Il boss-mazzetta venuto dal Politecnico di Lietta Tornabuoni

Il boss-mazzetta venuto dal Politecnico L'INGEGNERE DELLE TANGENTI Il boss-mazzetta venuto dal Politecnico Dalle confessioni il primo colpo di piccone ai corrotti ON è terribile né bello né elegante, l'ingegner Mario Chiesa che stamani si presenta (magari per poco) in tribunale. E' uno come tanti: un cinquantenne grassoccio dal piglio giovanil-dinamico, con i capelli grigi e le dita gonfie, con gli occhiali, con abiti all'inglese (velluto a coste, tweed, scarpe massicce, giacche vistose, cravatte regimental), con una moglie da cui è separato e alla quale lesina gli alimenti, con un figlio quindicenne, con una nuova compagna che sta per avere un bambino, con un portaborse spi>"iafaccende, con una devota segretaria usata pure come intestataria di conti in banca per soldi sporchi. Adesso, con tutto quello che è successo e s'è saputo, Chiesa sembra un personaggio già remoto, arcaico, scolorito: ma è stato il primo a rivelare l'ampiezza, l'organizzazione sistematica, la brutalità con cui a Milano i partiti hanno fatto della politica un affare, trasformando ogni attività dell'amministrazione pubblica in propria privata occasione di far soldi, non consentendo a nessuno di lavorare per la qittà senza pagare tangenti ai politici locali. Da Chiesa, dalle sue deposizioni e confessioni, sono cominciate e derivate constatazioni ripugnanti, desolanti. Per esempio, la conferma d'una corruzione diffusa della nomenklatura che sta minando l'Italia dopo averla ridotta sul lastrico, col rischio che un sistema si sgretoli dall'interno alla stessa velocità incredibile già vista nell'Unione Sovietica: una corruzione esercitata a Milano ovunque (trasporti urbani, metropolitana, Ferrovie Nord, aeroporto, cimitero, palasport, aree fabbricabili, stadio) ma specialmente tra i malati e i deboli, negli ospedali, negli orfanotrofi, nei ricoveri per i vecchi, nei padiglioni destinati ai morenti di Aids. Per esempio, il declino di una politica: non più intesa a costruire il futuro, ma a divorare il presente. Per esempio, la mutazione d'un costume politico: la fine dell'ipocrisia, il passaggio dalla vergogna sospirosa («eh, purtroppo in politica bisogna sporcarsi le mani») all'arroganza orgogliosa («è la prassi»), la perdita d'ogni distinzione tra partiti di maggioranza e partiti d'opposizione accomunati dalle tangenti, la crescita d'un ceto politico senza altri valori che il danaro e il potere. Per esempio, il vacillare dell'egemonia socialista a Milano, e di Bettino Craxi. «Trasparenza? Cos'è, soldi di vetro?» è la battuta riferita in uno dei due instant book pubblicati sulla corruzione di politici e imprenditori a Milano, «Tangentomani» di Antonio Carlucci (Baldini & Castoldi, in copertina banconote sagomate in forma di grattacieli), «I saccheggiatori» di Giuseppe Turani e Cinzia Sasso (Sperling & Kupfer, sottotitolo «Milano: facevano i politici ma erano dei ladri»): insieme con i verbali degli interrogatori condotti dal giudice Antonio Di Pietro e dai suoi colleghi e con i documenti da loro inviati al Parlamento, insieme con i giornali di questi mesi, i due libri sono la fonte obbligata per un ritratto di carta dell'ingegnere Mario Chiesa, l'uomo nero del 1992. Storia personale, semplice. 1969: si laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano, trova un primo lavoro. 1972: si iscrive al partito socialista, viene assunto con un contratto precario all'ospedale Sacco. 1979: vince un concorso ed entra in pianta stabile all'ospedale Sacco, diventa segretario politico della sezione socialista Musocco-Vialba i cui iscritti sono quasi tutti dipendenti dell'ospedale. 1930: viene eletto al Consiglio provinciale, è capogruppo del psi e tre anni dopo assessore ai Trasporti. 1986: assume la presidenza del Pio Albergo Trivulzio (1250 dipendenti, 106 miliardi di bilancio, gran patrimonio immobiliare), per breve tempo è assessore provinciale all'Edilizia scolastica. Sogna di diventare sindaco di Milano: ma politicamente non va più avanti di cosi. Non arriva ad altri incarichi, per sei anni non cambia l'ufficio in cui Mario Chiesa vive, lavora e ruba. In compenso, «controllavo il 20 per cento degli iscritti alla federazione milanese del psi, avevo una mia autonoma base elettorale, una corrente che dispone di propri fondi, di una propria organizzazione, di propri uomini, d'una segreteria privata in via Soresina, di circa 7000 voti di preferenza secca»: tutto pronto a venir messo al servizio dell'uno o dell'altro leader socialista milanese, Tognoli o Pillitteri che fosse. In compenso, quando il 17 febbraio l'hanno arrestato nell'atto di ritirare i 7 milioni d'una tangente (altri 37 milioni riuscì a buttarli nel gabinetto durante la perquisizione), era miliardario. Gli hanno sequestrato 5 miliardi e 700 milioni depositati alla Banca del Monte di Lombardia; 5 miliardi alla Banca Provinciale Lombarda; 3 miliardi alla Banca Agricola Mantovana; altri miliardi su due conti bancari svizzeri denominati Fiuggi e Levissima. A casa teneva contanti per 116 mi¬ lioni, e libretti al portatore per 300 milioni. In tutto, circa 18 miliardi. Si vide poi che non era certo il solo, neppure quello che s'era arricchito di più: ma i taglieggiati, o chi aveva avuto con lui rapporti coatti, cominciarono a raccontare che tipo d'uomo fosse, come si comportasse, questo Mario Chiesa così abile nel ritirare per il partiti o per se stesso il cinque, l'otto, il dieci per cento su ogni appalto per costruzioni, manutenzioni o forniture, soldi che i taglieggiati recuperavano subito alzando i prezzi. Chiesa ritirava il danaro esclusivamente in contanti, raccontano, riponendolo in una borsa tenuta ai suoi piedi sotto la scrivania; e lo consegnava ai leader socialisti esclusivamente in contanti, racconta lui, dentro una valigetta o nella busta celata in un giornale. Alle sue tangenti non sfuggiva nessuno: capitava che persino i primari ospedalieri pagassero 100 milioni per avere la nomina, per venir promossi da incaricati a titolari. L'esattore era esigente, cattivo: non tollerava ritardi, nel caso strepitava, insultava «sei un barbone, sei un miserabile». Era arrogante, brutale, dai taglieggiati pretendeva oltre ai soldi anche favori: «Mi trovi dei locali a Ouarto Oggiaro se no la sbatto fuori di qui a calci», racconta d'essersi sentito dire il piccolo imprenditore Fiorenzo Bertini, e quei locali vennero poi utilizzati dalla sezione socialista intitolata a Salvador Al lende. A chi non obbediva, niente soldi: i mandati di pagamento per lavori già completati potevano aspettare la sua firma per lunghissimi mesi. Gli amici non li trattava meglio. Mario Sciannameo, socialista, imprenditore immobiliare e di pompe funebri, ha raccontato che il suo amico Mario Chiesa gli prestò oltre 300 milioni, con l'impegno di riaverne dopo un anno e mezzo 465; che gli faceva pagare («non mi son portato dietro i soldi») certe sue spese personali, l'assegno degli alimenti per la moglie, uno stock di cravatte e di regali natalizi; che gli fece eseguire certe operazioni immobiliari per nascondere i propri beni ed evitare così di spartirli con la moglie nelle trattative di separazione. Altri taglieggiati dovevano lavorare gratis per lui: traslochi, tinteggiature, cessioni d'appartamenti in affitto a equo canone ai suoi amici o a amiche di suoi amici. Per le telefonate delicate usava un nome falso: lepido, non s'annunciava come Chiesa ma come Santo. Quando l'hanno arrestato è stato zitto in prigione per cinque settimane: magari contava su quell'impunità e su quell'onnipotenza a cui era abituato da anni, magari aspettava che qualcuno intervenisse con la sua autorità a tirarlo fuori. Nessuno l'ha aiutato. Craxi l'ha definito «un mariuolo». Il 23 marzo, Mario Chiesa ha cominciato a parlare. Delle sue rivelazioni, una parte soltanto è stata negata con decisione dai coprotagonisti, è rimasta non chiarita. Nel 1990, ha raccontato Chiesa, andò da Craxi, che gli chiese d'appoggiare la canditura elettorale del figlio: «Io acconsentii, dietro garanzia della mia permanenza al Pio Albergo Trivulzio. La mia struttura portò come candidato Bobo sostenendo anche le spese organizzative della campagna elettorale. Faccio presente che Bobo non mi chiese mai una lira e io feci tutto questo di mia spontanea volontà. In questo periodo cominciai a frequentare la famiglia Craxi, e ciò scatenò ancora di più gli odii e le gelosie...». Negli ultimi due anni, ha raccontato Chiesa, ha seguitato a riscuotere tangenti, ma non ha più dato un soldo ai leader socialisti milanesi: «Avevo ormai acquisito una autorevole autonoma posizione di potere che mi consentiva di non rispondere ad altri se non politicamente direttamente al segretario nazionale del partito Bettino Craxi». Craxi e suo figlio hanno smentito. Può essere tutto vero oppure falso: certo è questo il punto che rende interessante un processo di cui per il resto si sa già molto, un processo che magari, per ora, non si farà. Lietta Tornabuoni in causa Craxi e il psi di Milano Insultava chi pagava in ritardo: «Sei un barbone e un miserabile» Mario Chiesa, al centro della foto grande. Qui a fianco: Bobo Craxi Sopra: Paolo Pillitteri In alto: il giudice Di Pietro