«No alla giustizia show» di Claudio Martelli

«No alla giustizia show» «No alla giustizia show» Li ministro: troppe fughe di notizie E ilpm svizzero denuncia minacce MELANO. Non passa giorno senza polemica. E stavolta in campo ci sono le massime «autorità giudiziarie»: il ministro della giustizia Claudio Martelli (psi) e il procuratore generale di Milano, Giulio Catelani. L'inizio è un'intervista all'Ansa di Catelani, proprio sull'inchiesta tangenti: «E' improprio parlare di istruttoria spettacolo e di violazione del segreto istruttorio sostiene - perché il segreto è limitato alle sole indagini preliminari. Quando si interroga un imputato si compie un atto che non è più segreto e di conseguenza, doverosamente, i mezzi di informazione possono diffondere il contenuto di quegli atti». L'intervista va sulle agenzie a mezzogiorno; alle otto di sera la replica del ministro, che prende spunto da un fatto non milanese, il suicidio del preside di Monfalcone («Continup la prassi di sbattere il mostro in prima pagina»). Dice Martelli: «Innanzitutto le violazioni del segreto istruttorio sono tutte avvenute nel corso di indagini preliminari; in secondo luogo la maggiore pubblicità del nuovo rito si giustifica in quanto risponde al principio del favor verso l'imputato. Il diritto all'informazione deve trovare un limite nei diritti dell'indagato: viceversa è contrario alla legge e perciò inaccettabile che gli stessi indagati e i loro difensori apprendano le notizie dalla stampa prima ancora che dai magistrati». E per finire, l'ultima stoccata: «I giornalisti hanno aperto un coraggioso dibattito al proprio interno. Non lo stesso si può dire di alcuni autorevoli esponenti della magistratura inquirente». • Davvero si esagera con le notizie «date in pasto» al pubblico? A pensarla così è anche un magistrato straniero, Carla del Ponte che a Lugano segue appunto il versante svizzero dell'inchiesta: «Detesto quanto mi succede con lo scandalo delle tangenti - dice - i giornalisti italiani hanno superato ogni limite». Il giudice annuncia poi che ha «paura» di venire in Italia per non meglio precisate «minacce»: non legate, comunque, all'inchiesta milanese (Carla dei Ponte era con Falcone a Palermo quando fallì il primo attentato contro di lui). Sul fronte dell'inchiesta, intanto, c'è da registrare la fine della (brevissima) detenzione di Paolo Scaroni, vicepresidente della Techint. Arrestato martedì, ieri sera ha lasciato il carcere, libero con il solo obbligo di firma. A darne notizia è stata la stessa Techint, in un comunicato in cui esprime «soddisfazione» per il rilascio «avvenuto su decisione del gip Ghitti, sentito il parere favorevole del pm, tenuto conto che il modesto contributo personale di lire 30 milioni elargito al dottor Angelo Capone nel 1989 non aveva alcun riferimento con contratti su cui erano impegnate società del gruppo». In sostanza non si sarebbe trattato di una tangente, ma appunto di un «contributo» che Scaroni aveva offerto all'ex assessore socialista. Così pure «contributo» e non «tangente» sarebbe la somma (anche in questo caso assai modesta: 15 milioni) che alcuni costruttori avrebbero «offerto» a Dario di Gennaro, presidente del comitato regionale della de lombarda. Al «contributo» ha partecipato pure Luca Beltrami Gadola, considerato un «moralizzatore». Ruolo che lui stesso dice di non aver abbandonato. E allora, quei soldi? «Ho sempre sostenuto che bisognasse finanziare spontaneamente i politici per non farli rubare. Quello del moralizzatore è un ruolo difficile, nel quale fatti che potrebbero essere del tutto normali, come aver aiutato qualche amico in campagna elettorale, vengono considerati corruzione». 1 Susanna Marzolla

Persone citate: Angelo Capone, Carla Del Ponte, Catelani, Ghitti, Giulio Catelani, Luca Beltrami Gadola, Paolo Scaroni, Scaroni, Susanna Marzolla

Luoghi citati: Falcone, Italia, Lugano, Milano, Monfalcone, Palermo