Tutti rap cazzotti e grammatica di Marinella Venegoni

Tutti rap, cazzotti e grammatica Incontro col gruppo Elio e le Storie Tese: il loro «Ballo del Pipppero» è il tormentone dell'estate Tutti rap, cazzotti e grammatica Dicono: «Ilpubblico è composto spesso di ignoranti» La tv in diretta li ha banditi dopo l'attacco ad Andreotti ALESSANDRIA DAL NOSTRO INVIATO Il ballo del Pipppero, quello rigorosamente con tre «p», è uno dei tormentoni musicali di questa avara estate italiana. Elio e le Storie Tese lo hanno preso in prestito dalle soavi voci del coro bulgaro, e lo cantano fragorosi ribadendone l'ambiguità con ritmo travolgente. Banditi dalla tv in diretta, dopo il feroce rap del primo maggio '91 quando attaccarono a sorpresa su Raiuno Andreotti e i meccanismi corporativi del potere politico, ma accusati anche di goliardia dalle frange bacchettone della sinistra in ritardo, Elio e le Storie Tese fanno l'ago della bilancia nel filone musicale italiano più vistoso dall'epoca dei cantautori, quello demenziale. Vent'anni fa si protestava la scoperta di un'amara realtà quotidiana con la chitarra a tracolla e la poesia cruda, ora trionfano lo sberleffo e la risata acida: ma i sei giovanotti milanesi, nati alla musica nelle cantine underground, cresciuti alla fama anche grazie ad una puntigliosa estetica scatologica, amano soprattutto stupire, scandalizzare, sconcertare. I loro concerti che invadono l'estate cominciano, come qui ad Alessandria, con una gigantesca scazzottatura sul palco tra i membri della band (che nella foga rischiano di farsi male davvero), e proseguono poi con una musica di stretta tradizione rock suonata in modo impeccabile, dove le citazioni dell'ironia vanno da Pink Floyd ed Abba fino al consumo più facile, tipo la non proprio amata coppia Minghi/Mietta. Compunto, atteggiando la faccia a pesce lesso, l'irresistibile futuro ingegnere elettronico Elio canta, sulle melodie seriose di «Trottolino Amoroso» ma in puro stile Mietta: «Io sono lesbian/ e già te lo dissi/ ma tu non capisti». Pietà l'è morta. L'«outing» alla californiana è un altro dei numerosi capitoli del pensiero del gruppo. «Noi non abbiamo una linea comune», specifica con la sua parlata forbita il tosto tastierista ventottenne Rocco Tanica; ma poi si capisce che l'armonia sul palco non regna soltanto musicalmente. Elio e le Storie Tese sostengono le loro idee fuori dai denti, prendendosi gioco della ipocrisia e della finta solidarietà che regna negli affari dello spettacolo nostrano. Ogni volta che parlano male di qualcuno, e lo fanno spesso, premettono: «E' un amico». Come per Gino Paoli. Hanno stampato nella copertina del loro recente Ip i ringraziamenti canonici di «Matto come un gatto», correggendo vistosamente la grammatica del cantautore genovese: «Gino è un amico. Ma fa il Grande Vecchio della musica italiana e non si capisce a che titolo. Quand'era ospite fisso di "Be Bop A Lula" si esibiva in commenti sui giovani, e l'ho sentito spesso dice soave il bassista Faso - scaricare dalla bocca camion di fesserie: lui non ha niente a che vedere con la musica italiana giovane. Se la tira tanto, e poi non scrive neanche in italiano». Colpiscono a caso, nel mucchio, con sicumera radical/giovanilistica. Unica rigorosa maschera, i nomi d'arte: Elio il cantante, Rocco Tanica tastierista, il bassista Faso, il sassofonista Feyez, il chitarrista Cesareo, il batterista Planibel; chi gli si nasconda dietro, resta un segreto. Com'è che adesso nascono solo gruppi demenziali? Elio: «E' come quando c'era la moda dei cantautori. Chiunque uscisse con una chitarra era catalogato come tale. E' la legge, che per esser bravi bisogna fare quel genere, e allora tutti lo fanno». E Rocco: «La demenzialità in passato veniva riferita ad aspetti aberranti: il momento clou erano gli ortaggi lanciati dal palco sul pubblico, in una situazione sgangherata. E' stato un periodo entusiasmante, ma spesso con la scusa dello spirito si lascia da parte la tecnica di base; invece, una chitarra va suonata accordata e bisogna aver rispetto per l'uditore: molti dei bersagli dei demenziali sono in realtà coloro che, musicalmente, hanno le con¬ tropalle. Si può dar contro a Ramazzotti quanto si vuole, però la sua confezione è tecnicamente ineccepibile, ed ha imparato a cantare mica male. A me piace citare Mirò che diceva: Ho impiegato ottant'anni per imparare a dipingere come un bambino». Ce n'è anche per il pubblico. Il bassista Faso, con l'aria mitissima: «Anche il pubblico è composto spesso di ignoranti. Reagisce a comando a parole particolari. Basta che senta dire "tette" o "culo" e gli urli si fanno più alti; è un test che noi pratichiamo spesso». E Rocco Tanica: «Si fa spesso sfoggio, soprattutto nel rap, di Principi Ispiratori: noi siamo della massa lavoratrice, dicono; noi proveniamo da quelli che soffrono. Poi vai a leggere i testi e trovi banalità sconcertanti». Però, gli argomenti più allettanti restano legati oggi alla protesta politica. Elio: «Ma noi non vogliamo cantar robe politiche per forza, per esser considerati un gruppo politicizzato. Se c'è qualcosa di politico che voglio dire lo dico, ma non concepisco l'attività di artista impegnato. Me ne trovi uno povero, di questi cosiddetti impegnati». E Rocco Tanica: «Come diceva John Anderson dei Jethro Tuli, Sting e Phil Collins, se si mettono insieme, l'Amaz- zonia la comprano e se la recintano». Un altro filone assai popolare fra i demenziali è quello che prende di mira lo stesso mondo musicale. Gli Skiantos cantano: «Signore dei dischi fammi entrare in classifica». Rocco Tanica scatta: «Già, tutti sperano di poter arrivare in classifica ma fingono di sfottere quelli che la pensano così. E quello è solo un paravento di comodo. Noi abbiamo scritto delle cose pesanti ed offensive. "Essere donna oggi" è un brano offensivo, ma è fatto per il gusto dello sberleffo e della violenza gratuita; quello siamo, e ne rispondiamo». L'attenzione di questo gruppo nei confronti della lingua italiana è davvero insolita. Elio: «L'impegno nasce dall'osservazione dei misfatti altrui. E' totale la nostra insofferenza per i personaggi di punta della tv a diffusione nazionale, che si ostinano a parlare in romanesco o napoletano». E Rocco: «Se esistesse una rappresentazione uniforme dei dialetti, che sono un tesoro, sarebbe grandioso. Ma basta con il romanesco di Funari e il napoletano della Laurito: quando Dario Fo fece da Celentano un pezzo del suo Mistero Buffo, fu criticato non solo per la durezza del testo ma perché - dicevano - non si capiva». Marinella Venegoni II gruppo Elio e Le Storie Tese ha aperto il tour ad Alessandria: demenziali, e contro tutti

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