RITORNA IL GURU di Pierluigi Battista

RITORNA IL GURU RITORNA IL GURU / Samurai della Kristeva trionfano a Parigi: e da noi? SROMA ARA' pure che «un tornitore della Citroen è più romanzesco di un professore», certo è però che con il suo I Samurai Julia Kristeva ha voluto sfidare la sarcastica sentenza che l'autrice fa pronunciare a Hervé Sinteuil, uno dei personaggi-chiave del romanzo che Einaudi manderà la prossima settimana in libreria per la traduzione di Oreste del Buono e Lietta Tornabuoni. Senteuil è infatti un intellettuale, modellato e narrativamente ricostruito sulla figura di Philippe Sollers, protagonista con la rivista «Tel Quel» del mondo intellettuale francese degli Anni Sessanta nonché marito di Julia Kristeva. E intellettuali sono gli altri «samurai» raffigurati nel romanzo: Armand Bréhal ispirato a Roland Barthes (che solo ad ascoltarlo «si aveva l'impressione di diventare qualcuno»), Lauzun allo psicanalista Jacques Lacan, StrichMeyer all'antropologo Claude LéviStrauss («che ognuno stia al suo posto di subalterno nella gerarchia dominata da Sua Maestà Strich-Meyer», impreca un suo assistente), Roberto a Umberto Eco, Scherner a Foucault e Benserade al linguista Benveniste. Un romanzo a chiave, che ha fatto già impazzire i recensori francesi nell'eterno gioco dei riconoscimenti e delle identificazioni. E che si collega idealmente, sin dal titolo, ai Mandarini di Simone de Beauvoir. «La generazione dei samurai non ha quel sentimento entusiasta e euforico dell'engagement che ebbe la generazione Sartre-Beauvoir», spiega la semiologa-scrittrice. No, gli intellettuali-samurai assomigliano piuttosto ad «avventurieri senza potere» che rischiano «la vita combattendo». Chissà se esistono ancora samurai come gli intellettuali degli Anni Sessanta e Settanta raccontati da Julia Kristeva. Oggi, casomai, è diventato un gioco di società lamentarne la perdita. Ci si chiede se è possibile fare a meno dei maitres à penser. E qualche osservatore senza cuore ha già dato per spacciata quella categoria oramai derisa, compatita, talvolta resa melanconica dalla scomparsa di un Principe protettore e prodigo mecenate. Ma davvero le cose stanno così? Forse è vero che il ceto degli intellettuali sta scomparendo, eppure in Italia non passa mese senza che escano libri espressamente dedicati a questa specie in via di (presunta) estinzione. L'americano Michael Walzer ha raccontato le gesta dell'Intellettuale militante (Il Mulino) nato con JeanJacques Rousseau e il sociologo tedesco Wolf Lepenies ha descritto l'Ascesa e declino degli intellettuali in Europa (Laterza). Gli Editori Riuniti pubblicano per la cura di Albertina Vittoria i documenti che scandiscono la storia dell'Istituto Gramsci con il titolo Togliatti e gli intellettuali. Ed è da qualche giorno in libreria 11 discredito dell'intellettuale (SugarCo) di Daniel S. Schiffer: una disamina del ruolo dell'intelligencija da Zola ad oggi, con tanto di «tradimento dei chierici» di bendiana memoria, corredata di interviste a Bernard-Henri Lévy e Vaclav Havel, a Eugène Ionesco e a Francis Fukuyama. L'Intellettuale fa da mattatonel campionario di sciocchezze scrupolosamente inventariate da Frutterò e Lucentini nel loro II ritorno del Cretino (Mondadori): «Il termine "intellettuale" ha sempre avuto una spiccata affinità col chewing-gum: lo tiri di qua e vuol dire una cosa, lo tiri di là e ne vuol dire un'altra». In autunno è prevista presso Garzanti la traduzione di Proofs, il romanzo di George Steiner in cui, per esplicita ammissione dell'autore, il protagonista è ritagliato su un intellettuale doc come Sebastiano Timpanaro. E come dimenticare il successo di II i professore va a congresso di David Lodge pubblicato da Bompiani, vera e propria antologia di tic, manie e nevrosi dell'intellettuale quando si aggrega ai suoi simili. E se questa fiammata di interesse editoriale per gli intellettuali rivelasse l'insospettata vitalità di un ceto che per molti ha già imboccato il viale del tramonto? «No, gli intellettuali sono finiti», risponde Saverio Vertone. «Fino alla Rivoluzione francese esistevano i poeti, gli scrittori, i filosofi, i matematici. Come singoli però, non come membri di una corporazione morale, di una falange che si arroga il diritto di parlare a nome della società: la Gilda degli intellettuali moderni, appunto». «Con la fine del comunismo», prosegue Vertone, «quel ciclo si è definitivamente chiuso. Si è esaurita, per così dire, la protezione bancaria assicurata dal futuro che ha sempre legittimato negli intellettuali la presunzione di essere i veri interpreti della storia. Finisce la categoria morale dell' "intellettuale" e si ricomincia finalmente con i singoli che parlano soltanto a nome di se stessi. Tornano gli individui, immersi in una storia che non è finita, come suggerisce Fukuyama, ma ricomincia come realmente è: come ignoto». «E invece gli intellettuali godono di ottima salute», replica l'antichista Luciano Canfora, «e la potenza dei media ha esaltato il ruolo di questo ceto, chiamato a svolgere il ruolo di "formatori delle coscienze". Oggi gli intellettuali sono onnipresenti: stanno nei Palazzi che contano, appaiono continuamente in tv, vengono persino chiamati dai manager (è successo a me con l'Eni) per condurre dei seminari. E questo ceto così vezzeggiato sarebbe morto?». Per questo Canfora è allibito che si possano definire gli intellettuali contemporanei come «samurai»: ((Abbiamo visto gli stessi intellettuali stringersi all'Eur intorno a Lama, poi gironzolare nei paraggi craxiani, adesso intorno a Di Pietro, pronti domani a far la corte a Bossi. Ma non è mica malafede, la loro, quanto piuttosto conseguenza di un carattere genetico: l'intellettuale è l'animale più predisposto all'autogiustificazione e dovendo "professionalmente" capire il mutamento finisce per adattarsi a quel divenire che dovrebbe comprendere». Una sferzata, quella di Luciano Canfora, addolcita dalle considerazioni di Geno Pampaloni: «Mettere sotto accusa gli intellettuali va molto di moda. Ed è anche molto facile, considerando che gli intellettuali sono una categoria debolissima. Anche, perché no, dal punto di vista sindacale». «Certo», prosegue Pampaloni, «spesso gli intellettuali sono vittime delle loro contraddizioni, e qualche volta si comportano come fossero dei mercenari. Ma sui tempi lunghi, vedrà, gli intellettuali godranno di una riabilitazione. Il tempo è galantuomo». Pierluigi Battista

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