IL PIASTRELLISTA FIGLIO DI BORGES di Bruno Ventavoli

IL PIASTRELLISTA FIGLIO DI BORGES IL PIASTRELLISTA FIGLIO DI BORGES LMELANO 0 definiscono il Borges svedese. E Lars Gustafsson, 56 anni, ricorda davvero il grande scrittore argentino per i picareschi sopralluoghi in ogni zona della letteratura e della metafisica. Ha pubblicato una sessantina di libri, tra saggi, romanzi, poesie. Segue tracce di ogni genere, dalla botanica alla topografia, dallo sport alla matematica. Nell'88, a Stoccolma, ha organizzato anche una mostra di suoi acquerelli: «Li hanno comprati tutti, perché era il momento in cui la gente amava investire nell'arte». Abbronzato, vitale, facondo in sette lingue, è passato dall'Italia per presentare il suo ultimo romanzo Pomeriggio di un piastrellista (Iperborea, trad. e introd. di Carmen Giorgetti Cima, pp. 145, L. 20.000), singolare e inquietante avventura pomeridiana di un piastrellista aggredito da ricordi, fantasie, amarezze. Il romanzo si apre con una citazione di Sartre: «La storia di ogni vita è la storia di uno scacco», è ispirato all'Essere e il Nulla ed è zeppo di suggestioni filosofico-esistenzialistiche, ma può essere letto in tanti modi, anche come giallo, per i suoi piccoli misteri quotidiani. «C'è persino chi l'ha considerato un romanzo proletario, perché parla di un lavoratore. E' stato recensito dalla maggiore rivista dei sindacati edili con entusiasmo». Torsten Bergman, l'eroe antieroe del libro, ha deciso di rinunciare alla vita dopo la morte della moglie. Fa solo lavori in nero, odia le imposizioni, gli obblighi sociali. Tratta le piastrelle come fossero tessere di un mosaico spirituale, un espediente per passare dal disordine della vita a un ordine personale. Immerso nel silenzio rotto solo da qualche scricchiolio: «Il silenzio è importantissimo. Le cose non dette, i bianchi della pagina, valgono quanto le parole. C'è una frontiera che la scrittura non può superare e bisogna tacere. Quale? Il sentimento vago e piccolo di esistere. E' qualcosa che non si può dire, ma solo raccontare». Nel suo pomeriggio di lavoro strano, forse inutile perché pare abbia sbagliato indirizzo, il piastrellista si affida a folate del passato. Dalle pianure selvagge dove ha passato la giovinezza, alle prime esperienze erotiche nel buio di un cinema, al cospet¬ to di Ava Gardner, Clark Cable; il primo orgasmo provocato a una ragazza fu durante «Il ladro di Baghdad». «La vita di quegli anni, i film, le impressioni, sono vere. Le ho ricavate dal diario di una cugina di mio padre, dove annotava minuziosamente gli hobby, la moda, gli amori». Lars Gustafsson si è laureato in filosofia, studiando le posizioni scettiche nella filosofia del linguaggio del XLX secolo. Ha studiato a Oxford, specializzandosi nel pensiero logico-matematico, dove ha conosciuto l'attuale moglie. Ora insegna Storia delle idee a Austin in Messico, «un grande acquario caldo». Nel '77 ha scritto un romanzo-saggio I tennisti, nel quale un professore cerca di applicare un modello matematico alla letteratura e il tennis diventa una rande metafora della realtà. Wittgenstein a confronto con le volées. Ma il colpo più affascinante è il servizio «una finestra sull'ignoto», dice. «Ho fondato la mia carriera accademica sul tennis. Insegno in un corso speciale per studenti superdotati, 250 che arrivano da tutte le parti degli Stati Uniti. Un programma per sviluppare al massimo le capacità dell'intelligenza. Ingegneri, matematici, medici frequentano i miei corsi. Parlo di creatività, memoria, morte. Ho bisogno dei miei studenti come la droga. Senza le conversazioni con loro non potrei lavorare. Non credo che lo scrittore possa vivere isolato, ad aspettare il successo, a riflettere sul suo stile. E' come un giocatore di tennis che pensa al punto prima che al colpo». Gustafsson, tra i mille mestieri, è stato redattore alla Bonnier, uno dei maggiori editori svedesi, lavorando presso la sua rivista letteraria. Ha conosciuto Calvino: «L'ho incontrato a Torino, nella casa di Einaudi. Era mattino presto e lui era andato a dormire tardi. Era distratto, assonato. Così lo ricordo come uno scrittore sonnambulo». Ha conosciuto Borges in un incontro degno deWMeph: «Era già cieco. Stavamo chiacchierando, quando sul divano si è seduto uno che aveva un accento simile al mio. Era un signore invadente, fastidioso. E me ne sono andato. Borges ha continuato a parlare con lui credendo fossi io». Come molti altri scrittori svedesi, anche Gustafsson vive nomade per il mondo. «Non è un esilio, ma un'emigrazione, per stare più comodi, per trovare un costo della vita meno caro. In Svezia, negli Anni 70, uno scrittore critico con il governo, si trovava molte porte chiuse, premi, borse, fondazioni». Gustafsson liberale di destra non ha mai creduto al paradiso svedese. Anzi ha sempre cercato di smascherare la lanosa condizione del cittadino, protetto ma anche soffocato da uno Stato ovattato. E oggi il modello della socialdemocrazia è in crisi? «Altro che crisi. E' morta. Ma vedo un pericolo forte nel vuoto che si è creato: il populismo. Il 12 per cento degli svedesi oggi vota per Nuova Democrazia, una forza pericolosa, perché vaga, imprecisa. Una specie di perotismo scandinavo». Gustafsson esploratore di assoluti, di solitudini tutte umane, del baratro del dolore si è convertito all'ebraismo. Religioso? Sorride. E' distratto dal profumo dei cibi. Parla di funghetti, dei «chiodini». Pensava fossero una specialità svedese, ma li ha trovati anche al di là dell'Atlantico. Poi si ricorda della domanda: «Preferisco l'etica alla religione. Mi interessa la teologia, il modo in cui l'uomo conosce Dio. Ma credo che sia piuttosto lui a conoscere noi. E spesso si dimentica delle nostre piccole grane». Bruno Ventavoli

Luoghi citati: Baghdad, Italia, Messico, Nuova Democrazia, Oxford, Stati Uniti, Stoccolma, Svezia, Torino