Nel giallo di Farouk entra in scena Cossiga

Nel giallo di Farouk entra in scena CossigaPer liberare il piccolo Kassam si sarebbe rivolto a Calvisi, da lui graziato. Ma l'ex Presidente smentisce Nel giallo di Farouk entra in scena Cossiga E Mancino: Mesina non ha mediato COSTA SMERALDA DAL NOSTRO INVIATO Per quel bambino con gli occhioni profondi, per il piccolo Farouk, bisognava fare qualcosa. Il silenzio durava da troppo, per settimane non s'era fatto un passo avanti. Occorreva trovare il modo giusto per rimettere in moto un meccanismo che pareva inceppato. E, ora qui in Sardegna, filtra che sarebbe stato Francesco Cossiga, ancora al Quirinale, ad aver caldeggiato l'intervento di un antico «baiente», Ciriaco Calvisi, che tutti avevano chiamato il latitante buono e che proprio Cossiga aveva graziato. Graziano Mesina sarebbe entrato in scena più tardi. Sollecitato più volte, Cossiga non ha voluto commentare, ma una smentita, indiretta, è arrivata ieri sera attraverso un flash d'agenzia, prima ancora che la notizia fosse pubblica. Ora Farouk è diventato una stella. Inseguito, blandito, vezzeggiato, conteso a suon di milioni. Sembra diventato il centro di un grande business e oggi, per le reti berlusconiane, rivivrà, tutto intero, il suo dramma. E accanto avrà la madre, Marion Evelyne Bleriot, e il padre, Fateh Kassam, «Fateh il duro», colui che aveva dichiarato più o meno di provare ripugnanza per molto di ciò che avevano raccontato gli organi d'informazione. Chissà che cosa ha fatto cambiare idea a Fateh, certo devono avergli presentato argomenti persuasivi quando ha fatto visita alla cattedrale di Segrete, sede Mondadori. Intanto, anche il neo-ministro dell'Interno, Nicola Mancino, ha voluto dir la sua sull'affaire Mesina: «Magistrati e forze dell'ordine escludono che ci sia stata nella fase finale una intermediazione di Mesina», ha detto il ministro. Così, anche il dramma di Farouk, rimasto 177 giorni prigioniero, è diventato spettacolo. E anche un grande business. Naturalmente, i primi beneficiati sono i banditi che lo hanno catturato e sfregiato: 2 miliardi e 800 milioni son finiti nelle loro tasche, anche se c'è chi parla di un ulteriore miliardo, in oro, depositato in un luogo sicuro, dove non c'è l'uso di far domande indiscrete, per esempio una banca svizzera. Un'idea fantasiosa, questa degli ingombranti lingotti, semmai, è il dollaro la valuta più apprezzata dai criminali, forse ancor più delle lire. E poi, c'è Graziano Mesina, sì, proprio l'ex re del Supramonte, che ha fatto i suoi conti. Lui, tiene a precisare, dal denaro del riscatto non è stato neppure sfiorato. Ma che male c'è a raccontare le proprie memorie ad un settimanale disposto a pagargliele 120 milioni? E poi un film, visto che il sequestro del piccolo, che lo ha visto intraprendente emissario, ha finito per rinverdire la sua celebrità, parsa un po' appassita negli ultimi anni. La pellicola verrà prodotta da Daniele Senatore ed Emilio Bolles, il soggetto, che è poi la vita di «Grazianeddu», sarà scritto da Luciano Vincenzoni. E qui il contratto dovrebbe portare all'ex bandito svariati milioni. Denaro guadagnato con sudore, questo, in fin dei conti, perché se le trattative sono finalmente approdate a qualcosa, dopo mesi di silenzio, molto è dovuto all'intervento dell'ex «re del Supramonte». «Il bimbo lo rendiamo, ma se ci danno i soldi», avrebbero fatto sapere i briganti. Ma non più in cambio di quei 7 miliardi che parevano l'ultimo prezzo. Mesina aveva così intrecciato il suo dialogo, aveva potuto farlo perché c'era gente disposta ad ascoltarlo, magari amici di amici. E siccome le regole sono regole, lui le aveva seguite tutte: il bimbo era così finito nelle mani di un emissario, al momento del rilascio, poi in quelle di un altro. Erano circa le 22 di venerdì della settimana passata. Fino a dopo mezzanotte non venne dato alla polizia, ma era già libero. Una pattuglia lo raccolse a tre chilometri da Nuoro e non presso il ponte sul Cerino, dove quelli dei servizi avevano organizzato una trappola per catturare i criminali. Ora in mano ai magistrati c'è già un rapporto di polizia. Si parla della banda. Una banda organizzata rigidamente, in cellule di tre uomini ciascuna, perché il timore è che qualcuno ci ripensi, tradisca, «si penta». Una dozzina di persone, due custodi, sicuramente latitanti, abili anche con il coltello: spesso son gli stessi a compiere materialmente il rapimento; poi c'è un autista, quello che procura le armi, il vivandiere, il Giuda che fornisce le infor- inazioni sulla vittima. Infine quello che tiene le fila dello sporco gioco, di solito un insospettabile. Pare che sia di Orgosolo. Perché ci sarebbe, nel gruppo, gente di Orgosolo, di Lula, di Orane, e i «falchi» di Arzana, noti per non rendere gli ostaggi. Ci sarebbe Matteo Boe, il latitante di Lula: per avere sue notizie i servizi sarebbero stati disposti a spendere anche 1 miliardo e 300 milioni, sembra che quel denaro abbia poi fatto parte del riscatto versato. E ci sarebbe Salvatore Murreddu, l'imprendibile di Orane, duro e abile come un capo. Vincenzo Tessa udori II piccolo Farouk Kassam, ancora polemiche sulla sua liberazione

Luoghi citati: Arzana, Lula, Nuoro, Orgosolo, Sardegna