Gli sciacalli nei palazzi distrutti

Gli sciacalli nei palazzi distrutti Gli sciacalli nei palazzi distrutti Svuotano gli appartamenti della gente sfollata PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Il primo segnale di guerra arriva di colpo, sulla grande via sommersa dal traffico che avanza come una marea senza meta. Transenne, carabinieri, le radio che gracchiano, i sibili, le urla. «Via, via, fate largo». Si sbraccia, un agente. Cento metri più in là, sulla sinistra, ci sono i palazzi sfregiati di via D'Amelio, dove abitava la sorella del giudice Paolo Borsellino, le quinte spezzate, le ringhiere appese nel vuoto. E questo odore terribile di bruciato, di fumo e di sangue che viene dalle grandi macchie nere sparse sull'asfalto, dalle lamiere accartocciate e annerite. E questo senso disperante del precario e della paura che passa nei volti della gente ferma sullo spiazzo bombardato, negli sguardi che interrogano con la stessa angoscia carabinieri, giornalisti, o curiosi, perché nessuno, proprio nessuno, può dare una risposta. «Ciccio Ciccio, io abitavo qui», piange Patrìzia. «Non posso salire, non mi lasciano». Vicino a lei, sfollano quelli che abitavano le case dell'attentato. Sfilano portandosi dietro tavoli, comodini, letti, tutto quello che resta do¬ po un bombardamento. Uno ha la gabbia del canarino, un altro una sacca con giacche a vento e maglioni, Rosaria Gallo i pupazzi di un bambino. «Ciccio, Ciccio, lo vedi come siamo ridotti?». Sfilano tutti lentamente, mentre i vigili del fuoco li richiamano, urlano di fare in fretta: «Andate via di 11, santocielo, quel muro è pericolante». Il signor Perez, allora, si siede sulla valigia, incrocia le braccia e urla più forte, più forte ancora: «Casa mia è abitabile. Non voglio andar via, non voglio». Resta da solo, accerchiato dai paparazzi. In fondo, è giusto cosi. Che foto migliore di questa per raccontare l'Italia che non può nemmeno combattere questa guerra senza senso, sullo sfondo di un disastro ordinario, fra le macerie e le macchine squassate, rimpicciolite, bruciate. Basta guardare più in là e s'intravvede la Seat che è esplosa con gli ottanta chili di plastico: è spezzata in due. Le ruote sono finite contro il muro e la carcassa della macchina sta attorcigliata in mezzo al piazzale. LI vicino, accanto alla portiera di una Croma devastata dallo scoppiò, è rimasta quasi intatta come un dispetto del destino una pagina appena bruciacchiata agli angoli. C'è scrìtto «3-foglio» e in un linguaggio burocratico sono elencate le «precauzioni che devono prendere gli agenti di scorta». Forse, lo stava leggendo Emanuela Loi, 25 anni buttati via, la poliziotta della scorta che aveva cominciato da poco questo servizio. «Prestare attenzione a tutte le macchine sospette e notiziare il perìcolo alla centrale che provvedere a mandare subito una vettura in ausilio. Massima attenzione alla presenza di una macchina abbandonata...». Adesso, anche su questo spiazzo comincia il rito triste di tutte le tragedie di mafia. Portano mazzi fiorì. Alle 15, sono già quattro. Un biglietto: «A Paolo Borsellino, eroe della giustizia. Il tuo coraggio sarà di esempio a noi giovani che lotteremo per dire no alla corruzione. Vogliamo la nostra Sicilia libera da tutto questo schifo». Eppure, anche in questo angolo dove il dolore è padrone, c'è chi non si ferma. Nella notte, nonostante gli agenti, nonostante la folla, gli sciacalli riescono a colpire. Salvatore Perniciaro, impiegato, è il primo a denunciare 1 ladri: «Mi hanno preso tutti gli ori e i gioielli». E altri ancora, in via D Amelio, segnalano furti impietosi. Ma tutto qui è senza senso, quasi senza speranza. Matteo Francoconte abitava al sesto piano al numero 19 di via D'Amelio: «Non ero assicurato, ho perso tutto. Avevo una fabbrìchetta nel palazzo di fronte, mi hanno distrutto anche quella». Tanti sono disperati come lui. Erminio Bognanni, che stava al numero 21 : «Non ero in casa quando è avvenuto lo scoppio. Sono arrivato qui ieri sera e non avevo nemmeno la forza di piangere. Sono rimasto senza niente». Giuseppe Sangiorgi: «Porto via cappotti e maglioni. Chissà Juanto dovrò stare via». Quinici famiglie trovano alloggio all'hotel Ponte, altri finiscono da amici e parenti. E l'esodo continua. Ma in questa Palermo sfigurata dalla violenza tutto passa e si confonde. Lì dietro, venne trovato il covo di Antonio Madonia, ragioniere delle cosche e figlio di don Ciccio, il boss della piana dei Colli. Anche quella casa ha i vetri rotti e 1 segni dello scoppio. Trecento metri più in là c è il residence Mai bela dove abita l'ex sostituto procuratore Giuseppe Ayala quando torna a Palermo. Questo è il luogo della tragedia. L'ultimo biglietto, in via D'Amelio, lo portano due giovani quando viene la sera: «Paolo e Giovanni rimarrete sempre vivi nei nostri cuori, la vostra eroica morte non sarà mai dimenticata, né con voi i vostri coraggiosi uomini della scorta». Non restano che lo parole, [p. sap.] Motti abitanti di vìa D'Amelio hanno dovuto lasciare gli alloggi devastati

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