I Verdone il prof, il pigro e il secchione

I Verdone il prof, il pigro e il secchione padri e figli. Mario, Carlo e Luca: una famiglia in bilico tra cinema e teatro I Verdone il prof, il pigro e il secchione MROMA A che ci faceva un distinto professore universitario, autore di (ponderosi saggi di storia del cinema, in quella bolgia di ragazzine adoranti e di teen-agers scarmigliati? C'erano i divini Beatles, sul palco bollente del Teatro Adriano di Roma. Quattro zazzeruti «io vanotti di Liverpool che allora, anno 1965, si esibivano per la prima volta in Italia. Un grande evento di cui Mario Verdone, docente di Storia del cinema, critico, poeta e saggista, fortissimamente voleva che i figli Carlo, 15 anni, e Luca, 12, fossero testimoni. E lui, probabilmente l'unico in quel marasma a superare i 40, se ne stava lì tutt'altro che in disparte. Anzi, poco mancava che l'atmosfera elettrica della serata non lo inducesse ad esaudire il desiderio dei due ragazzi: gettarsi nella mischia per rimediare un autografo di John, Paul, Ringo e George. Venuti su a «pane e spettacolo», quella notte, Luca e Carlo Verdone non provarono il minimo disagio a condividere con un adulto, un esemplare dell'aborrita «società dei padri» per giunta, le emozioni forti di un evento che era anche un rito della rivolta generazionale di quegli anni. Mite, dolce, ironico e affettuoso, papà Verdone, studioso appassionato di trasgressioni futuriste, aveva cresciuto i tigli al culto della messinscena e della magia teatrale, dei fantasmi dell'Opera e delle immagini che scorrono luminose nel buio suggestivo del cinematografo. Di consuetudine, le serate in casa Verdone, grazie alla sapiente regia della signora Eliami. finivano presto o tardi per trasformarsi in un allegro teatrino, con tanto di siparietti, accompagnamenti musicali al pianoforte, rudimentali giochi di luci. In quell'appartamento a due passi da Palazzo Farnese, proprio dirimpetto al Gianicolo, gli amici di famiglia recitavano, cantavano, improvvisavano, parodiavano, inventavano intrecci, esibivano bizzarri travestimenti, ripercorrevano addirittura le tappe salienti della storia del melodramma. E i bambini spiavano estasiati dalla fessura di una porta di vetro smerigliato che dava direttamente sul palcoscenico casalingo. Una sera Luca e Carlo, i due innocenti spioni, vennero colti in flagrante. Non furono rimproverati, né rispediti a nanna senza tante cerimonie. Anzi, fu proprio in quell'occasione che ebbe virtualmente inizio la carriera d'attore di Carlo Verdone. Piccolo, paffuto, due occhi (la definizione è interamente sua) «da simpatico giuggiolone», Carlo si fece coraggio e chiese a quel pubblico di adulti un po' stravaganti di potersi esibire con un piccolo florilegio di sue imitazioni. E' quella la sera del suo primo trionfo. Dapprima Carlo si cimenta nel verso dello zio Corrado (modello del padrefamiglia maniacalmente pignolo di Bianco, rosso e Verdone immortalato nella battuta «allora lo vedi che la cosa è reciproca?»). Risate, battimani, richieste di bis. Poi l'esibizione diventa un fuoco d'artificio di suoni e rumori che escono dalla bocca del piccolo prodigio: l'imitazione di un treno che arriva in una stazione di provincia, quella del vocìo chiassoso di un bar popolare, e alla fine quella di una mosca che ronza inquieta nei pressi di uno sciacquone, accompagnata dalle espressioni d'entusiasmo degli spettatori. «Pane e spettacolo», appunto. Papà Mario, cinefilo raffinato, non impone i suoi gusti quando accompagna i figli a' cinema: «Ci siamo fatti scor pacciate di western e dosi massicce di Ercoli e Macisti», racconta Carlo. Mamma Verdone riempie la casa di pupazzi e marionette. Papà Verdone scrive un racconto fiabesco, Sapientaccio ovvero Le cronache del pargolo dotto, e lo dedica ai figli. Ogni estate il padre, senese d'anagrafe e di spirito, porta i bambini ad assistere al Palio: non c'è ancora la tv a trasmettere la corsa, ma i figli Verdone hanno già appreso ogni segreto di quella infuocata battaglia fra contrade. Poi vanno a Ve-.czia, a seguire il padre che fa parte del comitato del Festival, e incontrano sulla spiaggia del Lido signori che si chiamano Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, Sergio Leone e Pier Paolo Pasolini. Luca, il più piccolo, cresce con il pallino della regia. Carlo, più grande di tre anni, tcnter e prende tempo. «Luca Cu ,i secchione della famiglia, '...irlo il pigrone», racconta Eapà Mario con compiaciuta onomia. Luca si prepara a mettere in scena pièces tratte da Rabelais, serate futuriste, esperimenti in Superotto. Carlo divaga. E in quarta ginnasio viene sonoramente bocciato. Il padre, buono come il pane, regala lo stesso la batteria al figlio pelandrone che, nondimeno, immagina per sé un futuro di grande percussionista. «Con tutti quei tamburi, questa casa stava diventando un inferno», ricorda l'incauto donatore. E allora tamburi, piatti e grancassa furono trasferiti nella casa di campagna, lontano dai timpani dei familiari e del vicinato. Il ripetente Carlo viene tolto dalla scuola statai» e spedito al «Nazareno» dei j...etri Scolopi, dove rinsalda la sua amicizia con i fratelli De Sica, Manuel e Christian, futuro marito della sorella Silvia. Luca sgobba e lavora sodo. Uscito dal liceo, Carlo dapprima fre- 3uonta il Centro Sperimentale i Cinematografia. Poi si iscrive all'Università di Roma, facoltà di Lettere. «Voleva fare l'antropologo», rivela il padre. «Ma no, semplicemente il mio piano di studi prevedeva molti esami di indirizzo etnologico e storico religioso», si schermisce Carlo. Fatto sta che, ironia della sorte, i fratelli Verdone decidono entrambi di sostenere l'esame di Storia del cinema. Ma il titolare della cattedra si chiamava Mario Verdone, autore dei libri di testo sulle cui pagine occorreva sudare per superare l'esame, nonché docente integerrimo e per niente in vena di favoritismi a beneficio dei figli allievi: «Quando mi sono accorto, per mezzo di interrogatori un po' carogneschi, che i miei figli non erano sufficientemente preparati, ho praticamente imposto loro di presentai si alla sessione successiva. Luca ha subito accettato di buon grado. Carlo, più permaloso, ha ingoiato con più difficoltà». Luca sorride. Sembrerebbe proprio a suo agio nell'immagine di solido e determinato bravo ragazzo che il padre sta divulgando di lui. Tiene però molto a ristabilire una verità storica: e cioè di essere stato lui, più giovane di tre anni, il vero talent-scout del fratello maggiore. Tutto accade attorno alla metà degli Anni Settanta. In una gelida cantina romana si accumulano prove su prove del Rabelais diretto dal giovanissimo Luca Verdone. Fa freddo, l'inverno rigidissimo e l'umidità dello scantinato mietono incolpevoli vittime tra gli attori. E, il giorno della prima, uno soltanto non ha il febbrone ed è in condizioni di calcare la scena: suo fratello Carlo. Che fare? Mandare tutto all'aria? Sarebbe andata così se Luca non avesse potuto contare sull'innato fregolismo del fratello. Carlo si presta infatti ad interpretare tutti i ruoli lasciati vacanti dai malati. Luca accetta. L'esperimento riesce: per Carlo il ricordo di quell'exploit conterà molto 3uando, qualche anno più tari, con Un sacco bello deciderà di interpretare tanti ruoli nello stesso film. E poi? «E poi è arrivato il boom», risponde fiero papà Verdone. Cinefilo da sempre, il professor Verdone, cattolico tollerante e comprensivo, nel dopoguerra sostenne sulle colonne della rivista Bianco e Nero epiche battaglie per la promozione di un «neorealismo cristiano». Amava il neorealismo, genere prediletto e frequentato soprattutto dalla cultura di sinistra. Ma intuiva anche come, tra i cattolici al potere, quel Senere suscitasse diffidenza e isaj;io. Per Verdone si trattava di fissare una formule che soddisfacesse assieme l'una e l'altra istanza. Il «neorealismo cristiano», appunto: Ladri di biciclette più Francesco giullare di Dio. Adesso giudica quelle dispute con distacco e anche con una certa ironia. Il «boom» di Carlo ha cambiato le carte in tavola. E il torrente dei ricordi si fissa su un luogo, il Teatro Alberichino di Roma, dove nel 1977 il figlio «pigro» e discolo raggiunge la notorietà. Per Carlo è la prove dèi fuoco. Deve reggere sul nji, jscenico 55 minuti da sol cucendo insieme tutti il . le voci, le maschere e * rsnnaggi sperimentati mi so del tempo. Sennonché un conto è rallegrare ar sci « parenti da dilettante. V e altro è gettarsi nella mischia con ambizioni professionistiche. Per la prima dell'Alberìchino papà e mamma Verdone convocano zii, cugini, vicini di casa e amici per riempire la sala. Carlo è letteralmente terrorizzato. Gira per casa come un leone in gabbia, va su e giù per l'immenso terrazzo come un'anima in pena. Addirittura medita un forfait dell'ultima ora. Ma è mamma Verdone che lo distoglie dall'insano proposito. E nei modi più bruschi. «"Vai, cretino, non hai capito niente della vita". Le parole di mia madre sono scolpite nella mia memoria», ricorda non senza un pizzico di commozione Carlo, «e non dimentico neanche il vigoroso calcio nel sedere che mamma, proprio sulla soglia di casa, mi m sesto per vincere la mia anx . e la mia ritrosia. La sua sfuriata colse il bersaglio. Andai all'Alberichino. Mi presentai sul palcoscenico con le gambe che mi tremavano. Dopo quaranta secondi la grande paura era finita». E' il successo, il pubblico apprezza e ride a crepapelle. Sembra fatta. Ma la sera successiva si presenta all'Alberichino un solo spettatore. Avvilito, Carlo Verdone gli chiede scusa. Ma lo spettatore solitario esige che sia rispettato il principio «the show must go on». Verdone si esibisce per 55 minuti. Non sa ancora che quel caparbio spettatore è un critico teatrale, Franco Cordelli, che l'indomani pubblicherà su Paese Sera un elogio sperticato con il titolo «E' nato il nuovo Fregoli». Stavolta è fatta davvero. Storie passate. I sapori e gli umori della famiglia Verdone costituiscono gli ingredienti essenziali del film che Carlo comincerà a girare in agosto e che uscirà a Natale con il titolo Al lupo, al lupo. Un omaggio, «niente di lacrimoso, per carità», al padre che accompagnava con gioia i bambini alle proiezioni degli «Ercoli e Macisti». Al fratello che rimpian- 8e con tenerezza i tempi eroici ei teatrini off. Alla sorella che proprio il figlio di un grande regista doveva andare a sposare. E alla madre che ogni anno, sotto Natale, andava ad acquistare dalle bancarelle qualche nuova marionetta. La madre che seppe assestargli un sacrosanto calcio nel sedere al momento decisivo, allegra vivandiera di una famiglia venuta su a «pane e spettacolo». Luca: «Sono io l'inventore di Carlo: i miei attori erano malati e lui li ha sostituiti tutti sul palco» «Papà aveva la cattedra di Storia del cinema: noi non eravamo pronti e lui ci ha cacciati» , Carlo con la sua batteria. A lato: foto di gruppo per matrimonio. Da sinistra: Mario Verdone, i figli Carlo e Silvia (la sposa), Christian De Sica (lo sposo), Manuel De Sica con la moglie. Luca Verdone e Maria Mercader, seconda moglie di Vittorio De Sica e madre di Christian e Manuel I 1 A lato: Michelangelo Antonioni Sopra: Federico Fellini e Sergio Leone. Papà Verdone, impegnato al Festival di Venezia, conduceva sposso i figli a conoscere star e registi Sopra: i Beatles A destra: Pasolini A sinistra: i tre Verdone riuniti insieme, con Luca, il minore Carlo, il maggiore e papa Mario, docente, poeta, critico e saggista «Avevo paura e mamma mi prese a calci nel sedere»

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