Un trapezio per l'eternità

Un trapezio per l'eternità L'Expo di Siviglia festeggia Saint Laurent per trentanni di creazioni Un trapezio per l'eternità «Con una A si può vestire una donna» BELLO, cattolico e omosessuale... sempre sull'orlo del precipizio...». «Yves Saint Laurent, fruscio di Iseta e agonia...». El Pois saluta così, con eleganza e cinismo, l'arrivo all'Expo di Siviglia del più celebre sarto del mondo. Oggi, festa della Bastiglia, nel padiglione francese non danzeranno le tricoteuses e non voleranno berretti frigi. Sfileranno (segno dei tempi) indossati da top model-gazzelle di ogni colore, cento dei più celebri modelli usciti da rue Spontini e dall'Avenue Marceau, successivi santuari parigini dell'ex ragazzo algerino: si celebrano i 30 anni di gloria della Maison. Accompagnato dalle sue dame, Elsa Martinelli e Paloma Picasso, il «principe» parteciperà, questa volta, alla propria apoteosi? Lo si saprà all'ultimo, come accade per tutte le sue rare e tormentate apparizioni. Gli spagnoli hanno deciso di decretargli comunque un trionfo. «Yves gode e insieme muore creando - scrivono -. Sa di essere il migliore. E se così non fosse ci sarebbero la sua corte, i suoi adulatori e anche i mitomani a ricordarglielo. Ma diffida. Vive isolato, estraneo... Una maledizione è caduta sulla sua testa nell'attimo in cui, il 30 gennaio del 1958, gli applausi del pubblico hanno premiato la sua ultima collezione da Dior e lo hanno trasformato nel più grande creatore nella storia della moda». Lucienne, la madre, sua prima modella e punto di riferimento della vita, conferma il dramma. «Yves aveva solo 21 anni quando succedette a Dior, non era pronto, perse di colpo la gioventù. L'angoscia lo ha invaso per sempre». «Mi fabbrico ogni giorno la corda per impiccarmi», dice di sé Yves Saint Laurent, confermando anche una sorta di vocazione al martirio. I suoi «abissi», le sue crisi psicofisiche sono ben noti. Colpevole non è solo la cocaina, non i tranquillanti, né la vodka, ne la depressione. Yves non ha l'Aids, né il cancro. «E' il suo lavoro che gli toglie la vita», spiegano i suoi. Quegli abiti con cui la viscontessa De Ribes, clienteamica delle più sofisticate, diceva a suo tempo di voler andare in Paradiso precisando: «Ho lasciato dettagliate disposizioni in proposito...». E nei quali Catherine Deneuve, la sua musa, vede «l'espressione di tutti i fantasmi che Yves ha dovuto vincere per essere capace di creare». Saint Laurent è un ex pied noir. Nato a Orano 56 anni fa, sotto il segno del Leone. A prima vista non sembra aver nulla di leonino il magro, scontroso ragazzo con gli occhiali che, a 17 anni, parte per Parigi e si presenta con un carnet di disegni a Michel de Brunhoff, direttore di Vogue. La sua vocazione d'artista è già nata da un pezzo. «Ho incominciato a 4 anni, facendo costumi per le mario¬ nette - ha raccontato in una delle sue poche interviste -, Poi ho scoperto la moda, ma mi interessavo anche al teatro». Una passione mai appannata, Yves ha lavorato per il cinema, per il balletto. Dice Roland Petit, con il quale Yves ha collaborato al Cyrano: «E' l'unico oggi in grado di creare un costume d'epoca che risulta contemporaneo». All'arrivo in continente nel '53, Yves ha già avuto dolorose esperienze. «La mia giovinezza ha due facce, ero felice in famiglia, molto infelice a scuola, maltrattato. La scuola è stata per me una cosa atroce, senz'altro per la mia omosessualità. I compagni mi picchiavano, mi chiudevano nei gabinetti». E' introverso. In un celebre incontro del '58, quando Yves è già l'erede acclamato di Dior morto d'improvviso l'anno prima, Oriana Fallaci si trova di fronte a un essere misterioso, che parla a monosillabi. Regge all'interrogatorio solo con il sostegno delle allora celebri Madame Raymonde e Madame Marguerite, veterane collaboratrici del maestro defunto, specie di insegnanti-infermiere-manager come ne esistono solo a Parigi negli ambienti della couture. Poco tempo prima, però, al momento di lanciare la «linea trapezio» che l'avrebbe reso famoso e che avrebbe cambiato radicalmente la moda, Yves si lascia andare ad una piccola frase illuminante. «Non avrei mai im- maginato che una "A" servisse a vestire le donne...». Dove «A» vuol dire anche «Algeria», luogo del cuore, ripensato con infinita malinconia, «quel regno - come per Yves ha scritto la Duras - che lui non riesce a nominare...». Dior significa anche rabbia, disappunto per Saint Laurent. E' costretto a fare il servizio militare. «Un altro orrore, come la scuola. Alcuni mi accarezzavano, io mi ribellavo». Congedato perché i medici della naja non rispondono più della sua sorte, si trova fuori anche dall'atelier. Marc Bohan, l'altro delfino della casa di Avenue Montaigne, ha preso il suo posto. «Me ne andai alle Canarie con Pierre Bergé». Proprio con Bergé s'inizia il periodo d'oro del giovane artista. Bergé è un mecenate, scopritore di talenti, giornalista, sta entrando in politica e si adopera per riavvicinare Sartre e Camus. Fonderanno nel '61 la Maison Saint Laurent, Bergé resterà per sempre al fianco di Yves come genio commerciale ma anche consigliere, portavoce, partner e mago delle relazioni con l'establishment anche quando, amico di Mitterrand, socialista di ferro, nell'88 verrà nominato direttore dell'Opéra-Bastille, Il duo lancia nel '62 la prima collezione: nasce l'immortale «caban» blu. Da allora sarà un susseguirsi di date importanti: nel '65 è la linea Mondrian, nel '66 lo smoking femminile. «La moda è ambiguità, come la vita», commenta Yves. Compaiono i primi abiti «pop art», Warhol disegna i ritratti dello stilista, Yves si fa fotografare nudo da JeanLoup Sieff, si apre a Parigi la prima boutique «Rive Gauche», è nato il prèt-àporter, nasce un impero. Nel '68 un'altra svolta, compare il nude-look, una blusa inesistente sotto la sahariana. E all'inizio degli Anni 70 Saint Laurent provoca un vero scandalo: mentre per le vie di Parigi impazzano gli hot pants e attorno al boulevard Saint-Michel la polizia presidia le aule in cui si svolgono i processi ai gauchistes, in Avenue Marceau sfilano le ragazze del '45, scarpe a zeppa, abitini finti poveri, l'aria della guerra, del cattivo nutrimento, delle staffette partigiane, un mondo in pericolo, ma dove esiste la speranza. Da allora Yves Saint Laurent non smette più di inventare il nuovo rivisitando il passato, con i colori dei suoi amatissimi pittori, Picasso, Van Gogh, Lichtenstein, i tratti dell'Oriente più duro e barbaro, le suggestioni di un folklore coltissimo. Non c'è nostalgia, in questi ritorni: nell'abito con il gigantesco fiocco a farfalla, nella celebre guaina nera di Catherine Deneuve con il vertiginoso «deschiné» di pizzo a forma di violino. C'è solo un disperato bisogno di ricordare. Di non perdere il passato. Appesantito, con un'aria da signora cui il tempo ha cancellato l'antica bellezza, Saint Laurent oggi dice: «La mia angoscia è di non essere mai stato veramente giovane, libero». Mirella Appiotti Fra moda e contestatori scandalo negli Anni 70: abitini finti poveri per ricordare la guerra wm «Venni a Parigi dall'Algeria quando avevo 17 anni La scuola fu atroce perché ero omosessuale». Nella foto al centro Catherine Deneuve indossa un celebre modello del 1970: alto turbante e schiena nuda, velata da un finissimo pizzo o, i rent lista ri 0: a Sopra, Paloma Picasso, una madrina di Yves Saint Laurent in questi giorn all'Expo di Siviglia. In basso, lo stilista ai suoi esordi nel 1957