Aids apocalisse al femminile

Aids, apocalisse al femminile Allarme da Amsterdam, nel 2000 ci saranno 100 milioni di nuovi sieropositivi Aids, apocalisse al femminile Le donne sono le più colpite AMSTERDAM DAL NOSTRO INVIATO la seconda ondata ci è già addosso, e questa non risparmia nessuno. Finito il tempo delle minoranze colpevoli, quello dei «diversi» da segnare col dito della moralizzazione, ormai di fronte all'Aids siamo diventati tutti uguali: il vertice di Amsterdam lancia il suo grido d'allarme, «Il mondo non ha ancora capito la drammaticità della situazione». Stiamo ballando ignari sul ponte del Titanic, ci dicono gli scienziati venuti qui a migliaia; il dott. Michael Merson, direttore dell'organismo dell'Orni che vigila sulla salute della gente del pianeta, scuote la testa amaramente: «Solo quando i morti arriveranno a milioni, allora finalmente ci si renderà conto davvero di quale tragedia ci stava addosso». Dei due milioni di malaU «conclamati» di Aids in questi dieci anni di scoperta del morbo, non ne son rimasti che ben pochi, quasi tutti sono già morti; in gran parte erano omosessuali e tossicodipendenti, ma già ci sono 12 milioni di contagiati da virus Vhs (i «sieropositivi»), e al loro interno il numero degli eterosessuali, cioè di chi ha rapporto con persone dell'altro sesso, aumenta costantemente. Tutti questi sieropositivi hanno purtroppo solide probabilità di trasformarsi presto o tardi in altrettante vittime di Aids, e il trend di crescita del contagio punta di tanto verso l'alto che nel Duemila ci saranno tra 40 e 110 milioni di nuovi sieropositivi. Il sospirato vaccino immunitario resta una vaga e lontana speranza, «e la speranza non basta più a combattere l'epidemia», diceva ieri Montaigner, lo scopritore del virus. Dopo un paio d'anni che stavano dando l'impressione di un possibile controllo nell'espansione, la spirale si avvita ora bruscamente. Lo scenario è catastrofico, di una plaga medioevale destinata a spopolare un pianeta sovraffollato. Quello che s'è imparato in questi dieci anni di Aids aiuta intanto a disegnare il profilo del nostro difficile futuro. Anzitutto la geografia sociale: i sieropositivi erano concentrati nelle città, «ma domani - anticipa il dott. Merson - ci sarà ben poca differenza tra città e campagna». Questo vuol dire che aree che finora erano sfuggite in parte al contagio, come l'Asia povera e contadina dove vive quasi la metà del mondo intero, hanno oggi un ritmo di infezione pari a quello africano; e poiché la sieropositività si rivela dopo una decina d'anni dal contagio, la prospettiva è «una tragica africanizzazione del mondo intero». Oggi in Africa ci sono Paesi dove un adulto su 3 è sieropositivo, e l'80 per cento dei letU degli ospedali è occupato stabilmente da malati di Aids. E poi, la geografìa umana. I due terzi di sieropositivi erano uomini, omosessuali soprattutto e tossicodipendenti, «però ora la trasmissione eterosessuale sta diventando più comune», dice la dottoressa Anke A. Ehrhardt, della Columbia University. «Ormai il 71 per cento delle infezioni è dovuto a relazioni eterosessuali, seguito dal 15 per cento per contatti omosessuali e da una piccola proporzione di tossicodipendenti». Le conseguenze sono in un dato dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: da gennaio di quest'anno è stato infettato quasi un milione di persone, ma la metà di loro è composta da donne. «Oggi le donne sono il sottogruppo in crescita più rapida, tra i pazienti di Aids». Nel Duemila dunque le donne saranno più del 50 per cento dei sieropositivi, e questo muta profondamente la storia che avevamo conosciuto dell'Aids, il suo impatto nella società, la stessa struttura delle famiglie e dei gruppi parentali. Il contagio non riconoscerà più categorìe a rìschio né diversità sessuali; e i costi di questa mutazione s'impennano verso il cielo, già ora che l'affezione di un malato costrìnge a spendere 10 volte più di quanto si dovesse alla scoperta del virus Hiv, noll'81. A scoprirlo fu Montaigner, direttore della divisione di oncologia virale dell'Istituto Pasteur, e ne ebbe fama e gloria in tutto il mondo. Ieri Montaigner è venuto a fare la primadonna, concedendosi ai giornalisti in anticipo sui¬ l'arrivo del suo arcirivale Gallo; ma non ha avuto grandi rivelazioni da fare, se non ripetere ancora una volta la sua convinzione che Hiv è un fattore necessario e però non sufficiente dell'infezione. Ha smentito anche lui le anticipazioni di qualche ricercatore americano sull'esistenza di un terzo virus Hiv e piuttosto la sola indagine nuova che ha portato ai suoi colleghi scienziati è un'ipotesi di lavoro che pare molto interessante: «La proteina del virus che attacca la cellula scatena sì la reazione del sistema immunitario, ma di modo tale che è lo stesso sistema di difesa, o comunque una parte di esso, a trasmettere a tutte le cellule un comando di autodistruzione. Siamo in presenza di una sorta di suicidio programmato, tradito dal fatto che soltanto alcune delle cellule morte portano traccia del virus letale». Da questa ipotesi di lavoro ad arrivare poi alla nascita di un vaccino efficace, «la strada resta purtroppo lunga quanto era prima», confessa amaramente Montaigner. E invita piuttosto a «badare seriamente alla prevenzione», che era poi il tema sul quale il ribelle Jonathan Mann aveva aperto questo vertice di rottura col passato: l'Aids non più come ricerca strettamente medica e invece problematica complessa, legata alle condizioni della società, ai suoi squilibri. mmmn ■ A, — jÉtà m IfWJINIHJ l#MMinO E Montagnier scopritore del virus «Il vaccino è ancora troppo lontano Occorre intervenire sulle cause del contagio» ti professor Montagnier. scopritore del virus che provoca l'Aids, ieri è arrivato ad Amsterdam

Persone citate: Ehrhardt, Gallo, Jonathan Mann, Michael Merson, Montagnier

Luoghi citati: Africa, Amsterdam, Asia