Melli, santo e diavolo

Melli, santo e diavolo A Macerata il pittore novecentesco delle «continue sfide» Melli, santo e diavolo La sua vita, «manifesto di dignità» Ytì macerata I / e nt anni fa, al di là delW le polemiche, in parte va■ lide e in parte pretestuoJJse, sulla «cultura dell'effimero», due dati sembravano certi e solidi: da un lato il favore politico ed economico dell'ente pubblico verso il consolidarsi e il diffondersi della cultura artistica contemporanea, privilegiando però (ed era un limite grave, anche se spiegabile in termini di produttività d'immagine) l'attività promozionale rispetto al fondamento strutturale; dall'altro la grande e nuova vitalità in tal senso dei centri minori rispetto ai pochi tradizionali e maggiori. Da allora ad oggi, travagli politico-economici e trasformazioni culturali hanno mutato profondamente questo panorama, bruciando molte esperienze, spargendo molte ceneri - talora in modo salutare nei confronti di sperperi e dilettantismi - salvando però valori e risultati di una stagione comunque valida, svecchiarne, arricchente, là dove tali valori e risultati erano più solidi e concreti soprattutto sul piano delle strutture tali da favorire l'ulteriore e necessario discorso della collaborazione fra iniziativa pubblica e privata. e' questa una premessa necessaria quando ci si imbatte in un fenomeno, o meglio intreccio di fatti e di iniziative, come quello che caratterizza la cultura della contemporaneità a Macerata, uno dei tanti civilissimi centri delle Marche. Quale piccola Pinacoteca Comunale può vantare al confronto l'unico ambiente d'avanguardia italiano paragonabile con assoluta dignità alle realizzazioni «Proun» di Lissitzky e a quelle degli architetti neoplastici, l'anticamera disegnata nel 1925 dal futurista Ivo Pannaggi per la casa dell'industriale Erso Zampini? Acquistata dal Comune, fu portata dalla vicina Esanatoglia e rimontata, e si spera possa essere raggiunta in futuro dalla camera da pranzo con la sua vetrata neoplastica. Per qualsiasi cultore del mito futurista vale un pellegrinaggio come quello alla Santa Casa della vicina Loreto. Ed ancora: i piani superiori di palazzo Ricci ospitano, come collezione della Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, due centinaia di capolavori, da Boccioni e Severini a Fontana e Burri, da Martini a Bodini, Trubbiani e Vangi. Essi costituiscono un insieme fra i migliori in Italia, innanzitutto per la qualità e la rappresentatività di gruppi di opere come quelli di Carrà e di Casorati e di Soffici, di De Pisis e di Scipione, di Soldati e di Licini, di Prampolini e ancor di nuovo di Pannaggi. E' una base culturale, solida, ammirevole, per le mostre monografiche che lo stesso Palazzo Ricci ospita ogni anno nei piani inferiori e sotterranei ottimamente restaurati: mostre caratterizzate dal rigore critico, filologico, documentario di un serio studioso fra arte e letteratura come Giuseppe Appella; in genere rivolte ad aspetti della cultura romana fra le due guerre, e comunque a personaggi di complessa e raffinata cultura. Quest'anno, fino al 15 ottobre, è la volta di Roberto Melli (Ferrara 1885 - Roma 1958), figura non appariscente ma di profonda incidenza (e di altissima qualità) in lunghe stagioni italiane; dalla Genova simbolista e socialista del primo '900 alla Roma della Secessione, poi di «Valori Plastici», poi dei giovani «tonalisti» e infine, dopo il silenzio dell'emarginato razziale, della grande libertà di dibattito e di organizzazione artistica. In questa libertà egli seppe portare quello spirito di bontà e di solidarietà quasi evangelica, ma anche di severità morale contro ogni compromesso, che disparati rappresentanti delle generazioni successive ammiravano. Guttuso nel 1947, presentandolo nella mostra che riscopriva l'unico scultore di rottura paragonabile a Boccioni, disse di «una vita che andrebbe scritta sui manifesti e affissa agli angoli delle strade, perché gli uomini vi apprendessero il senso delle parole dignità, rinuncia, fede, povertà, amore dell'arte». E nel suo diario Zavattini scriveva nel 1950: «A suo modo, è forse un santo». Ma anche un gran diavolo come scultore e pittore (e, per sopravvivere, geniale bozzettista pubblicitario), un uomo, almeno fino agli Anni 30, di continue sfide ed eterodossie europee nei confronti del panorama italiano; e scommettitore di se stesso sul filo del rasoio contro ogni norma di tradizione plastica, di equilibrio cromatico, di armonia tonale (proprio lui, che i «tonalisti» romani, Cagli, Cavalli, Capogrossi, e poi Afro, Guttuso, riconobbero come maestro, volenti o nolenti, alcuni; ma i loro programmi li volle affiancare come «critico d'arte», non come pittore). Come scultore sapeva di Secessione Viennese e di Mestrovic prima di qualunque giovane in Italia (prima anche di Martini), il che gli permetteva di giocare sul filo dell'ironia espressionista con le forme del divo Bistolfì; e subito dopo, 1913, poteva anche osar • contestare «da sinistra», con-la dura perentorietà dei suoi intagli espressionisti di pieni e di vuoti, la sublime retorica del dinamismo boccioniano, contemporaneamente parlando, con Mascherina, il linguaggio di Matisse scultore. Parallelamente, gli esordi pittorici in mostra fra 1911 e 1917 superano, nella violenza senza scampo (oggi la diremmo psichedelica) degli arancioni «tagliati» dai verdi marci e dai blucobalto, ogni fauvismo, nonché italiano, anche francese. Il suo intarsio strutturante di piani cromatici non ha paragoni. La stagione di «Valori Plastici» appiana la violenza, la tonalizza, ma non ottunde la saldezza dell'intarsio strutturale, fino ai vertici di Abito a scacchi e di Vestaglia cinese. Sono varianti dell'infinito tema della moglie, una sonata continua, profonda, in rosso, in nero, fino alla liquidità gialla del 1956. Nelle figure, nei paesaggi (sempre la Roma del Testacelo, o Celle Ligure), è via via un cammino lungo, dolce, socratico di conquistata essenzialità della luce, della forma, dell'immagine di se stesso. Marco Rosei *§=V*2 \ -^ Due opere di Roberto Melli esposte a Macerata. Sopra: «La vestaglia cinese» olio su tela del 1929. Qui accanto: «La signora dal cappello nero», scultura in bronzo del 1913 Due opere di Roberto Melli esposte a Macerata. Sopra: «La vestaglia cinese» olio su tela del 1929. Qui accanto: «La signora dal cappello nero», scultura in bronzo del 1913