OMERO, TERMOPILIE AMORI I POETI ITALIANI CANTANO LA GRECIA

OMERO, TERMOPILIE AMORI I POETI ITALIANI CANTANO LA GRECIA OMERO, TERMOPILIE AMORI I POETI ITALIANI CANTANO LA GRECIA LA IDEA di Vincen^ zo Guarracino è / slata tanto brillunte quanto ardita: convocare intorno ai componimenti c, spesso, ai frammenti dei lirici greci antichi dalla loro aurora al tramonto i poeti italiani contemporanei; studiare, ove possibile, accoppiate omofilc, gettare l'amo e attendere. Ne è venuta su qualche preda dorata e qualche semplice imitazione, qualche alga fosforescente e nulla [Liricigreci tradotti da poeti italiani contemporanei, in due volumi, Bompiani, pp. 725. L. 25.000). Ecco Simonide e il suo famoso epitaffio per i caduti alle Termopili: tòn en Thermopylaisi tha nónton I eukleès mèn a tycha, kalò:; d'o pótmos, bomòs o tàphos eccetera. Non una canzonetta, una strofettina, ma un compianto, una pietra tombale con una sua tecnica e uno retori¬ ca ben precise (asindeti, paratassi, cadenza...) Le s'era chinato davanti anche Salvatore Quasimodo, anno 1944: «Di quelli che caddero alle Termopili / famosa è la ventura, bella la sorte / e la tomba un'ara. Ad essi, memoria / e non lamenti; ed elogio il compianto. / Non il muschio, né il tempo che devasta / ogni cosa, potrà su questa morte. / Coi prodi, nella stessa pietra, / abita ora la gloria della Grecia». Invece Milo De Angelis, 1992: «La tomba di chi cadde allo Termopili / è un altare. Serenamente / la vediamo: fatale bellezza / dove il nostro pianto si fa lode... intatte lenzuola / che il tempo lascia bianche - oh testimone Sparta - / in questo campo di morti / che la Grecia ha scelto come sposa / eterne respirano le virtù». E' un caso tipico di un'operazione narcisistica e di un'affermazione di autonomia dalle regole, che caratterizzano il più generale affrancamento dei nostri tempi dalle norme letterarie lun po' di imbarazzo c d'impa¬ zienza si scorge in questi casi nelle stesse note del Guarracino). Anche questi rifacimenti diventano significativi, si reggano e no. Nemmeno Luciano Erba traduce: scrive semplicemente ed esplicitamente una sua poesia alle spalle di Simonide; e Volponi giostra a suo talento i celebri epiteli di Bacchilide, togliendoli alle dee e attribuendoli alle isole... Altri invece fra questa centuria di poeti «traduttori» di poeti hanno accettato la sfida e si sono affaticati più lealmente sulle grandi costruzioni o sulle venerande reliquie di quei loro colleghi, cercando solo d'iniettare un brivido nuovo che li risveglia alla vita senza risvegliare un sosia o un fantasma. Roberto Mussapi dà, pur con le sue interpretazioni, un'efficace resa del vecchio Alceo, Gesualdo Bufalino, raffinatissimo, applica e ricava un decadentismo struggente da un oscuro epigrammista ellenistico. Giorgio Bàrberi Squarotti si studia di conservare l'arco strutturale alla grande litania di un inno orfico. Giuseppe Pontiggia rifa destramente la descrizione barocca di un organo idraulico ad opera dell'imperatore Giuliano. Silvia Ronchey e Valerio Magrelli sono perfetti nel riportare i ricami ingegnosi di Giuliano Egizio su un oggetto da nulla. Cesare Viviani ricompone a meraviglia il grande Meleagro. E quando Luzi s'immerge nella religiosità concettuosa di Sinesio, reinventa, senza abbandonarla, mediante la propria la sua poesia. Né diversamente Bigongiari riesce a farci apprezzare la luminosità di Gregorio Nazianzeno trasferendo con la sua mediazione all'oggi la parola di un teologo umbratile, di un oratore sentimentale. Anche le scelte dei poeti all'interno di un arco temporale che da Omero a Sinesio abbraccia quindici secoli sono significative. Più di metà dell'opera è dedicata ai poeti minori e minimi dell'età tarda, a squisite e infe¬ conde ombre dell'Antologia palatina e dintorni, a cui fino a pochi decenni fa non avremmo dato uno spicciolo. Anche l'idea di ripubblicare la splendida antologia dei Poeti bizantini di Raffaele Canterella, uscita nel '47 in un circuito editoriale ristretto, ed oggi resa disponibile ad un pubblico assai più ampio nella Bur (pp. 1106, L. 26.000), entra in questa evoluzione e approfondimento della sensibilità, in questa curiosità intellettuale di altissimo valore. La grandiosità di una letteratura lenta, solenne e sottile, ieratica e intima, colta e fragile, s'imprime facilmente nell'animo attraverso queste mille pagine che solo un raro competente e un pioniere lungimirante poteva allora radunare. Attraverso una nuova sensibilità nel tradurre il secondo Novecento riscopre qualità che il classicismo e il neoclassicismo avevano oscurato. La poesia classica impone inevitabilmente alcune proprietà tutte sue; per approfondire e ampliare la sco¬ perta di una poesia così lontana da noi non solo nel tempo, occorre quello che Quasimodo aveva in giusta misura, il senso del mito, e quanto i traduttori d'ima volta avevano fin troppo, la percezione e il godimento delle forme letterarie. Le migliori riuscite nell'antologia plurima di Bompiani derivano dalla suggestione del primo e dal rispetto della seconda. E alcuni di questi risultati, anche se esigui di mole, meriteranno senz'altro di entra¬ re fra i successi della traduzione contemporanea da poeti antichi, emblematici di un'estetica che va anche oltre il campo specifico. A misurarla, questa estetica, nei confronti con quelle passate, soprattutto delle età più attive intorno ai classici quale la quattro-cinquecentesca e quella a cavallo fra Sette e Ottocento, soccorre un'agile e pulita e senz'altro benemerita nuova collana dell'editrice Res. Accanto alle

Luoghi citati: Bur, Grecia