Qui ci vorrebbe una Norimberga

Qui ci vorrebbe una Norimberga europa dell'est, la tentazione d e ll' oblio. Varsavia sospesa tra ieri, oggi e domani Qui ci vorrebbe una Norimberga La Polonia in crisi perché perdona gli ex CVARSAVIA I sono momenti in cui Varsavia sembra più lontana dalla ripresa di al—Itre nazioni dell'Est, più disorientata e prigioniera del proprio passato. In quei momenti si fatica a ricordare cosa fu la Polonia negli Anni 70, e 80: la nascita di Solidarnosc, e le battaglie, i morti, i dieci milioni di sindacalizzati che combatterono il regime. Una nazione quasi per intero ebbe la tenacia di resistere, e fu un esempio per chi disperava a Bucarest 0 Praga, a Sofia o Berlino Est. La Polonia fu anche la prima a tentare la fuoriuscita dal comunismo, e alcuni a Praga mi hanno detto che si fa presto a giudicare, col senno di poi: che sì, Solidarnosc si sbarazzò del regime facendo enormi concessioni ai comunisti, ma che nell'esperimento era completamente sola, e che non si poteva sapere, allora, che nel giro di una stagione tutti i regimi dell'Est sarebbero crollati come tessere di un domino. La Polonia indicò comunque la strada, e tanto più impressionante è vedere oggi i suoi nuovi dirigenti così impantanati in zuffe senza sbocco, così muti di fronte al passato. Non i compromessi della tavola rotonda destano stupore, ma il fatto che i compromessi siano rispettati con tanto zelo: da avvocati efficacissimi della società, gli oppositori di ieri si stanno trasformando, perversamente, in avvocati del diavolo. In misura più o meno accentuata, molte nazioni a Est conoscono peripezie simili: in molte nazioni è forte la tentazione dell'oblio, perché organizzare la vita quotidiana è già un'immensa fatica e apparentemente non c'è tempo di fare i conti col passato, di promulgare le leggi che consentano se non di punire 1 colpevoli, almeno di allontanarli ,dal potere tuttora esercitato. Apparentemente non c'è tempo ma intanto gli anni passano e un nuovo presente è costruito, ma disancorato dalla storia; una nuova élite si forma, ma inestricabilmente mescolata con la vecchia. Le stesse difficoltà attraversite dopo l'89 non si sa come siano nate, se la consapevolezza delle responsabilità comuniste si perde. Forse la colpa è della democrazia, dell'Europa di Maastricht, o del capitalismo: la tentazione dell'oblio genera simili visioni menzognere, ed è per fare chiarezza che perfino i reticenti hanno sentito la necessità di qualche epurazione, in Germania e a Praga, a Lubiana, Sofia, Bucarest. Solo nella classe politica polacca questo bisogno di far chiarezza resta estremamente debole, e quando si manifesta non suscita che ostilità, fastidio. Un fastidio analogo esiste in Ungheria, perché anche qui la fuoriuscita dal comunismo è stata organizzata sotto la guida dei comunisti, e non contro di essi. Ma in Polonia si percepisce un'ostilità più radicale, sottile: è l'ostilità di una ex opposizione che non sa divenire laica, che dipende ancora molto dalla Chiesa. E la Chiesa in Polonia ha sempre combattuto tenacemente il comunismo ma non ha mai smesso di temere la democrazia, i suoi effetti disaggreganti, le sue disarmonie, le sue conflittualità. Una frase pronunciata da Walesa, dopo l'89 in Francia, resta significativa: «Mi piace Parigi ma non ho visto lo spirito, qui, che c'è in Polonia». Perfino un cattolico severo con la Chiesa come il filosofo Stefan Swiezawski mi confessa che «il totalitarismo democratico è più profondo, perché più efficace, del totalitarismo comunista o nazista». Più importante delle leggi è dunque la spiritualità, più importante del conflitto sulle responsabilità passate è l'armonia delle anime, o del gregge. Ed ecco i nuovi dirigenti polacchi come inchiodati nell'attuale fase di transizione, senza sapere più bene da dove vengono, né dove vogliono andare. Sono come gli smarriti di cui parla Rilke nelle «Elegie duinesi»: «Ogni cupa svolta del mondo ha tali diseredati, cui non appartiene il passato né ancora il futuro più prossimo. Perché anche il più prossimo è lontano per l'uomo». E' così lontano che sono sempre più numerosi, i disillusi: «Usciremo dal pantano forse fra vent'anni», si lamentano non pochi miei interlocutori. E nel loro pessimismo non tollerano di essere contraddetti, non tollerano le iniziative e soprattutto le leggi che aspirano ad affrettare i tempi. «La decisione del governo Olszewski di epurare i vertici dello Stato era anche un tentativo di reagire a questo fatali- smo dei vent'anni di attesa», protesta Piotr Nainski, ex viceministro degli Interni del governo silurato dagli anti-epurazione. Sembra quindi lontana la Polonia, ma se cominci a parlare con la sua gente ti accorgi che in realtà ci è maledettamente vicina. E' vicina ai nostri vizi, ai nostri fatalismi, alla corruzione socialistico-democristiana di casa nostra, e anche alle mafie che la corruzione secerne: mafie specialmente mortifere a Est, in una fase di transizione dove neppure sono immaginabili un giudice Falcone o un generale Dalla Chiesa. Anche per questo è così importante quel che accade nell' «altra parte» d'Europa. L'Est sta imparando da noi, e non sta imparando il meglio: cioè i vaccini, le difese che son pur sempre le leggi. Ma sta anche entrando in democrazia con un bagaglio di vizi che gli son propri, ereditati dal comunismo, e la maniera in cui riuscirà (o non riuscirà) a sbarazzarsene ci riguarda, perché anche noi impariamo da esso, ora che sono caduti i muri. Se il senso delle leggi e le consuetudini civiche quotidiane non si radicano a Est, perderanno pian piano peso anche da noi, dove il governo della legge è stato coltivato anche per mostrare la superiorità della democrazia sul comunismo. Se non si afferma a Est la nozione della responsabilità legata alla colpa, se i collaboratori della polizia politica o del Kgb non si sentono in obbligo di abbandonare i posti di comando, allora anche a Ovest la regola diverrà l'impunità e l'anomia, l'assenza di norme che fondano il legame sociale. E' il motivo per cui hanno effetti così paralizzanti gli appelli alla riconciliazione nazionale che ricorrono in Polonia, e gli inviti di buona parte della Chie¬ sa, primate Glemp in testa, a perdonare piuttosto che punire, a «regolare sul piano morale piuttosto che ricorrendo alle leggi» i conti col passato. «Ma che senso ha il perdono se i responsabili non si sentono colpevoli!» mi dice esasperata Urzula Doroszewska, sociologa, che è cattolica e s'aggrappa all'ultima dichiarazione dei vescovi. Meno compromissori di Glemp, i vescovi riconoscono che nel Paese il bisogno di giustizia è forte: «L'attuale atmosfera di calunnie è riprovevole - scrivono -, ma il popolo è pienamente in diritto di ottenere che i responsabili dei mali fatti alla nazione non occupino più alte funzioni pubbliche, nello Stato». Mancano tuttavia le leggi, per ottenere che i responsabili non identifichino l'amnistia di cui godono con la licenza di restare ai posti di comando. Leggi tanto più indispensabili, perché in epoca di transizione operano meno che mai le consuetudini non scritte della convivenza civile che Havel chiama «decenza», e Glemp più ambiguamente «morale», ritenendo forse che la morale sia affare della Chiesa, e la legge affare dello Stato. «Ai tempi di Mazowiecki, il ministro degli Interni Koslowski vide le liste degli ex agenti e discretamente cercò di convincerli a ritirarsi dalle cariche pubbliche. Nessuno ebbe la decenza di farlo», mi racconta Jacek Kuron, che a quei tempi osteggiava - con Mazowiecki le epurazioni. «Il guaio è che il nostro rapporto con la legge è fortemente disturbato», mi dice Strzembosz, presidente della Corte Suprema e fautore delle epurazioni, «e questo perché non c'è stata rottura giuridica alcuna con il regime comunista. Le vecchie leggi sono tuttora in vigore, oltre alla vecchia Costituzione, e se ti attieni ad esse è chiaro che non pochi responsabili sfuggiranno alla giustizia o all'epurazione perché potranno dire: "questo è un giudizio illegale", oppure "non ho fatto che applicare le leggi", proprio come dicevano i nazisti al processo di Norimberga. Non a caso a Norimberga si fece ricorso alle leggi per così dire naturali, eterne, e si istituì il "crimine contro l'umanità". Norimberga ha reso compatibile, in altre parole, legge positiva e giustizia, lex e jus, rompendo fin dall'inizio, con un atto simbolico, la continuità giuridica con il regime precedente». Racconto a Strzembosz, a questo punto, quel che mi ha detto un consigliere di Walesa, avvocato Falandysz (il suo no- me figura nella lista dei sospetti di collaborazione): che non è possibile un'epurazione, perché il comunismo non è stato vinto in una guerra, ma si è ritirato spontaneamente ottenendo - in cambio - l'impunità. «La diagnosi è giusta ed è precisamente questo il motivo per cui occorrono leggi d'epurazione - risponde Strzembosz -; per riuscire nell'impres", tuttavia, dobbiamo decidere quale giudizio vogliamo dare sul regime comunista, sulla sua presunta legalità. Se lo consideriamo un regime legale, espressione di uno Stato sovrano, è ovvio che i responsabili di misfatti potranno aggrapparsi a questa o quella legge di ieri. Potranno dire che un agente è un agente ovunque, a Est come a Ovest. Oppure potranno giungere al paradosso di "riabilitare" i dissidenti, come parecchi tribunali hanno statuito dopo l'89, dando l'impressione - ai dissidenti stessi - di esser giudicati dal vecchio sistema, che non li considera più "nemici del socialismo". Su mia iniziativa, questa incongruità terminologica è stata corretta. Se invece consideriamo la Polonia "popolare" come uno Stato non sovrano, e il regime comunista come un potere basato sull'illegalità, allora apparirà evidente che gli agenti erano al servizio degli occupanti sovietici, e che occorre riaccordare le leggi con i diritti fondamentali dell'uomo, e iscrivere questi diritti, riconosciuti a Norimberga, in una nuova Costituzione. E' per questo che insisto tanto sulla necessità di dare un nome corretto alla Polonia rinata nell'89. O viviamo in Quarta Repubblica, e allora siamo i continuatori della Terza, che era comunista e può dichiararsi erede della Prima Repubblica nobiliare del 1569-1795, e della Seconda rinata dopo la spartizione tra il 1918 e il 1939. Oppure siamo in Terza Repubblica, come è mia ferma convinzione: e allora gli eredi della Prima e Seconda Repubblica siamo noi, e il regime comunista non fu che uno Stato con diritti sovrani limitati, come quando la Polonia era un'appendice di potenze straniere, durante le guerre napoleoniche o dopo il Congresso di Vienna. Con uno Stato simile non siamo tenuti ad avere legami di continuità giuridica, salvo ovviamente le leggi di normale amministrazione come il matrimonio, il furto, la proprietà». Quel che Strzembosz vuol dire è chiaro. Perché il senso della legge e della responsabilità tornino ad avere un senso, occorre ristabilire un nesso tra responsabilità e colpa, tra società e legge, e decidere di chi si è eredi: di quale Stato, di quale sistema giuridico, di quali tradizioni civiche. Altrimenti la barca postcomunista continuerà a vagare, alla cieca: senza capire il presente che vive; senza che le appartenga il passato e neppure ancora il futuro più prossimo. Barbara Spinelli Nessuna epurazione i vecchi uomini ancora al potere assieme ai nuovi Il primate Glemp: «I conti del passato? Non servono leggi basta la morale» II cardinale Glemp: «Meglio perdonare che punire» Lec Walesa: «Parigi possiede meno spiritualità di Varsavia» Jacek Kuron: «All'inizio osteggiavo le epurazioni» Mazowiecki: «Voleva convincerli a ritirarsi»