Mitterrand: Emmanuelli è un galantuomo i giudici no di Enrico Benedetto

Mitterrand: Emmanuelli è un galantuomo, i giudici no Il Presidente difende in tv Monsieur Tangente: non c'erano regole, perché tante indagini? Mitterrand: Emmanuelli è un galantuomo, i giudici no PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Compatisco Henri Emmanuelli. Mi fa male al cuore vedere un uomo della sua integrità trascinato davanti alla Giustizia. Certo, questo affaire evidenzia procedure bizzarre». Francois Mitterrand sceglie il 14 luglio e la tradizionale allocuzione televisiva per difendere, senza mezzi termini, l'ex tesoriere ps, che dal gennaio scorso presiede l'Assemblée Nationale. I toni sono più morbidi, meno accusatori verso la magistratura di quelli che impiegò, quattro giorni fa, il segretario socialista Fabius, ma la sostanza pare analoga. L'Eliseo lascia intendere come, semmai, dovrebbero venire incriminati pure gli amministratori delle altre formazioni. «All'epoca, la Francia non aveva ancora una legge sui finanziamenti politici. E' da quando esiste la Repubblica che giravano valigie "invisibili", piene di banconote da distribuire, una circostanza maleodorante. Ora non più». Bisognerebbe, insomma, gettare un velo sopra quegli anni bui. E perseguire solo chi si ostina, quando le regole del finanziamento sono più eque, a insistere con i vizi antichi. Senza pronunciare l'espressione, Mitterrand sembra ritenere Emmanuel vittima di un «paradosso giuridico». Incriminandolo «quale tesoriere, si ripristina la responsabilità collettiva. Che senso ha tutto ciò?». L'Eliseo attribuisce l'infortunio - in primis - a un codice penale demodé, e ne annuncia la riforma per l'autunno. Nell'attesa, lancia qualche stoccatina alle toghe: «Vi sono leggi che impongono il segreto sulle istruttorie. Ma la stampa notifica le incriminazioni addirittura in anticipo. Le cattive abitudini guadagnano terreno ovunque, Giustizia inclusa». Ce n'è anche per i «grandi media» come Le Monde, autore dello scoop Emmanuelli. Mitterrand suggerisce che «i loro principali dirigenti» rendano pubblici «guadagni e patrimonio», come già dovrebbero fare, tra breve («e vorrei si accelerassero i tempi») i parlamentari. Motivo: «Giudicano i politici». L'Eliseo doveva far campagna su Maastricht. Il referendum del 20 settembre si avvicina, e i sandaggi danno il «no» in considerevole ripresa. Francois Mitterrand è tassativo. Votare contro significa «rompere l'Europa». Ritiene davvero che i suffragi ostili possano prevalere? «Sarebbe un evento temibile». Per convincere gli avversari l'Eliseo si richiama a Schumann, de Gallile, e persino Giscard, «una politica estera in vigore da 45 anni. Maastricht ne rappresenta la continuità». Ora, i Dodici sono eguali ma la Francia vale più che la Danimarca, secondo Mitterrand. «Abbiamo un ruolo motore nella costruzione europea» dice, e fa capire come - in sua assenza - non potrebbe esistere alcuna Europa. Non è l'unica rivendicazione nazionalista. Globalmente, oggi «siamo i migliori», malgrado la Germania «se la cavi bene». Non solo. A suo giudizio il Paese conosce un «buongoverno» che non teme rivali. «Ma bisogna che la prosperità venga ripartita fra un numero sempre maggiore di cittadini». Ultimo capitolo, l'ex Jugoslavia. Mitterrand insiste, bisogna organizzare presto una Conferenza. Membri: i Paesi balcanici, i cinque Grandi Onu e una delegazione Cee comprensiva di italiani e tedeschi. Dopo la missione-lampo a Sarajevo, Parigi vuole conservare l'avanguardia. Enrico Benedetto Nella foto grande Francois Mitterrand, in quella piccola Henri Emmanuelli

Luoghi citati: Danimarca, Europa, Francia, Germania, Jugoslavia, Parigi, Sarajevo