L'antinazista che diventò SS per scoprire le camere a gas di Gabriella Bosco

L'antinazista che diventò SS per scoprire le camere a gas Ricostruita dopo 50 anni la storia di Kurt Gerstein, testimone dei Lager e poi suicida L'antinazista che diventò SS per scoprire le camere a gas KPARIGI URT Gerstein, tedesco protestante di Munster, divenne SS nel 1941 per I scoprire la verità sui campi della morte. Una sua giovane parente era stata uccisa con il gas in un asilo psichiatrico, ufficialmente deceduta per edema cerebrale, in realtà soppressa perché inferma. Gerstein sapeva. Era convinto che se la Germania fosse stata informata con testimonianza precisa e diretta di quanto accadeva, si sarebbe rivoltata in massa contro il Fuhrer. Sin dal '42 raccontò, fuori, ciò cui assisteva dentro. Non riuscì a farsi credere. Dall'inferno non si torna. Alla fine della guerra, Kurt Gerstein si arrese alle forze francesi. In pochi giorni, servendosi del poco approssimativo francese che conosceva, scrisse freneticamente un rapporto dettagliato. Poi, il 26 luglio del '45, s'impiccò. Era detenuto a Parigi, nel carcere militare della rue du ChercheMidi, nella stessa cella in cui cinquant'anni prima era stato recluso il capitano Dreyfus. Per molti di coloro che ne conoscono passione e morte, Kurt Gerstein è oggetto di culto. Kurt il santo, il martire, il profeta. Ma non per tutti; è difficile accettare che un santo si sia tolta la vita. Inizialmente furono in tanti a ritenerlo un pazzo. Alla Liberazione, gli vennero imputati «crimini di guerra, assassinio e complicità». Anche dopo il suicidio, si continuò a considerarlo un criminale. Il suo rapporto fu evocato al processo di Norimberga. Testimone, certo, ma anche artefice dello sterminio: dalla parte dei carnefici. Pierre Joffroy ha dedicato 25 anni alla raccolta di documenti su Gerstein. L'espion de Dieu (Edizioni Seghers) è il risultato del suo lavoro. Non tanto una biografia, quanto piuttosto l'eco a lungo negata. Joffroy si vuole portavoce, sia pure tardivo, del sacrificio di Gerstein. Diventare SS non gli era stato facile. Prima di concepire l'incredibile proposito, Gerstein aveva militato attivamente nei Circoli Biblici, gruppo della gioventù protestante tedesca. Per propaganda antinazista, nel '38 era stato in carcere al campo di Welzheim. Ma dopo la morte di Berthe nell'ospedale psichiatrico di Hadamar, il giorno stesso del suo funerale, Gerstein aveva deciso: «Il solo modo è entrare nel movimento, conoscere le sue intenzioni, controllarne la direzione. Voglio sapere chi dà gli ordini, chi fa gettare le persone nei campi di concentramento, chi le maltratta e chi le uccide. Voglio conoscerli. E quando la fine arriverà, voglio essere colui che testimonierà contro di loro». Riuscì mettendo minuziosamente in scena un repentino «ravvedimento» politico. Scrisse lettere che sapeva sarebbero state intercettate in cui si dichiarava convinto neoadepto del nazionalsocialismo e delle teorie antisemite. Fabbricò prove su prove, dando al suo fanatismo perché fosse convincente - veste religiosa: la fede come garanzia di autenticità. La candidatura di Gerstein viene accolta il 10 marzo del '41. Per le sue tompetenze tecniche (di mestiere è ingegnere minerario) viene attribuito all'Istituto di Igiene, a Berlino, settore «disinfezione». Deve occuparsi di rendere bevibile l'acqua infetta. Presto però l'incarico diventa un altro. Trasferito al campo di Belzec, deve provvedere a una fornitura di acido prussico, 260 chilogrammi. Gli si chiede di progettare camion che possano immettere direttamente l'acido nelle camere a gas. Gerstein va dal pastore Mochalski. «Che cosa devo fare?», chiede. «Il carico che devo andare a ritirare è destinato a uccidere migliaia e migliaia di persone, quelli che loro chiamane i sottouomini. Se eseguo l'ordine, divento complice dello sterminio». Spiare senza collaborare è impossibile? Gerstein vuole rinunciare, decide di darsi la morte. Invece rimanda. Parte per Kolin, in Boemia, a 60 chilometri da Praga. Come gli è stato ordinato, si reca alla fabbrica di cianuro di potassio dove gli vengono consegnate le 45 bottiglie di Zyclon, e torna a Belzec con il carico. Una volta arrivato, dichiara che l'acido è inutilizzabile: «Danneggiato durante il trasporto». Inaspettatamente l'SS che dirige il campo, Christian Wirth, si compiace del «contrattempo» e non esita a disfarsi delle bottiglie di Zyclon. A suo modo di vedere, non c'è ragione per sostituire il sistema utilizzato fino a quel momento, il gas di scappamento di un motore Diesel. E' il 17 agosto 1942. Gerstein vede, per la prima volta. Assiste all'arrivo di un treno da Lem-,, berg, 45 vagoni che trasportano 6700 persone. «Io e il capitano Wirth», scriverà nel rapporto «siamo davanti alle camere della morte. Totalmente nudi, gli uomini, le donne, le ragazze, i bambini, i neonati, i mutilati, tutti nudi, passano. In un angolo, una SS dice a quella povera gente con un altoparlante: dovete solo respirare a fondo, è un'inalazione che fa bene ai polmoni, serve contro le malattie contagiose. E' una bella disinfezione». «Un'ebrea, quarantanni circa, gli occhi come delle fiamme», continua il rapporto, «invoca il sangue dei loro figli sugli assassini. Riceve cinque frustate sul viso da parte del capitano Wirth e sparisce nella camera a gas (...). Riempire bene, ordina il capitano. Settecento, ottocento uomini in venticinque mq. Gli altri, nudi, attendono fuori. La SS cerca di avviare il motore Diesel, ma non riesce. Il capitano Wirth ar- riva. Si capisce che ha paura perché io vedo il disastro. Sì, io vedo tutto e aspetto. Cronometro il tempo. Cinquanta minuti, settanta minuti. Il Diesel non funziona. Gli uomini aspettano nelle camere a%as. Invano. Piangono come nelle sinagoghe, dice l'SS Sturmbahnfùhrer professor dottor Pfannenstiel, ordinario d'Igiene dell'Università di Marburg-Lahn, che ha l'orecchio alla porta di legno. Dopo due ore e quarantanove minuti - l'orologio ha registrato - il Diesel parte (...). Passano altri venticinque minuti: molti sono morti. Lo si scorge dalla finestrella, con la pila elet- trica. Dopo ventotto minuti sono in pochi a sopravvivere. Dopo trentadue minuti, tutto è morto». Quando vengono aperte le porte, Gerstein vede i cadaveri rimasti in piedi, tanto sono pressati gli uni contro gli altri. «Si riconoscono le famiglie, che si stringono ancora le mani». Vede gli addetti estrarre dalle bocche i denti d'oro. Wirth mostra una grande scatola di ferro, piena. «Oro cavato dalle bocche di ieri e dell'altro ieri». Poi i corpi vengono gettati nelle fosse. Di lì a qualche giorno, alla prima licenza, Gerstein comincia a raccontare. A più gente che può. In treno, per caso, incontra il segretario dell'ambasciata di Svezia a Berlino, il barone De Otter. Gli dice ogni cosa. Cerca di farsi ricevere dal nunzio del Papa, Orsenigo, ma non riesce ad avere udienza. Parla con persone incontrate per strada, tra le altre due lavoratori olandesi. «La Resistenza olandese mi fece dire», si legge nel rapporto «che ero pregato di non fornire più atrocità inventate, ma di contentarmi di riferire la stretta verità». A Oranienburg, Gerstein vedrà asfissiare in un solo giorno tutti i prigionieri detenuti in quanto «perversi»: gli omosessuali. A Mauthausen, scoprirà come in onore di ogni visitatore di riguardo vengano impiccati uno o due prigionieri. Ancora a Mauthausen, l'SS di servizio lo accompagnerà a vedere gli ebrei al lavoro in immense cave. «Attenzione, gli dirà. Tra pochi minuti ci sarà un incidente». E Gerstein vedrà sfracellarsi ai suoi piedi alcuni corpi, spinti nel vuoto dall'alto delle rocce. «E tutto questo è niente, in confronto ai crimini scoperti ad Auschwitz». Il padre di Gerstein era giudice. Ai tempi in cui il figlio militava contro il nazionalsocialismo, il giudice Luis Gerstein aveva scritto una lettera alla moglie Clara: «E' spiacevole vedere come l'inclinazione al male si confermi sempre di più in Kurt». Il giudice era convinto che quella che stavano vivendo fosse «una grande epoca». Divenuto SS, Kurt volle scrivere una lettera al giudice, una sola: «Vi sono circostanze in cui un figlio è tenuto a dare un consiglio al proprio padre. Verrà il giorno in cui anche tu sarai obbligato a render conto per la tua epoca e per quanto vi è successo». Pierre Joffroy dice che Gerstein riuscì a fare in modo che mai il gas che passava per le sue mani venisse utilizzato. E nella fondina, al posto della pistola pare tenesse una spazzola per capelli. Finì per venir rimosso dagli incarichi. Un alto graduato SS un giorno gli disse: «Se fosse vero che c'è un Dio, la punizione per noi sarebbe tremenda». Gerstein scrive di aver risposto: «State tranquillo. C'è, c'è un Dio». Gabriella Bosco Sin dal '42 raccontò gli orrori hitleriani: ma non riuscì a farsi credere Soldati tedeschi rastrellano un gruppo di ebrei A sinistra, prigioniere di un Lager nazista; Gerstein vede per la prima volta le camere a gas il 17 agosto 1942

Luoghi citati: Berlino, Boemia, Germania, Mauthausen, Norimberga, Oranienburg, Parigi, Praga, Svezia