A caccia di miracoli in questa Disneyland di Furio Colombo
A caccia di miracoli in questa Disney land OIARÌO ELETTORALE A caccia di miracoli in questa Disney land ma s I man I fann HE differenza c'è fra la televisione e la vita, fra la Convenzione democratica vista sul piccolo schermo e l'immergersi fisico nello stadio a colori in cui la «convenzione» si celebra come in un dramma, una festa, uno strano rito?. Sono le proporzioni stravolte a dare il primo segnale che ognuno di noi è più adatto alla televisione che alla realtà. Ti affacci a uno degli ingressi veri del grande evento e sei spiazzato dall'impressione fortissima di essere piccolo come un personaggio da fiaba. Carter che parla adesso sul podio non è che un puntino blu e grigio (il vestito, i capelli) benché la sua voce nota ti giunga chiara da mille televisori. Come cercando ossigeno guardi uno schermo e capisci. Qui, dal vero, tutte le dimensioni sono alterate. Sullo schermo tutto è sotto controllo. Sono sul «floor» cioè al livello del grande stadio coperto in cui si trovano i delegati, sono a un passo da loro. Parlano, cantano, gridano, ridono, non sempre ascoltano quello che sta accadendo sul lontanissimo podio. In cabina di regia i volumi dei microfoni vengono alzati e abbassati, le voci mixate, si alzano le prese del suono del «floor» al momento di applausi e ovazioni, si abbassano per trasmettere chiara la voce del leader, quando è in corso l'intervento. In questo modo c'è ordine nello schermo, e disordine nello stadio. Ma è un disordine apparente. I delegati in magliette colorate, cappellini da baseball per gli uomini, da «statua della libertà» per le donne, con bambini in braccio e bambini per mano, sono la politica americana del partito democratico in questo momento. Lo sono da qualche mese, da quando si sono arruolati nella campagna elettorale, e lo saranno fino a novembre. Sono politici che fanno i turisti, turisti che fanno i fotografi e i cameramen per la stazione tv e il giornale delle città da cui provengono. Sono padri e madri di famiglia di una strana Disneyland, indaffarati a non perdere di vista i bambini seduti, sdraiati, addormentati, accampati. Sono le facce americane tipiche fino al luogo comune, sorprendenti fino al dettaglio cinematografico (l'orecchino, la cresta punk) di un Paese che cambia sempre. Gridano, cantano, mangiano, si fotografano e fanno politica. A colpi di immensa bravura Jesse Jackson li spinge a ritmare al seguito delle sue parole di tuono quel grande respiro collettivo che viene dal basso. Si affaccia alla tribuna, di fronte alla immensa platea festosa e distratta una giovane donna e dice: «Sono qui perché sono malata di Aids». Il mondo a colori dell'America democratica tace di colpo, tacciono adulti e bambini, si voltano verso il palco i giovanissimi guardaporte, adolescenti con le tesserine di plastica a cui ciascuno obbedisce come se fossero marines in uniforme di guerra. Dice la donna dal palco: «Io non voglio morire; ma il mio bambino è già morto. Non è sopravvissuto agli anni di Reagan. Potremo, io e la mia bambina malata, sopravvivere agli anni di Bush?». Si sente un grande respiro collettivo. La malattia incurabile diventa bandiera e richiamo di una mobilitazione. Sembra assurdo, pura superstizione. Come si può combattere politicamente contro un irraggiungibile nemico genetico? Ma l'appello vuol dar vita alla speranza che insieme è più facile sopravvivere che da soli. Non importa se sia un percorso logico. Che cosa è logico nella disperazione? Importa che in tanti guardino in faccia alla tragedia di alcuni, che sono sempre più numerosi. E dopo Jesse Jackson che predica con furore, dopo Jimmy Carter implacabile avversario della politica estera di George Bush, dopo Andrew Young dei diritti civili, mentre la gente aspetta Ted Kenndy e Cuomo e la tensione sale come in un grande spettacolo, qualcosa si intravede nella strana politica di un partito che per un decennio e mezzo ha continuato a perdere. Quei fardelli che è sempre stato costretto a portare sulle spalle, perché il resto della politica americana non vuole toccarli (malati, senza casa, underclass, il reclamo delle donne e dei gay) stranamente potrebbero diventare la sua forza. Furio Colombo ,boJ
Persone citate: Andrew Young, Bush, Cuomo, Disney, George Bush, Jesse Jackson, Jimmy Carter, Reagan
Luoghi citati: America
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