I fantasmi di Los Angeles di Gaetano Scardocchia

I fantasmi di Los Angeles I fantasmi di Los Angeles Dal reverendoJackson un sì adenti stretti : .:: : IL CANDIDATO TRA I BIANCHI EI NERI B: NEW YORK ASTA dare uno sguardo alla platea del Madison Square Garden per rèndersi conto che il partito democratico è in America, accanto all'esercito, la sola istituzione nella quale bianchi e neri convivono in relativa armonia. I neri votano tradizionalmente per il partito democratico. Clinton ha dunque bisogno del voto nero per essere eletto. Ma su questo sfondo di calcoli e necessità elettorali, si staglia un dramma umano: quello del reverendo Jesse Jackson, il più noto e popolare leader nero, dal quale Clinton si è dissociato in modo tanto brusco ed ostentato da far sospettare che volesse premeditatamente aprire un conflitto personale e politico per esaltare la sua indipendenza dai gruppi di pressione. Il discorso di Jackson era atteso per la tarda serata di ieri. E' sicuro che egli appoggerà Clinton, nel senso che, nonostante tutto, voterà per lui. Ma la «convention» aspetta di sapere quali parole sceglierà Jackson per fare una simile promessa e soprattutto se, oltre al voto, gli assicurerà un concreto impegno organizzativo oppure si limiterà a concedergli il minimo indispensabile - «la mia lealtà di militante democratico», come ha già detto - e continuerà invece ad attaccarlo ai fianchi sostenendo che è meno sensibile dei suoi predecessori ai bisogni della popolazione afro-americana. Il fatto è che Jackson è meno forte che in passato. «E' un politico in declino» dice David Broder del «Washington Post», uno dei più acuti osservatori della scena politica americana. Nelle ultime due campagne presidenziali, Jackson si era candidato personalmente, il primo nero a compiere un passo così ambizioso. Sapeva di non poter ottenere la «nomination» democratica, ma contava di raccogliere un sufficiente numero di delegati per poter poi aprire una contrattazione con il candidato vincente, fargli inserire nel programma una serie di provvedimenti a favore della minoranza di colore e presentarsi dunque come il titolare del voto nero, l'intermediario attraverso il quale doveva passare chiunque volesse il consenso degli elettori afro-americani. Il gioco gli era riuscito sia con Mondale (1984) che con Dukakis (1988), ciascuno dei quali aveva stipulato un'alleanza con Jackson, riconoscendone in tal modo titoli e prestigio. Ma non gli è riuscito con Bill Clinton. Per almeno due ragioni: sia perché Jackson, rinunziando stavolta a candidarsi, non possedeva un pacchetto di delegati da far pesare sul tavolo del negoziato, e sia perché Clinton ha rifiutato l'idea stessa di un negoziato, considerando Jackson alla stregua di qualsiasi altro esponente democratico. Perché questa decisione? E' evidente che il fulcro della strategia di Clinton è la riconquista degli elettori democratici che negli Anni 80 sono passati a Reagan ed a Bush. Questi elettori sono bianchi benestanti della middle class, non necessariamente razzisti, ma sicuramente impauriti dalla crescita del crimine nei quartieri neri e comunque poco propensi a finanziare nuovi programmi di assistenza sociale alle minoranze. Pur di apparire «moderato», «centrista» e protettore della classe media, Clinton ha dovuto prendere le distanze se non dai neri, almeno da un leader nero come Jesse Jackson, che ai bianchi non piace: perché è ambiguo, frequenta anche qualche estremista e recalcitra a sentirsi parte della grande comunità patriottica americana. Due anni fa, alla vigilia della guerra del Golfo, rese omaggio a Saddam Hussein ed una volta dichiarò di sentirsi «un cittadino del Terzo Mondo», essendo nato «in una zona occupata degli Stati Uniti», la città di Greenville, Carolina del Sud, una delle roccaforti del segregazionismo. La rottura è stata preparata a freddo e consumata due settimane fa, quando Clinton, ospite di Jesse Jackson ad una assemblea della «Rainbow Coalition» (come si chiama il movimento fondato dal reverendo nero), ha criticato il padrone di casa per aver accolto il giorno prima, nella stessa sala, una cantante «rap», Sister Soljah, che ha giustificato atti di pura criminalità, compiuti da neri, presentandoli come una sorta di risposta politica alla repressione messa in atto dai bianchi. Il rimprovero era di per sé ineccepibile. Basti pensare che Sister Soljah, dopo i moti di Los Angeles, aveva detto che «poiché i neri ammazzano ogni giorno altri neri, perché meravigliarsi se per una settimana decidono di ammazzare anche i bianchi?». Tuttavia Clinton ha vibrato l'attacco senza preavviso, con la precisa intenzione di ferire Jackson, il quale era ri- masto sbigottito e confuso, rinunciando sul momento a replicare. Ma l'amarezza è scoppiata nei giorni successivi, e nel modo peggiore. Egocentrico ed altezzoso come è, Jackson ha commesso errori su errori: ha tentato di ricattare Clinton corteggiando Ross Perot, al punto da difendere il miliardario texano anche quando questi si è rivolto ad un'assemblea afroamericana con espressioni come «voialtri» e la «vostra gente», che implicano un sentimento di distacco non troppo lontano dal razzismo. Ma Clinton non si è lasciato ricattare. Egli ormai considera Jackson come il rappresentante dei neri più poveri e marginali, mentre è sicuro dell'appoggio di altri leader neri come John Lewis (Georgia), Mike Epsy (Mississippi), Barbara Jordan (Texas), i quali parlano a nome degli afroamericani che sono usciti dai ghetti e cercano di inserirsi senza conflitti nella corrente centrale della società americana. Ovviamente, la manovra di Clinton è comprensibile (deve assolutamente riconquistare il voto dei bianchi «moderati»), ma è pericolosa. Quale che sia il giudizio storico che si possa dare su Jesse Jackson, una cosa è certa: il suo attivismo ha spezzato l'inerzia politica dei neri ed ha spinto molti di essi a votare per la prima volta. Nessuno sa se Jackson è davvero in declino, e quindi irrilevante ai fini elettorali, oppure se l'attacco rivolto a lui non verrà visto da molti elettori afro-americani come una tattica troppo spregiudicata per essere condonata a Clinton. E se i neri disertano le urne, viene a mancare un tassello fondamentale per riportare un democratico alla Casa Bianca. Gaetano Scardocchia Se gli elettori afro-americani diserteranno ai democratici mancherà un tassello fondamentale Bill Clinton con una ragazza-madre in un ostello alla periferia di New York [FOTO AP] II leader nero Jesse Jackson saluta un gruppo di delegati alla convention [FOTO AP]