Degli Esposti tragedia americana
Degli Esposti tragedia americanaUn festival contro Degli Esposti tragedia americana CHIERI. Dobbiamo rassegnarci a Cristoforo Colombo. Incontrarne il fantasma, in questa estate teatrale, è inevitabile come imbattersi in un francese in Francia. Lo scopritore del Nuovo Mondo è il simbolo di un orgoglio e di un rimorso che durano da cinquecento anni. Ma sappiamo che ogni celebrazione può diventare imbarazzante. L abbiamo capito anche con Dario Fo, il cui «Johan Padan» ha mostrato il sangue e il veleno della Conquista. Dovremmo capirlo con il festival di Chieri che, intitolandosi a Colombo, promette una contro-celebrazione e un percorso doppio: il ripensamento critico dell'Europa e la voce di chi (latino d'America o africano) è stato vittima di questa e di altre colonizzazioni. E così, ad apertura di festival, abbiamo visto Piera Degli Esposti neU'cAstuzia del rapace viaggiatore», la compagnia nigeriana Kakaaki in «Muje-Muje» (Sanguisuga) di Bel Tomoloju e il Wells Theatre di Trinidad impegnato in «Dance» di Lesley-Ann Wells. Spettacoli molto diversi, ma subordinati all'idea di una rapace avventura che è soprattutto sconvolgimento dell'anima individuale o collettiva. Piera Degli Esposti ha letto un collage di testi scelti e cuciti da Ugo Volli. Ci ha raccontato il retroterra mitico dell'impresa colombiana, ci ha mostrato quel crogiuolo di leggende, di credenze, di favole poetiche che descrivono l'anima avventurosa dell'uomo occidentale. «Archeologia dell'anima di Cristoforo Colombo» è il chiarissimo sottotitolo dello spettacolo. Attraverso Omero, Eschilo, Euripide, attraverso il Nietzsche di «Ecce homo» e il Kafka del «Silenzio delle sirene», la Degli Esposti ha condotto la nostra immaginazione alle origini della awenturosità umana. Ci ha parlato di Ulisse, del suo viaggiare verso l'ignoto, del suo naufragare in terre misteriose, simile in ciò a Colombo, che viaggiò su mari sconosciuti e naufragò a sua volta. Ha rievocato il mito di Prometeo, chiaro simbolo di conquista, l'editto con cui la regina Isabella la Cattolica cacciava dalla Spagna gli ebrei e ne confiscava i beni; ha letto il documento che imponeva agli indigeni d'America di convertirsi al cattolicesimo pena la morte. In uno spazio scenico occupato dai manichini dei reali spagnoli, fra bauli da cui fuoruscivano drappi colorati e il simulacro bamboccesco di un prelato, fra croci mozzate e stoffe preziose, la Degli Esposti ha dato leggerezza e drammaticità alle voci della mente e della Storia, si è trasformata nella sacerdotessa dell'avventura e nello specchio traslucido del sopruso. E di soprusi ribollono i due spettacoli stranieri, accomunati dalla necessità di manifestare la perdita di un'identità attraverso la forma del teatro totale. La compagnia caraibica e la nigeriana hanno messo in scena la violenza che he cancellato la loro originaria purezza. I giovani di Trinidad sotto forma di favola sessuale, gli altri mediante un apologo (rudemente civile. Fanciulle defiorate e villaggi in mano ai nuovi ricchi sono le facce di un identico malessere. Cambiano gli stili, cambiano le drammaturgie (entrambe ingenue di giovinezza), ma resta la voglia di raccontare se stessi attraverso la musica, la danza e i simboli dell'infanzia del mondo, la luna, per esempio, intangibile e casta. La tragedia nasce dal fatto che, un tempo, le donne dei Cara ibi dicevano di somigliarle.
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