Alla Convention il protagonista è Perot di Furio Colombo
La storia d'America cambia personale DIARIO ELETTORALE La storia d'America cambia personale N apparenza non è accaduto nulla di nuovo. Dentro l'immenso bacino artificiale della Convenzione, il Madison Square Garden trasformato in mega studio tv, la folla grida e applaude ad ogni pausa di qualunque voce, l'orchestra si fa sentire con spezzoni di musica ora patriottica ora da varietà televisivo, i leader discutono 0 «lavorano» altrove. Clinton, per esempio, si fa filmare mentre saluta i bambini di un brutto quartiere a rischio, fra il Lower East Side e Alphabet City, sui leggendari marciapiedi della New York povera dove si muore soprattutto di pistola. Al Gore viene a farsi festeggiare nel ristorante italiano Barbetta, in un giardino fresco dove lo hanno invitato Danielle e Richard Gardner, dove lo aspettano Arthur Schlesinger, Norman Mailer, molti delegati, molte signore. Jerry Brown rimbalza da uno schermo televisivo all'altro (ma solo all'interno di regolari programmi giornalistici, finora nessuna rete prevede programmi speciali) per protestare. Nelle «primarie», dice, ha ottenuto cinque milioni di voti. Ma alla Convention non gli hanno ancora detto quando potrà parlare. Per la strada dimostrazioni. Il partito democratico (detto anche, dai pessimisti, «il partito del Parlamento», per distinguerlo dal «partito presidenziale» dei repubblicani) è assediato da tre dimostrazioni contemporanee, che sono, allo stesso tempo, aggressive e affettuose, di disperazione e speranza, una marcia di femministe radicali, una di senza casa, una di malati di Aids. Ma non tutto è rito, non tutto è festa 0 protesta. All'improvviso, nel mega studio che sembra preparato per dare il via al «ciak» di un film dispendioso, si levano parole che trasformano il vociare immenso della folla prima in brusio e poi in silenzio. Buttano sul terreno tre temi, essenziali e semplici, il doiore, la razza, le donne. Quando Barbara Jordan, l'ex deputata nera celebre per la forza dei suoi discorsi, ha detto: «Non è ammesso il separatismo, non il separatismo dei bianchi dai neri, non il separatismo dei neri dai bianchi», anche le sue parole sono state salutate da uno scatto, da un risveglio. Migliaia di persone in piedi si cercavano con gli occhi, come per chiedersi «dove eravamo, I cosa stiamo facendo?». Da quei momento Barbara Jordan, dalla sua sedia a rotelle, ha cominciato a spingere e a trascinare la sua folla che si era alzata in piedi. Ha trovato la vena di un sentimento che diventa sempre più impetuoso: la presenza delle donne. Che non è più solo femminismo, è «un cambio di personale della storia». Così ha detto lei e così ha capito la gente, con un misto di commozione, di sorpresa, di entusiasmo, di meraviglia. Il fatto è che per la prima volta sedici donne, tutte democratiche, hanno vinto le rispettive primarie e sono candidate al Senato. E molte di più si stanno candidando alla Camera. Come in un gioco elettronico, spettatori e delegati hanno visto aprirsi un passaggio, che prima non c'era, nell'oggetto informe della Convention. Lungo quel canyon si vedevano scorrere immagini - mezzo sogno e mezzo progetto - che vanno al cuore della politica. Le donne come differenza radicale, non come ritocco di programma o come trovata strategica. Nel gioco visivo-retorico di Barbara Jordan all'improvviso i due «ragazzi quarantenni» Clinton e Gore sono apparsi non come i pretendenti al potere ma come gli annunciatori di un cambiamento che va dalle leggi del Paese alla vita dentro le case. «Possiamo continuare a funzionare in un periodo di grande crisi, usando solo metà del nostro cervello?» ha chiesto quasi sottovoce Barbara Jordan ai delegati della Convention. Non è stato un discorso lungo il suo, e non è stato, nel senso tradizionale, un discorso politico. Piuttosto è stata capace di far toccare con mano ciò che non era stato notato. Colti di sorpresa dalla reazione della platea, i commentatori delle reti tv, i grandi del passato e i più giovani, hanno chiesto del tempo in più, hanno ritardato i telegiornali. Hanno dovuto dire: «Forse si vede la cosa che potrebbe cambiare la stagione più stanca della politica americana. Non Clinton e Gore. Ma il partito delle donne». Furio Colombo ibo
Persone citate: Al Gore, Arthur Schlesinger, Barbara Jordan, Clinton, Garden, Jerry Brown, Norman Mailer, Richard Gardner
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