Beffa da 30 milioni di Ugo Bertone

Beffa da 30 milioni Beffa da 30 milioni Così cade Scaroni, figlio d'arte MILANO. Non c'è che dire: anche stavolta Di Pietro ha colpito in alto. Cade nella rete un manager di grido, vicepresidente e amministratore delegato di un colosso come la Techint. Pure lui, Paolo Scaroni, ieri ha varcato la soglia di San Vittore. E la pesca del giudice non si ferma nemmeno di fronte ai referendari, ai moralizzatori, ai campioni della «società civile». Riceve un avviso di garanzia Luca Beltrami Gadola, impresario edile, ex socialista. A metà maggio aveva sbattuto la porta del partito, denunciando «la voglia di non cambiare». E un'informazione di garanzia tocca al suo socio Claudio De Albertis, il presidente dell'Assimpredil, l'associazione dei costruttori milanesi. In ballo ci sono altri quattro nomi, legati all'inchiesta sull'Ortomercato. A questo punto, è il caso di dire, si salvano davvero in pochi nella Milano delle costruzioni. A questo punto, infatti, è vietato stupirsi, se si guarda al curriculum di Paolo Scaroni, arrestato 62 di Tangentopoli. Da sempre è uno dei principali collaboratori della famiglia Rocca, imparentata con i Bassetti, socia d'affari dei Boròli, vicina ai Falck e, fino a pochi anni fa, socia dell'Ame, la finanziaria da cui dipendevano le sorti della Mondadori. Un figlio d'arte, perché suo padre è stato per anni presidente degli industriali di Vicenza. Un giovane, 42 anni, abituato a bruciare le tappe: laurea alla Bocconi à;2l'anni, master alla Columbia University pochi anni dopo. E via con una carriera strepito¬ sa: a 25 anni entra in Saint Gobain, a 33 dirige le attività in Sudamerica della multinazionale francese. Poi il rientro in Italia, sempre con la Saint Gobain, e l'incontro con i Rocca. Forse, quel che colpisce di più è il reato (corruzione) e, soprattutto, la cifra incriminata (una trentina di milioni). Poca roba, quasi uno scherzo per uno che da anni è il braccio destro di Gianfelice Rocca in Techint: un vero impero che controlla decine di società (e circa 20 mila dipendenti) tra Italia, Argentina, Messico e tanti altri Paesi, dalla Germania al Venezuela. I Rocca, a suo tempo, l'hanno imprestato alla Falck, in uno dei momenti più gravi della crisi del gruppo; ha fatto parte dei consigli Olivetti e Merzario. E, addirittura, nell'85 si era parlato di lui come amministratore delegato dell'Alfa Romeo, allora sotto il controllo dell'Ili, per un ultimo disperato tentativo di salvataggio della casa targata Finmeccanica. Grandi nomi, grandi avventure imprenditoriali. Eppure l'inchiesta di Tangentopoli evoca cifre diverse e affari assai più prosaici: i padiglioni dei pesci e dei fiori all'Ortomercato. La guida dei lavori è stata assegnata anni fa alla Ripem, una società consortile guidata da Luca Beltrami Gadola, quello che fino a pochi mesi fa, sugli schermi tv, tuonava contro l'impero delle mazzette, voce della rinascita socialista in alternativa al conte de Carlo Radice Fossati. Sull'Ortomercato, a dire il vero, c'era già stata la denuncia del missino Riccardo De Corato, il castigamazzette principe di Tangentopoli, ma Beltrami Gadola aveva risposto duro. «Penso che la sua - aveva dichiarato due mesi fa - sia stata una reazione stizzita al fatto che io vengo identificato come una mosca bianca. Ma fortunatamente questo sistema consente ancora di lavorare senza bisogno di pagare tangenti. Anche a Milano questo è possibile». Adesso Di Pietro e Colombo vogliono veder chiaro dietro quell'appalto da 24 miliardi. L'informazione di garanzia non è certo una condanna, ma, soprattutto di questi tempi, ha il sapore di una picconata, l'ennesima, destinata a sbriciolare quel che resta di una macchina, l'edilizia milanese, abituata a macinare affari per 1500 miliardi nelle opere pubbliche milanesi. E De Albertis? Lui, imprenditore di grandi tradizioni, corteggiato anche dai partiti (si era parlato di lui come assessore tecnico d'area liberale per la prima giunta Borghini), aveva parlato così nell'ora dei primi arresti degli imprenditori: «Mi ostino a credere che l'edilizia non sia solo quella che emerge dall'indagine della magistratura. Ma bisogna fare autocritica, guardarci negli occhi. Ma sia chiaro che da questa situazione non si esce con norme inefficaci, tipo quelle antimafia». Già perché a Milano, terra di Tangentopoli, c'è pure «l'incontestabile e seria presenza della mafia». Lo attesta, senza dubbi, il «Comitato di iniziativa e vigilanza sulla correttezza degli atti amministrativi e sulle infiltrazioni di stampo malioso», organismo istituito dal Comune nel novembre '90. Ugo Bertone