole, troppo gradevole, e avremmo dovuto accorgerci prima che sotto quel manto dorato rimaneva ben poco Oggi quella musica, senza mordente, appannata, ci fa l'effetto di una esercì Lazione a tavolino Ne va dimen tirato eh»! la rivoluzione di Mulligan avveniva (mando Charlie Parker era ancora in piena azione. E questo rivoluzionario oggi sembra un conservatore. Siamo di fronte al solito scon¬ tro tra jazz bianco e jazz nero. Da una parte la musica con le radici • che affondano in una precisa cultura (quella africana), dall'ai tra l'esperimento di chi non co1 nosce (non vive) quel tipo di cultura. Non per caso quando Mulligan incise alcuni brani con Thelonious Monk si trovò a disa! gio. Devitalizzato, il jazz alla noj vocaina di Mulligan vive comunque sulla carta come il felice incontro tra il jazz (il blues, gli ■ standard) e l'elaborazione armoi nica. Musicista intelligente, rafj fìnato, autentico, Gerry Mulligan ha aperto alcuni squarci innovativi sul fronte della scrittui ra introducendo con il suo diI scorso arditi (per l'epoca) e innovativi procedimenti. TuttaI via, dopo tanti anni anni, quella i musica suona oggi sempre più lugubre (altro che cool!) e sche¬ matizzata nel disegno ritmico. Non è più tempo di revival. Forse vedeva giusto Miles Davis che, magari sbagliando, tentava comunque di cambiare, se stesso e la propria musica. Il concerto si è svolto in maniera ineccepibile con una magnifica orchestra che eseguiva con puntualità filologica un repertorio d'epoca. Tra i solisti, particolarmente in vista Lee Konitz al sax alto e Art Farmer (nel ruolo che originalmente apparteneva a Miles Davis). Farmer possiede la più bella voce di tromba che il jazz moderno abbia prodotto. Canta sul registro medio con toni ovattati e le sue frasi suonano con la magica naturalezza che solo un Chct Baker sapeva esprimere. Grande. Franco Mondini

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